di Angelo Riccaboni
L’epidemia COVID 19 e le attuali criticità dello scenario internazionale hanno ulteriormente acuito in questi ultimi due anni la necessità di promuovere sistemi agroalimentari sostenibili, ponendo particolare attenzione ai temi della resilienza e della sicurezza alimentare.
La pandemia secondo le stime della Banca Mondiale ha portato altre 97 milioni di persone oltre la soglia della povertà estrema e ha definitivamente evidenziato l’esigenza di seguire, nelle nostre analisi, una prospettiva One-Health, capace di considerare le forti connessioni fra nutrizione, salute delle persone e salute dell’ambiente.
La guerra fra Russia e Ucraina, al di là delle devastazioni economiche e sociali provocate, sta avendo impatti profondi anche sulle filiere agricole globali, considerando la rilevanza delle produzioni e delle esportazioni mondiali dei due paesi con riferimento a derrate di primaria importanza quali grano, mais, olio di girasole e fertilizzanti.
Come ben noto, Ucraina e Russia esprimono il 30% del mercato mondiale del grano e il 55% di quello dell’olio di girasole. La Russia è fra i principali esportatori mondiali di fertilizzanti. Le preoccupazioni in merito a possibili tensioni sociali stanno crescendo, tenuto conto che il grano è un alimento chiave per il 35% della popolazione mondiale e che 50 Paesi dipendono per almeno il 30% del loro fabbisogno dal grano ucraino e russo e 26 Paesi per più del 50%. Fra questi ultimi rientra l’Egitto, un Paese di oltre cento milioni di persone, al primo posto nella lista dei paesi importatori al mondo. Peraltro questo avviene in un anno in cui di gravi livelli di siccità nella maggior parte dei Paesi nord africani, e specialmente Tunisia, Algeria e Marocco.
Tutto ciò, insieme a restrizioni ai commerci e a questioni di logistica globale connesse alla guerra, sta contribuendo a generare forti difficoltà nel reperimento di molte materie prime e ad aumenti inusitati dei prezzi, con riferimento, in primis, al grano, arrivato ai massimi storici. Alcune delle maggiori ripercussioni si stanno già manifestando nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, che vivono su una dieta essenzialmente cerealicola.
Se poi consideriamo gli aumenti dei costi dell’energia collegati al conflitto e fenomeni speculativi che erano in atto già prima dell’invasione, lo scenario che abbiamo di fronte è certamente preoccupante. Le conseguenze di tale situazione sarebbero particolarmente pesanti per le fasce più vulnerabili, provocando ulteriore diffusione della povertà alimentare, fenomeno che va contrastato in tutti i modi, sia con interventi legislativi e sussidi diretti sia promuovendo ulteriormente le iniziative di recupero e valorizzazione dei prodotti agro-alimentari invenduti che qualificano il nostro Paese.
L’evoluzione in corso fa sì che in tutto il mondo si stia ponendo con forza il tema dell’autonomia alimentare dei singoli Paesi e di come assicurare la sicurezza alimentare, ovvero, secondo la definizione della FAO, la situazione in cui “tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano le loro necessità e preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana”. Tema che per troppo tempo è stato considerato come una questione inerente soltanto alle aree in via di sviluppo.
Per vincere la sfida della sicurezza alimentare e promuovere sistemi agroalimentari più sostenibili è necessario favorire la cooperazione tra tutti gli attori, istituzionali e non, in una prospettiva multilaterale e multi-attoriale che investa nella ricerca di sinergie, alleanze e partenariati di lungo periodo.
Interventi europei urgenti, volti a fronteggiare nel breve termine le lacune di derrate alimentari attraverso l’aumento delle superfici coltivate, il supporto al trasporto delle derrate e la distribuzione di cibo nelle aree a maggior sofferenza sono certamente utili e indispensabili.
