Uno studio dell’Università di Utrecht fa il punto sulla situazione dei sistemi alimentari. L’attuale produzione di cibo è la causa principale della perdita di biodiversità, che invece deve essere la componente chiave per garantire la produzione di cibo e la sua resilienza ai cambiamenti climatici e ambientali
di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – Se non cambiamo i sistemi alimentari, la biodiversità e la sicurezza alimentare saranno seriamente a rischio in un futuro non lontano.
Produzione di cibo e perdita di biodiversità
«C’è un urgente bisogno di cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo cibo. L’attuale produzione di cibo è la causa principale della perdita di biodiversità; questa non deve essere “spogliata” dai sistemi di produzione alimentare, bensì essere la componente chiave per garantire la produzione di cibo e la sua resilienza ai cambiamenti climatici e ambientali», ha dichiarato Merel Soons, docente di Plant Dispersal Ecology and Nature Conservation nell’Università di Utrecht (Olanda) e vicepresidente del Future Food Hub di Utrecht, una piattaforma per scienziati e stakeholder è sulla quale convergono gli studi sulla transizione sostenibile dei sistemi alimentari.
Le monocolture esauriscono i nutrienti del suolo
«Negli ultimi trent’anni, un’area più grande del Sudafrica è stata disboscata nelle foreste per far posto alle coltivazioni alimentari. La perdita di habitat per milioni di organismi è così grave che ora più di 42mila specie sono a rischio di estinzione».
I nostri sistemi agroalimentari sono concepiti per produrre il più possibile al costo più basso possibile, con enormi costi ambientali e sociali.
L’aumento delle monocolture, ad esempio, esaurisce i nutrienti del suolo e genera un circolo vizioso. Gli agricoltori sono costretti a utilizzare fertilizzanti chimici per stimolare la crescita delle piante; i fertilizzanti sconvolgono la composizione naturale del suolo, spostano milioni di organismi dai loro habitat naturali e causano la perdita della biodiversità.
Le monocolture sono anche altamente suscettibili alle malattie delle piante e ai parassiti: un fungo o un’invasione di insetti possono devastare un intero raccolto. Privata dei meccanismi protettivi del ciclo naturale, l’agricoltura ha bisogno di altre sostanze chimiche per combattere i parassiti.
Infine, pesticidi e fertilizzanti penetrano nelle acque sotterranee e inquinano le falde.
Lo studio sui sistemi alimentari resilienti
Come nutrire la popolazione mondiale in crescita nei prossimi decenni? Finora si è sempre pensato che per nutrire più persone serve coltivare più terra: oggi tre quarti del terreno disponibile per l’agricoltura è già coltivato e consuma il 70% delle risorse idriche, peraltro messe in crisi dalla siccità.
I ricercatori dell’Università di Utrecht stanno studiando come creare sistemi agricoli più resilienti al cambiamento climatico, ridurre le sostanze chimiche e il consumo di acqua e di energia, sperimentare nuovi tipi di coltivazioni in grado di resistere alla siccità come alle inondazioni.
Studiando i meccanismi di autodifesa delle piante, i ricercatori di Utrecht hanno scoperto che alcuni microbi rafforzano il loro sistema immunitario e la resistenza alle infezioni.
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Perché non impiegare questi microbi benefici alle piante coltivate? Infatti i ricercatori hanno visto che rimangono attivi nel terreno anche dopo la morte della pianta, e possono proteggere la generazione successiva di piante. Il passo successivo degli studiosi è coltivare questi microbi in laboratorio e applicarli ai semi per ottenere terreni resistenti alle malattie senza usare pesticidi o fertilizzanti.
All’Università di Utrecht si prende in considerazione anche l’editing del genoma, ritenuta una strada interessante per arrivare a pratiche agricole ecologiche.
In fondo, quasi tutte le piante che coltiviamo sono state modificate per farle durare più a lungo, dare un sapore più gustoso, migliorarne le proprietà nutrizionali o sopravvivere in condizioni sfavorevoli.
A tale proposito Sjef Smeekens, docente di Fisiologia molecolare delle piante, fa l’esempio della coltivazione selettiva del cavolo selvatico che nel tempo ha portato alle colture odierne, come cavolfiori e broccoli.
Non mancano le modifiche utili in caso di allergie e intolleranze: all’Università di Wageningen (Olanda) una modifica genetica ha reso il grano sicuro da mangiare per i celiaci.
La provenienza del cibo
Dovremmo interrogarci di più sulla provenienza di quello che mangiamo. Sinceramente, quanti di noi lo fanno nei corridoi dei supermercati? Vedendo gli scaffali pieni ci illudiamo che la varietà di scelta sia anche varietà di biodiversità.
Invece è un’illusione: quella varietà è basata su pochissime colture. Avvertono gli studiosi che due terzi della produzione globale proviene da nove specie di piante su seimila, ma il cambiamento climatico sta suonando ripetuti allarmi. Certe condizioni possono cambiare e certe sicurezze potrebbero venire meno: lo abbiamo visto con la pandemia, con la guerra, con i rincari dell’energia. E se giocassimo d’anticipo cambiando abitudini e scegliendo soluzioni innovative per i nostri sistemi alimentari?
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Non siamo solo ciò che mangiamo, i nostri sistemi alimentari impattano sulla salute del Pianeta. Mangiare è un atto politico, possiamo scegliere e fare la differenza con i nostri comportamenti. Sembra che i consumatori stiano gradualmente orientando le loro preferenze di acquisto verso soluzioni più sostenibili e più rispettose della natura: tutti abbiamo diritto a un cibo sano e a un ambiente sano.
Il vero cambiamento, tuttavia, deve essere sistemico e presupporre una rotta diversa anche da parte delle imprese e della politica.