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Sovranità alimentare, i programmi del nuovo Ministero

Il Ministero dell’Agricoltura è diventato anche della Sovranità alimentare. Un cambiamento che ha scatenato ironie e perplessità. A ben vedere, però, le posizioni del nuovo ministro sono pienamente allineate con quelle delle associazioni agricole nazionali. Cerchiamo di capire cosa si intende per sovranità alimentare, ma soprattutto vediamo quali saranno i risultati per lo sviluppo del settore

Sovranità alimentare
Di Carlo Dani – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=40716503

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Il neodenominato Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare ha suscitato curiosità, perplessità e qualche ironia. Si può discutere sull’opportunità di cambiare il nome ai ministeri, ma quello che conta davvero sono i contenuti, i programmi e soprattutto i fatti che vengono realizzati.

Anzi, per dirla tutta, Coldiretti aveva proposto di cambiare nome al Ministero perché «significa nei fatti un impegno per investire nella crescita del settore, estendere le competenze all’intera filiera agroalimentare, ridurre la dipendenza dall’estero e garantire agli italiani la fornitura di prodotti alimentari nazionali di alta qualità».

Poiché quello attuale è un governo di destra, molti hanno visto nel termine sovranità un equivalente di sovranismo. Proviamo allora a sgombrare il campo dagli equivoci.

Il concetto di sovranità alimentare viene da lontano

La sovranità alimentare è un concetto complesso che prevede un legame tra alimentazione, agricoltura, culture ed ecosistemi, e sottintende la valorizzazione della diversità anche per quanto riguarda le produzioni agroalimentari.

Bisogna capire se e quanto piace agli agricoltori, per i quali comporta alcuni cambiamenti nei sistemi di produzione e nell’organizzazione delle aziende agricole.

Il concetto di sovranità alimentare nasce nel 1996, proposto dall’organizzazione internazionale Via Campesina in contrapposizione al modello della globalizzazione.

Via Campesina è stata fondata in Belgio nel 1993, ne fanno parte 182 organizzazioni di 81 Paesi; sostiene l’agricoltura sostenibile e i piccoli agricoltori, il diritto dei contadini alle sementi (quindi è assolutamente contraria alle sementi fornite dalle multinazionali), il rispetto dell’ambiente e dei lavoratori agricoli, la valorizzazione dei prodotti del territorio e delle persone che vi lavorano come delle tradizioni.

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Fao: il cibo non è una merce, ma un diritto

Secondo i principi della sovranità alimentare il cibo non è una merce, ma un diritto (principio peraltro sostenuto fortemente dalla FAO). Quindi bisogna accorciare le distanze fra produzione e consumatori e lottare contro lo spreco alimentare.

Nel 2007 si svolge il primo Forum per la sovranità alimentare in Mali – a cui partecipano più di 80 Paesi – dove viene approvata la Dichiarazione di Niélény che definisce la sovranità alimentare «il diritto dei popoli a un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto con metodi ecologicamente corretti e sostenibili, e il loro diritto a definire i propri sistemi alimentari e agricoli».

La Dichiarazione mette al centro dei sistemi e delle politiche alimentari chi produce, distribuisce e consuma e dà priorità alle economie e ai mercati locali e nazionali; sostiene i piccoli agricoltori e la pesca artigianale, il pascolo gestito dai pastori.

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I tre pilastri della sostenibilità

Ma soprattutto l’intero sistema agroalimentare deve basarsi sui tre pilastri della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica.

Secondo la definizione adottata dall’International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development (un progetto di valutazione avviato dalla Banca Mondiale a cui parteciparono 110 Paesi e sponsorizzato da FAO, Global Environment Facility, UNDP, UNEP, Unesco e OMS) nel 2008, «la sovranità alimentare è il diritto dei popoli e degli Stati sovrani a determinare democraticamente le proprie politiche agricole e alimentari».

Vediamo in queste parole delle dichiarazioni politiche, certamente, ma non di destra né di sinistra. Sono politiche per la protezione dell’ambiente (che è un patrimonio comune) nel rispetto dei diritti dei lavoratori a un equo compenso e dei consumatori a un cibo sano e di qualità.

Il Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare non è una novità sulla scena europea: anche la Francia ha denominato il suo dicastero Ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire.

Non produrre di più ma meglio

Oggi la sovranità alimentare si realizza in accordi di filiera trasparenti e in procedure sostenibili di commercio del cibo. Dal punto di vista strettamente produttivo significa abbandonare l’agricoltura intensiva – ritenuta altamente inquinante, basta pensare cosa comporta in termini di deforestazione selvaggia e perdita di biodiversità – per rafforzare le piccole produzioni.