Oltre a tali iniziative, occorre definire, però, un’impostazione strategica, che superi una logica di tipo emergenziale e persegua con decisione l’obiettivo di medio-lungo termine di costruire sistemi agroalimentari euro-mediterranei sostenibili e resilienti rispetto alle crisi future. Questo significa, innanzitutto, contribuire al rafforzamento delle istituzioni politiche dell’area, perché abbiamo già sperimentato le conseguenze di lunghi e dolorosi periodi di incertezza.
La crisi alimentare costituisce un’importante sfida per l’Europa. Allo stesso tempo, potrà essere l’occasione per creare nuove e positive relazioni con un Continente con il quale il nostro futuro inevitabilmente si dovrà confrontare.
Sono necessari anche forti investimenti in infrastrutture idriche, logistiche e digitali, indispensabili per superare limiti strutturali che rendono molto difficile qualsiasi miglioramento delle performance di produzione e sostenibilità.
Occorrono poi maggiori investimenti congiunti, fra i vari Paesi, nella ricerca e nell’innovazione sui temi dell’energia, dell’agricoltura e dei sistemi idrici, nonché sul nesso fra loro esistente, per far sì che i produttori possano ottenere rese superiori malgrado le crescenti difficoltà climatiche.
Un importante esempio di collaborazione fra centri di ricerca e imprese euro-mediterranei è rappresentato dal Programma PRIMA, promosso e finanziato dalla Commissione europea e 19 Paesi dell’area, che, con un budget di 500 milioni di euro, ha già finanziato 170 progetti di ricerca e innovazione sui temi delle pratiche agricole sostenibili, l’uso efficiente dell’acqua in agricoltura, la valorizzazione delle filiere agro-alimentari e il nesso fra acqua, energia, cibo e ecosistemi.
Per quanto riguarda più strettamente l’Italia, le forti competenze e la qualità della ricerca agroalimentare saranno ulteriormente potenziate e valorizzate anche dalle rilevanti misure previste nel PNRR, ed in primis il Centro nazionale Agritech e il Partenariato esteso ‘Modelli per un’alimentazione sostenibile’. Tali investimenti contribuiranno anche ad affrontare le difficoltà di accesso all’ecosistema dell’innovazione da parte delle imprese del settore, dovute sia a tradizionali difficoltà di dialogo sia dalle ridotte dimensioni delle aziende.
Per vincere la sfida della sicurezza alimentare nel medio-lungo andare le imprese devono migliorare la quantità e la qualità, compresa la sostenibilità, delle loro produzioni e della loro offerta sul mercato, garantire la sostenibilità delle loro attività operative e contribuire a costruire filiere sempre più attente ai temi ambientali e sociali.
Le sospensioni di alcuni vincoli ambientali nelle produzioni agricole, oggi indispensabili per superare momenti di oggettiva difficoltà negli approvvigionamenti, pertanto devono essere transitorie e attentamente definite e monitorate.
Del resto, chiunque si occupi di produzioni agricole constata tutti i giorni che gli effetti del cambiamento climatico si stanno già ripercuotendo, purtroppo, sulle rese e le qualità ottenute e che, dunque, proprio per garantire la sicurezza alimentare, non esiste percorso alternativo alla riduzione dell’impatto dell’agricoltura sull’ambiente e al ricorso a politiche di adattamento.
Utilizzare con più attenzione ed efficienza il suolo, i fertilizzanti, l’energia, l’acqua, le sementi, priorità oggi cruciali per la sicurezza alimentare, sono temi caratterizzanti dello sviluppo sostenibile.
Non si può dimenticare, infine, che una volta che l’attuale crisi geopolitica verrà superata, i regolatori e i consumatori saranno ancora più esigenti rispetto all’allineamento delle produzioni agricole ai principi e agli obiettivi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Per questi motivi, nello scenario in corso di affermazione occorre aderire con ancor più convinzione ad una prospettiva di sostenibilità integrata, ambientale, sociale ed economica, in piena linea con la sostanza dell’Agenda 2030.
