Il rapporto di Chatham House per l’Unep spiega come va cambiato il sistema alimentare globale
(Rinnovabili.it) – Cosa c’è dietro la perdita di biodiversità a ritmo accelerato che registriamo in tutto il mondo? In gran parte bisogna puntare il dito contro il sistema alimentare globale. Il modo in cui produciamo il nostro cibo è uno dei principali vettori della diminuzione di diversità biologica sul pianeta. Tanto che l’agricoltura, da sola, è oggi la minaccia principale per l’86% delle quasi 30mila specie considerate a rischio estinzione.
Che fare, dunque? I suggerimenti per cambiare rotta non mancano, e un rapporto appena pubblicato da Chatham House e commissionato dall’Unep, l’agenzia dell’Onu per la protezione ambientale, si inserisce nella scia dei numerosi studi in materia.
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Prima di tutto, la radice del problema. Per il prestigioso pensatoio inglese, tutto discende dal fatto che ci basiamo su un paradigma sballato, incoerente e dannoso. Il sistema alimentare globale, scrivono gli autori, è fondato sul paradigma del ‘cheaper food’, letteralmente del cibo più economico. Cosa significa?
Per Chatham House il modo di produzione contemporaneo genera un circolo vizioso. I bassi costi del cibo a buon mercato generano una maggiore domanda di cibo e più sprechi. A cui si aggiunge più concorrenza, che spinge i costi ancora più in basso. Come? Attraverso la messa a coltura di più terreni naturali e l’uso maggiore di fertilizzanti e pesticidi inquinanti. Monocolture, produzione intensiva sono gli effetti più evidenti di questo sistema. Insieme al moltiplicarsi delle superfici dedicate a sostenere l’allevamento: l’80% delle terre coltivate serve esclusivamente a supportare il bestiame.
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Il rapporto del think tank di Londra individua 3 soluzioni, o meglio tre ambiti su cui far leva per cambiare il paradigma del sistema alimentare globale. Primo: dobbiamo cambiare dieta. L’obiettivo, a tendere, è convergere verso una dieta basata su piante e vegetali molto più di quanto non lo sia ora. Solo così, scrivono gli autori, si può alleviare seriamente la pressione sugli ecosistemi.
Secondo ambito: servono più aree protette. Non c’è altro modo per tutelare la biodiversità se non quello di sottrarre alla produzione e alle attività umane una quota dei terreni e degli ecosistemi. Il terzo tassello scardina il mantra della monocoltura: servono invece policolture, quindi una diversa organizzazione del sistema di produzione del cibo su scala globale.