Rinnovabili • Spreco di cibo Italia: +8% in un anno, anche per l’inflazione Rinnovabili • Spreco di cibo Italia: +8% in un anno, anche per l’inflazione

L’inflazione fa impennare lo spreco di cibo in Italia: +8%

Sprechiamo in media 30 kg a testa ogni anno. Lo spreco domestico pesa per metà del valore economico totale italiano (7,4 mld su 13,1 complessivi), seguito dalla distribuzione (4 mld), lo spreco in campo e quello dell’industria. Chi si dichiara povero non solo mangia peggio, ma spreca di più: registrata un’impennata del 17% anno su anno

Spreco di cibo Italia: +8% in un anno, anche per l’inflazione
Foto di Rodion Kutsaiev su Unsplash

L’analisi dell’Osservatorio Waste Watcher International/Spreco Zero

(Rinnovabili.it) – Gli italiani sono di nuovo spreconi in cucina e a tavola. In un anno lo spreco di cibo in Italia è cresciuto di più dell’8%. Siamo passati da 75 a 81 grammi a testa al giorno, cioè dai 524,1 grammi a settimana del 2023 ai 566,3 del 2024. Avvicinandoci moltissimo alla soglia di 30 kg di cibo buttato inutilmente pro capite ogni anno. Sono i dati diffusi oggi dall’Osservatorio Waste Watcher International/Spreco Zero su monitoraggio Ipsos/Unibo. Che accende i riflettori anche sugli aspetti sociali ed economici legati al food waste.

Ma ci sarebbero da sottolineare anche le implicazioni per il clima. Uno studio apparso l’anno scorso su Nature Food ha calcolato i gas serra generati in 9 passaggi chiave della catena di fornitura per 4 categorie di alimenti. Le emissioni legate a perdita e spreco sono 1/3 di quelle generate dal sistema alimentare nel suo complesso, cioè circa 9,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (Gt CO2eq). Quasi tre quarti dipendono da carne e prodotti animali. Insomma: lo spreco alimentare globale inquina come Ue e Usa insieme.

Quanto ci costa lo spreco di cibo in Italia?

Le nostre abitudini poco sostenibili in cucina ci costano, in media, 290 euro l’anno a famiglia, circa 126 euro pro capite. I cittadini più spreconi sono quelli che vivono nei grandi comuni e in città: in un anno il loro spreco di cibo è cresciuto dell’8%. Aumenta anche il tasso delle famiglie senza figli (+3%) e si registra un’impennata tra chi ha meno potere d’acquisto: ben il 17% in più rispetto all’anno scorso. Dal punto di vista geografico è il Sud a indossare la maglia nera, con 4 punti percentuali di spreco di cibo rispetto alla media nazionale. Le regioni del Nord stanno invece del 6% sotto la media italiana.

Ma non sono solo le famiglie e i singoli cittadini a spingere verso l’alto i dati sullo spreco di cibo in Italia. Il valore economico totale di questo segmento, infatti, è di 7 miliardi e 445 milioni di euro l’anno. Circa la metà del totale nazionale, 13,1 mld. Al secondo posto si piazza la distribuzione con quasi 4 mld euro. Le altre quote sono in capo allo spreco in campo e nell’industria.

Perché chi ha meno denaro spreca più cibo?

Quest’anno il rapporto dell’Osservatorio accende un faro sui risvolti sociali dello spreco di cibo in Italia. Chi si dichiara povero non solo mangia peggio, ma spreca di più: il dato, ricordato sopra, è +17% anno su anno. Un numero costruito con l’analisi dei dati sulla sicurezza alimentare usando l’indice Fies (Food Insecurity Experience Scale), che misura il livello di accesso delle persone a cibo adeguato e nutriente. Chi dice di far fatica ad arrivare alla fine del mese, cioè oltre 5,7 milioni di italiani, più del 10% della popolazione, ha un indice di insicurezza alimentare del 280% più alto rispetto alla media nazionale.

“Sono dati che dobbiamo attenzionare con cura – spiega il direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher, Andrea Segrèperché ci permettono di evidenziare la stretta connessione fra inflazione e insicurezza globale da un lato e ricaduta sociale dall’altro, fra potere d’acquisto in calo costante e conseguenti scelte dei consumatori che non vanno purtroppo in direzione della salute dell’ambiente, ma nemmeno di quella personale”.

L’inflazione di questi ultimi anni, sull’onda della crisi energetica e della guerra in Ucraina, in un primo momento ha generato più attenzione verso gli sprechi. Ma il suo prolungarsi nel tempo “ha costretto i cittadini all’adozione di nuove abitudini ‘low cost’ per fronteggiare la crisi”, dettaglia Segré. “Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, ma anche un peggioramento nella propria dieta e nella sicurezza alimentare”.