Rinnovabili

Serre e fotovoltaico, una risposta alla crisi dell’energia

Serre e fotovoltaico,
Impianto di agrumi coltivato da Le Greenhouse nelle serre fotovoltaiche di Scalea (CS). Foto 2021

di Isabella Ceccarini

La legge 27 aprile 2022, n. 34 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° marzo 2022, n. 17, recante misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali) contiene un passo che riguarda da vicino gli agricoltori.

Nell’art. 11 è stato inserito l’art. 11-bis relativo a riconversione e incremento dell’efficienza energetica degli impianti serricoli. Mentre si parla dei costi energetici che mettono in ginocchio le aziende agro-zootecniche incentivare l’introduzione del fotovoltaico rappresenta un punto di svolta: non solo impianti nuovi, ma soprattutto recupero e adeguamento dell’esistente.

Quali sono le potenzialità del fotovoltaico in agricoltura? È davvero un investimento conveniente per gli agricoltori? Ne parliamo con Alessandra Scognamiglio, coordinatrice della Task Force ENEA per l’Agrivoltaico Sostenibile.

Quanti sono gli impianti serricoli in Italia?

Una stima della quantità di serre disponibili si aggira intorno ai 30.000-40.000 ettari e sono prevalentemente destinate a piante orticole o frutticole

Qual è il potenziale energetico di questa misura? Esistono delle stime sulla capacità fotovoltaica installabile nelle serre italiane?

Non è facile fare una stima del potenziale di potenza di fotovoltaico installabile, poiché di tutte le serre disponibili si dovrebbe valutare quale sia la porzione adatta (per varie condizioni, prevalentemente morfologiche e strutturali) all’impiego del fotovoltaico.

Inoltre, l’impiego del fotovoltaico andrebbe anche valutato in base alle colture presenti in serra e agli effetti che l’ombreggiamento riconducibile all’impiego dei moduli fotovoltaici (opachi) produrrebbe su di esse.

Quando si passi poi al potenziale di producibilità energetica, bisognerebbe fare altre valutazioni in merito alla localizzazione delle serre e alle caratteristiche del sito in termini di risorsa solare, oltre a considerazioni specifiche legate agli orientamenti delle serre stesse.

Pertanto, il potenziale di questo provvedimento non è facile da stimare e richiederebbe un’analisi accurata.

Quali strutture si possono definire serre?

Nelle serre ricadono le strutture permanenti che hanno un involucro rigido che può essere di vetro o di materiali plastici di vario tipo.

In realtà, quando diciamo serre molto spesso includiamo impropriamente anche i tunnel realizzati in materiali plastici leggeri. Questa tipologia sembra comunque presentare un potenziale rispetto al fotovoltaico, se si accetta di modificarne la morfologia e di sostituire delle strutture temporanee (come i tunnel) con delle strutture permanenti.

In particolare, nell’ultimo anno, in Germania hanno dimostrato che un sistema semi aperto realizzato con una sezione a falda composta da due moduli fotovoltaici semitrasparenti inclinati consente di confinare un ambiente con un livello di controllo del microclima interno paragonabile a quello tipico di un tunnel

Il comparto agricolo potrà fare un salto di qualità dal punto di vista energetico? Ovvero, la riconversione degli impianti serricoli in siti agroenergetici sarà una valida alternativa all’aumento dei costi di elettricità e gasolio?

In linea di massima il sistema di produzione di energia delle aziende agricole è abbastanza arretrato. Sono pochissime le aziende agricole italiane che si sono dotate di sistemi di generazione di energia rinnovabile, peraltro sono quelle che in questo momento riescono a resistere meglio perché non sono soggette agli aumenti dei costi dell’energia.

Disporre di un sistema di produzione di energia da fonte rinnovabile consente a un’azienda agricola una produzione che può essere immessa sul mercato nel momento più favorevole dal punto di vista economico.

Ad esempio, disporre di sistemi di riscaldamento e/o raffreddamento alimentato da rinnovabili consente di produrre primizie o di conservare i prodotti.

L’azienda agricola in sé può anche avere un consumo energetico abbastanza basso, ma quando andiamo a guardare a tutto il processo i consumi energetici sono abbastanza alti.

Tutto il comparto dell’agrifood non è legato solo alla produzione agricola, ma anche alla trasformazione del prodotto, quindi bisogna considerare anche la lavorazione e la distribuzione.

Se si utilizzano sistemi agricoli energivori, l’impronta energetica è molto alta; la ditta che volesse fare un passo avanti sul fronte dell’energia ne avrebbe sicuramente un beneficio importante.

Qual è la resilienza delle serre fotovoltaiche agli effetti dei fenomeni meteorologici estremi connessi ai cambiamenti climatici?

