Guida alla comprensione delle Tecniche di evoluzione assistita che fanno tanto discutere
(Rinnovabili.it) – In questi dieci anni hanno cambiato diversi nomi: da New Breeding Techniques a New Genomic Techniques, per arrivare – in Italia – all’acronimo TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita). Cosa sono le TEA e come funzionano? Perché stanno scatenando un acceso dibattito in Europa tra ambientalisti e imprese agrochimiche?
Le TEA sono una serie di tecniche di manipolazione genetica che potrebbero aumentare e accelerare lo sviluppo di nuovi tratti nella selezione delle piante e degli altri esseri viventi. Operano quello che viene chiamato genome editing, cioè un intervento su punti circoscritti del DNA di un essere vivente. In agricoltura, vengono promosse come biotecnologie capaci di far esprimere alle piante tratti e proprietà desiderati. Ad esempio la resistenza alle malattie, alla siccità, agli insetti, agli erbicidi e ai pesticidi. I prodotti alimentari ottenuti TEA promettono di durare di più sugli scaffali del supermercato e nel nostro frigo, contenere più vitamine o nutrienti.
In questo momento, tuttavia, i prodotti di queste tecnologie sono classificati come OGM nell’Unione Europea, quindi sottoposti a valutazione del rischio, tracciabilità ed etichettatura. Lo ha stabilito una sentenza della Corte di Giustizia dell’UE nel 2018. Questi obblighi hanno impedito in larga parte la coltivazione degli OGM “di prima generazione” in UE. Ma qualcosa forse sta per cambiare: c’è una forte spinta da parte delle aziende biotecnologiche, agrochimiche e in parte anche dell’accademia, a deregolamentare queste tecniche di evoluzione assistita, scrivendo una nuova normativa apposta per loro. I promotori, infatti, considerano le TEA diverse dai “vecchi” OGM, più affidabili e sicure. Le mutazioni generate con le nuove biotecnologie sono state paragonate a quelle che avvengono spontaneamente in natura, o che i contadini ottengono con gli incroci naturali.
Come funzionano le TEA
Le TEA si basano su una biotecnologia chiamata “forbici molecolari”, cioè degli enzimi in grado di essere “programmati” per effettuare tagli in punti mirati del DNA bersaglio. La più famosa delle TEA si chiama CRISPR Cas9, dove CAS è il nome dell’enzima che taglia le sequenze geniche. Mentre gli OGM tradizionali si basano sull’inserimento più o meno casuale di un gene esogeno proveniente da una specie diversa dentro un organismo, le TEA operano in maniera simile, ma non del tutto: tagliano un punto del DNA più o meno predeterminato e poi cancellano o inseriscono sequenze più piccole di un gene. La sequenza, quando viene aggiunta, appartiene a un organismo della stessa specie del ricevente e porta informazioni potenzialmente capaci di innescare reazioni nell’organismo bersaglio (per esempio, una maggiore resistenza alla siccità). Quando la sequenza viene tolta, di solito è per cancellare alcune funzioni dell’organismo. In ogni caso, dopo il taglio, il DNA attiva meccanismi di riparazione che cercano di ricongiungere i filamenti recisi, integrando l’eventuale nuova sequenza introdotta dai biotecnologi.
Le tecniche di editing del genoma permetterebbero quindi – nell’immagine che ne danno i loro promotori – una sorta di “chirurgia molecolare”, che ottiene risultati puntuali con piccoli “taglia e cuci” del DNA. E soprattutto senza l’inserimento, tipico della modificazione genetica “classica”, di geni provenienti da specie diverse.
La differenza tra “puntualità” e “precisione”
Non tutti gli esperti sono concordi nel definire “precise” le nuove tecniche di manipolazione del genoma. Ripetuti studi hanno dimostrato come le modifiche effettuate applicando le TEA mostrassero varie lacune. Oltre a modificare puntualmente una regione relativamente piccola del genoma, infatti, è frequente che la forbice molecolare tagli in diversi altri siti vicini e lontani al bersaglio, perché la sua “guida” riconosce sequenze simili a quella che deve mettere nel mirino. Perciò si verificano, decine, centinaia o anche migliaia di mutazioni fuori bersaglio.
Non è stato ancora compreso a fondo cosa possa accadere alla pianta, o più probabilmente alla sua progenie, che eredita una serie di mutazioni non volute dai biotecnologi. Il funzionamento e la struttura del DNA sono ancora in larga parte un mistero per la scienza: se alcune cause producono effetti visibili e desiderati, vi possono essere una pletora di effetti indesiderati o inattesi che si verificano in maniera collaterale. Nelle piante può significare l’insorgere di una varietà di problemi, dovuti alla perdita di funzione di un gene o all’alterazione della sua biochimica, facendole produrre nuove tossine o allergeni o avendo un impatto sul suo metabolismo e quindi sulle prestazioni agronomiche. Tantopiù che la puntualità delle TEA riesce ad eludere quei meccanismi che di norma proteggono determinate aree del genoma dalle alterazioni.