Probabilmente alcune regolamentazioni come quella europea in corso di definizione in attuazione della Strategia Farm to Fork dovranno rivedere alcuni degli obiettivi intermedi. Ciò non deve portare ad un cambiamento di traiettoria rispetto all’adozione di modelli di produzione e di distribuzione sempre più attenti all’uso delle risorse ambientali e all’equità sociale, capaci di ridurre le perdite alimentari e lo spreco di cibo, promuovendo regimi alimentari in linea con le diete sane e sostenibili e introducendo meccanismi di governo più trasparenti e inclusivi.
Le imprese agroalimentari italiane hanno migliorato sensibilmente, in questi anni, le proprie performance di sostenibilità, come testimoniato dalla riduzione nell’uso di fitofarmaci e nella percentuale di suolo dedicato all’agricoltura biologica. Bisogna, però, che le imprese diventino ancor più familiari con la grammatica della sostenibilità, ovvero comprendere qual è il significato della sostenibilità, come introdurla nelle attività operative, come monitorarla e come comunicarla. Questo vale, in particolare, per le aziende minori, che se non opportunamente sensibilizzate sull’argomento rischiano di essere marginalizzate dal crescente interesse dei consumatori e dei regolatori verso i temi della sostenibilità. Bisogna supportare le imprese nel valutare il proprio grado di sostenibilità, così da comprendere i proprio punti di forza e quelli di debolezza, e definire opportuni percorsi di investimento e miglioramento. Il Progetto Imprese 2030, promosso dal Santa Chiara Lab dell’Università di Siena ed altri centri di ricerca nazionali e internazionali costituisce un supporto concreto in tale direzione.
Il percorso verso la sostenibilità, oltre che a beneficio dell’ambiente e della società, andrebbe a vantaggio delle imprese stesse, perché consentirebbe di cogliere nuove opportunità di mercato, soddisferebbe le esigenze dei portatori di interesse e dei regolatori, aiuterebbe nel rinvenire risorse finanziarie, specialmente se capace di valorizzare gli elementi identitari delle produzioni agroalimentari, e in particolare la loro connessione con i territori e le culture locali. Sarebbe inoltre utile ad attrarre verso il settore le nuove generazioni, sempre più attente ai temi della sostenibilità. Va inoltre ricordato che tale evoluzione può consentire alle aziende interessanti risparmi relativi al minor utilizzo di fattori della produzioni e nuovi ricavi, legati a nuove linee di business. Pensiamo, ad esempio, alla generazione di energia elettrica dai campi agro-fotovoltaici e all’introduzione di soluzioni di economia circolare che permettono la valorizzazione dei residui delle lavorazioni agricole. Per sfruttare tali opportunità, saranno utili gli incentivi previsti dal PNRR.
Riuscire a far sì che i produttori agricoli conseguano una giusta redditività, del resto, è uno degli obiettivi da perseguire con più decisione da parte dei legislatori, della ricerca e delle filiere, anche attraverso opportune modulazione degli stessi contratti di filiera, per garantire aziende e lavoratori che occupano una posizione centrale per la sicurezza alimentare, la sostenibilità ambientale e la bellezza delle nostre campagne. Consentirebbe inoltre di rendere più attrattivo il comparto per i giovani, le donne e il personale più qualificato, di cui c’è enorme bisogno.
La sicurezza e la sostenibilità dei sistemi agroalimentari richiede l’impegno di tutti i Paesi. A tal fine può rivelarsi preziosa la diffusione, anche in altri contesti, del modello della filiera agroalimentare italiana.
Come noto, le caratteristiche di tale modello possono essere così sintetizzate.
- Centralità delle piccole e medie imprese, che per definizioni sono più flessibili e reattive al cambiamento, consentendo quella differenziazione delle produzioni che costituisce un elemento chiave per la resilienza.
- Attenzione ai territori e capacità di valorizzare, attraverso prodotti di qualità, l’elevato grado di biodiversità del nostro Paese, le differenti produzioni agroalimentari e le eterogenee culture locali del cibo. Va peraltro evidenziato che le nostre filiere sono al centro non solo del nostro sistema agroalimentare ma anche della nostra economia, tenendo conto che il settore vale circa un sesto del PIL e che le esportazioni hanno ripreso a superare le importazioni. Sono inoltre fortemente connesse alla nostra cultura per il ruolo che il cibo ricopre nel nostro sistema di valori e nella vita sociale del Paese.