Un cambiamento di rotta che porta automaticamente a valorizzare i prodotti legati ai territori.

Studi autorevoli, come quelli prodotti dalla FAO, dicono che la chiave per risolvere il problema dell’insicurezza alimentare nel mondo non è produrre di più, ma produrre meglio.

Ci sarebbe cibo per tutti, ma bisogna intervenire nelle fasi di conservazione, trasporto e stoccaggio dove avvengono ancora perdite inaccettabili.

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Italian Sounding, etichette e cibo sintetico

È opportuno sottolineare che più volte da associazioni nazionali dell’importanza di Coldiretti e Confagricoltura si è parlato di sovranità alimentare anche in dimensione internazionale. È il caso della protezione dei prodotti Made in Italy dagli attacchi scorretti sferrati dall’Italian Sounding, che a suon di Prosek o Parmesan cheese, false mozzarelle di bufala o improbabili prosciutti recano un danno enorme alla produzione alimentare italiana in termini economici e di immagine.

Ricordiamo inoltre il dibattito ancora in corso sull’etichettatura fronte pacco, dove il sistema Nutriscore penalizza proprio i nostri prodotti più apprezzati all’estero.

La posizione sul cibo sintetico espressa dal neoministro Francesco Lollobrigida è identica a quella di Ettore Prandini e Massimiliano Giansanti: non si tratta di scoraggiare il consumo di carne ma di non incoraggiare quello di prodotti ricchi di additivi che di sostenibile hanno ben poco, sia negli ingredienti che nelle fasi di produzione.

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Slow Food: la sovranità alimentare non è autarchia

Se il caro energia riguarda tutto il Paese, dalle famiglie alle imprese di qualunque tipo e dimensione, la realizzazione di invasi per garantire riserve di acqua in tempi di siccità asseconda le richieste delle associazioni agricole.

Di sovranità alimentare parla anche Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food, che è stato un pioniere del tema: su questa si basa il lavoro di Slow Food da trent’anni.

La sovranità alimentare non è una difesa ottusa del Made in Italy, non è autarchia: Petrini precisa che è la libertà dei popoli di scegliere cosa e come produrre, cosa e come consumare, purché nel rispetto della salute dell’uomo e del Pianeta.

Pertanto la sovranità alimentare si oppone ai monopoli, allo sfruttamento delle multinazionali, alla globalizzazione selvaggia che impoverisce persone e ambiente.

Non un blocco delle importazioni ma regole trasparenti

Preferire cibo locale e di stagione è un vantaggio in termini di qualità e di impatto ambientale: quanto costa un’arancia che arriva dal Sudafrica o una pera che viaggia in aereo dall’Argentina?

O i pomodori cinesi, che sicuramente costano meno dei nostri ma in fatto di gusto, qualità e presenza di sostanze nocive sarebbero da evitare, per non parlare dell’impatto ambientale del trasporto?

Ma attenzione, questo non significa mettere uno stop alle importazioni dall’estero (anche perché i gusti dei consumatori sono diventati multietnici), ma stabilire regole più trasparenti.

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Varietà e biodiversità

Isabella Dalla Ragione, che presiede l’associazione Archeologia Arborea (si trova in Umbria, a Lerchi, nei dintorni di Città di Castello) ha fatto una suggestiva esposizione di mele del suo frutteto: specie a noi sconosciute, con un profumo inebriante, che non vedremo mai in nessun banco del mercato.

Ci ha spiegato che esistono 150 varietà autoctone di mela, ma noi mangiamo sempre le stesse 4-5 varietà.

La varietà va a braccetto con la biodiversità, una garanzia di continuare ad avere cibo sano anche quando le condizioni esterne sono sfavorevoli (ci sarebbero infatti piante che resistono naturalmente a siccità, alluvioni, invasioni di parassiti, muffe).

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Innovazione tecnologica per la sostenibilità

Ultimo ma di primaria importanza è il tema dell’innovazione tecnologica, indissolubilmente legata allo sviluppo di un’agricoltura sostenibile.

Ricordiamo infine che l’agroalimentare italiano è un valore che nell’ultimo anno ha realizzato circa 60 miliardi di export.

Allora mettiamo da parte facili ironie, anche un po’ scontate, e guardiamo ai fatti, che sono quelli che contano davvero. E tra i fatti l’attenzione all’ambiente deve rimanere in prima fila.