I limiti della biotecnologia per un’agricoltura sostenibile
L’industria sementiera, le aziende biotecnologiche e importanti centri di ricerca minimizzano questi rischi. Sono invece pubblicamente impegnati a difendere le TEA. Lo sviluppo di prodotti alimentari basati sulla modificazione del genoma, dicono, permetterà agli agricoltori di avere un’arma in più contro il cambiamento climatico. Produrre nuove piante più attrezzate contro la siccità o le temperature estreme, può essere strategico per un settore che in Italia – nonostante il calo costante – vede ancora attive 1,1 milioni di aziende agricole. Inoltre, le TEA sono considerate in grado di ridurre la quantità di pesticidi ed erbicidi utilizzati sui campi, aiutando l’Unione Europea a raggiungere i suoi obiettivi ambientali contenuti nel Green Deal.
Le esperienze con gli OGM di prima generazione, tuttavia, non sono incoraggianti. Accompagnati da una retorica molto simile, hanno visto uno scarso sviluppo nel campo alimentare. Ad oggi, occupano meno del 5% della superficie agricola globale e sono principalmente varietà di mais, soia, colza e cotone, cioè colture industriali per il settore tessile e della mangimistica animale. Il loro contributo alla riduzione della chimica in agricoltura non è riscontrabile nei dati, dal momento che secondo la FAO l’utilizzo è rimasto stabile o aumentato in tutte le regioni del mondo.
La tolleranza alla siccità o la resistenza ai parassiti, inoltre, sono obiettivi difficili da raggiungere con una singola o anche con multiple correzioni di una sequenza o di un intero gene. Infatti, decine o centinaia di geni, a seconda della varietà vegetale, sono coinvolti nel determinare la tolleranza alla siccità. Un fattore ulteriormente mediato dalle condizioni ambientali. L’interazione fra i geni, unita a quella tra l’organismo e l’ambiente, non è ancora chiara e questo complica le soluzioni proposte dall’ingegneria genetica.
La difficile convivenza tra brevetti e precauzione
C’è un altro aspetto che dovrebbe essere valutato con attenzione, secondo le organizzazioni della società civile e i movimenti di piccoli contadini. Quello che una nuova ondata di varietà vegetali brevettate potrebbe avere sull’economia agricola e il reddito degli agricoltori. Considerate come “invenzioni”, i processi e i prodotti realizzati con le TEA sono infatti equiparabili a brevetti industriali. Significa che una pianta o un seme che contiene un carattere brevettato da un’impresa, può essere utilizzato dall’agricoltore soltanto pagando quell’azienda. Vale anche per chi intende utilizzare quella varietà come base per svilupparne delle altre: dovrà chiedere il permesso all’inventore e compensarlo. Ad oggi, quattro aziende nel mondo controllano il 60% del mercato delle sementi: Bayer-Monsanto, Corteva, BASF e Syngenta. Negli anni hanno stretto numerosi accordi con società biotecnologiche e centri di ricerca pubblici e privati. Hanno comprato i procedimenti da loro brevettati con le TEA per poter svolgere ricerca applicata, garantendosi l’influenza sull’ultimo miglio della filiera, quello che dal laboratorio porta al campo agricolo.
Aprire alla coltivazione di organismi TEA non regolamentati pone infine una questione di libertà e indipendenza degli agricoltori che non ne fanno uso. Le organizzazioni dell’agricoltura biologica, hanno manifestato la preoccupazione di non poter più continuare a garantire prodotti OGM free. Il vento o gli impollinatori, infatti, possono trasferire polline dalle varietà TEA non tracciabili nei campi biologici, che per disciplinare vietano la manipolazione genetica. A quel punto, un’ispezione in campo da parte delle aziende che vendono i semi TEA, potrebbe verificare la presenza di tratti protetti da brevetto nelle varietà biologiche. La legge permette a chi subisce una violazione dei diritti di proprietà intellettuale di portare in tribunale l’agricoltore che ha “rubato” l’invenzione. Che rischia sanzioni e la distruzione del raccolto, pur non avendo impiantato volutamente la varietà brevettata.
Quale strategia per l’agricoltura europea?
La crescita della superficie coltivata a biologico, però, è un obiettivo chiave della strategia Biodiversità 2030 varata dalla Commissione Europea. La coesistenza fra TEA non regolate dalla normativa OGM e crescita dell’agricoltura biologica è un rompicapo di difficile soluzione. Allo stesso modo, la brevettazione di varietà non tracciabili potrebbe contraddire le norme internazionali che garantiscono i diritti degli agricoltori a ripiantare, scambiare e vendere le proprie sementi. Nel frattempo, la concentrazione del mercato sementiero ha portato a una riduzione drastica della biodiversità coltivata. La FAO stima che più del 75% delle varietà vegetali sono scomparse dai campi degli agricoltori durante lo scorso secolo. Oggi appena 9 specie coprono il 66% della produzione totale. Il modo con cui verranno sciolti questi nodi determinerà il futuro dell’agricoltura continentale.