- Esistenza di fruttuose forme di collaborazione fra i vari attori che le compongono (imprenditori agricoli, aziende di trasformazione e di distribuzione, consumatori), spesso coerenti nel promuovere stili di vita sani, in linea con i principi della dieta mediterranea. In tale modello, molteplici sono i casi di filiere corte di successo, che si fanno valere anche nei mercati internazionali, a volte integrandosi in processi produttivi globali.
- Relazioni fra settore privato e istituzioni in grado di portare risultati interessanti. Ne sono buoni esempi le relazioni esistenti con il MIPAAF, con le regioni e con il MAECI, nell’ambito, in particolare, del Tavolo Nazionale della Sicurezza Alimentare. Tali relazioni, fra l’altro, sono state preziose a supporto del nostro governo nel successo ottenuto, nell’ambito del recente Food System Summit, nel bloccare i tentativi di promuovere visioni dei sistemi agroalimentari e regimi dietetici lontani da quelli tipici del nostro Paese e della nostra cultura.
La diffusione del modello italiano e la ulteriore integrazione delle nostre filiere, anche grazie agli importanti investimenti previsti nel PNRR, insieme alla crescente attenzione dei consumatori di tutti i Paesi verso diete sane e sostenibili come la Dieta Mediterranea, potranno promuovere ulteriormente l’attenzione verso le nostre produzioni e creare proficue opportunità di cooperazione e di mercato per le nostre imprese.
Perché il modello della filiera agroalimentare italiana possa esprimersi al meglio, saranno determinanti i percorsi di attuazione della strategia Europea Farm to Fork e della Politica Agricola Comune (PAC).
Occorre evitare, in particolare, che la definizione di sostenibilità cui le imprese dovranno attenersi, le modalità di valutazione e incentivazione finanziaria delle performance di sostenibilità delle singole produzioni e delle aziende agroalimentari e gli strumenti obbligatori di comunicazione a favore dei consumatori siano basati su approcci semplicistici e poco rigorosi, tagliati su modelli propri di altri Paesi e sulle grandi dimensioni aziendali. Questo potrebbe minare l’attenzione dei consumatori e degli investitori nei confronti proprio delle imprese più piccole e più vicine ai contesti e alle culture locali e portare ad una omogeneizzazione delle produzioni. Del resto, il recente Food System Summit e la Dichiarazione di Matera siglata nell’ambito del G20 a guida italiana sottolineano la necessità che per ottenere sistemi agroalimentari sostenibili e la sicurezza alimentare siano valorizzate le differenti esperienze produttive (no-one size fits all strategy).
Per contribuire alla sicurezza alimentare e a sistemi agroalimentari sostenibili e resilienti occorre infine ricordare la necessità che i cittadini diventino protagonisti di un consumo veramente responsabile, che riduca sprechi e perdite, induca produzioni agricole responsabili, premi le aziende più attente. Questo richiede un impegno da parte del settore della formazione per offrire un’educazione alimentare che promuova stili di vita sani e attenti all’ambiente, facendo leva sui principi delle diete sostenibili.
In sintesi, le preoccupazioni del momento sono certamente profonde e stanno mettendo in difficoltà il sistema agroalimentare italiano. Allo stesso tempo, la forza e le potenzialità della nostra cultura del cibo e delle nostre filiere e il supporto delle risorse del PNRR costituiscono elementi che fanno intravvedere interessanti opportunità per le produzioni e per le imprese del Paese. Tali occasioni potranno essere pienamente colte, però, solo se verrà ulteriormente rafforzata la capacità dei vari attori coinvolti, imprese, associazioni, istituzioni nazionali e regionali, centri di ricerca e università, finanziatori, regolatori, di collaborare fattivamente e in una prospettiva strategica nell’interesse di un settore che possiede potenzialità ancora in parte inespresse per il benessere sociale ed economico del nostro Paese.