Il tema della resilienza al cambiamento climatico è stato introdotto in diverse misure del PNRR. Si tratta di un aspetto estremamente difficile da definire e da valutare, in quanto andrebbero definiti degli indicatori di prestazione e delle metodologie di calcolo adeguati.

Tuttavia, per fare un esempio in cui certamente il ricorso alla serra in sostituzione di una coltivazione in piena aria si può dire abbia contribuito a migliorare la resilienza agli effetti del cambiamento climatico possiamo fare riferimento a un impianto serricolo realizzato nel 2010 a La Réunion, nell’Oceano Indiano, da Akuo Energy.

La Réunion è un’isola molto esposta agli uragani, e per questo sostanzialmente non ha nessuna produzione agricola continua. Attraverso la realizzazione di serre capaci di resistere ai cicloni è stato possibile realizzare l’obiettivo di produrre diverse colture anche in maniera continua nel corso dell’anno.

L’idea era mettere a punto un modello in cui l’operatore energetico potesse avvalersi della superficie della serra e questa fosse capace di resistere ai cicloni e garantire agli agricoltori una produzione continua nel corso dell’anno.

In linea di massima le serre fotovoltaiche possono resistere a eventi climatici avversi legati al cambiamento climatico, ma devono essere progettate opportunamente. Una variazione rispetto allo standard di solito comporta un incremento di costo, che non è semplice da far accettare a un eventuale utilizzatore.

Trasformare una serra in una serra fotovoltaica, per un imprenditore agricolo, comporta una complessità nella gestione del progetto e poi della realizzazione, che non sempre un imprenditore è disposto ad accettare.

Nella nostra esperienza sul campo abbiamo constatato che le aziende più disposte al cambiamento sono quelle che hanno un management abbastanza giovane, una seconda generazione di agricoltori che hanno studiato, sono tornati in campo e amano l’innovazione.

Il solo incentivo economico non credo sia ancora una condizione sufficiente, c’è bisogno di un’intenzione di miglioramento dell’azienda che precede o almeno accompagna una possibile disponibilità all’investimento.

Cosa succede quando gli impianti fotovoltaici arrivano a fine vita? Sono riutilizzabili e davvero sostenibili dal punto di vista ambientale?

La normativa relativa allo smaltimento dei moduli fotovoltaici è del tutto sovrapponibile a quella degli elettrodomestici che usiamo comunemente (ricadono nella categoria RAEE, Rifiuti di Apparecchi Elettrici ed Elettronici), quindi si tratta di procedure già stabilite da tempo.

Il fotovoltaico per fortuna non contiene materiali tossici o inquinanti, quindi da questo punto di vista non presenta problemi.

ENEA ha brevettato un nuovo processo a basso consumo energetico e ridotto impatto ambientale per il recupero dei principali componenti dei pannelli fotovoltaici in silicio cristallino a fine vita. Il processo consente di separare i materiali utili, come strati polimerici, contatti elettrici, celle e vetro, e di smaltire il resto in sicurezza.

Ciò non significa che non dobbiamo porci il problema dello smaltimento dei moduli fotovoltaici, perché la scala delle realizzazioni diventa sempre più grande.

Uno dei temi importanti sui quali si sta ragionando adesso è proprio quello della sostenibilità: di fronte a una richiesta crescente di fotovoltaico si cerca di capire come fare a garantire nel tempo una fornitura sostenibile.

Si lavora sui singoli materiali che compongono i moduli quindi sulla sostenibilità dei singoli materiali. Si cerca di migliorare l’efficienza, che significa impiegare meno materiale e averne meno da smaltire; quindi i progetti di ricerca più innovativi sono quelli che cercano di recuperare ciò di cui è composto il modulo.

Il tema dello smaltimento a fine vita dei moduli fotovoltaici ricorre molto spesso, e allora ho provato a quantificare il fotovoltaico che dobbiamo installare a terra entro il 2030 per raggiungere gli obiettivi del PNIEC: si tratta di circa 2 mq a persona.

Allora ho guardato quante automobili possiedono gli italiani e ho visto che ce n’è una ogni due persone. Un’automobile ha una superficie tra 4 e 5 mq.

Mi sono chiesta perché non ci facciamo le stesse domande per tutto? Il fotovoltaico impatta sul paesaggio, ma anche le auto. Il fotovoltaico produce energia tutta la vita, l’auto ne consuma tutta la vita e va anch’essa smaltita.

Dovremmo farci le stesse domande per tutto quello che consumiamo quotidianamente, anche in termini di quantità, ma è un messaggio difficile da far passare.

Andrebbe cambiato l’approccio di principio: in tutto il suo ciclo di vita il modulo produce energia e la produce in maniera pulita. Rispetto a qualsiasi materiale ha un “credito energetico” che è difficile annullare perfino quando si pensa a un modulo difettoso o che non dura cento anni ma solo quaranta.

Secondo Lei cambierà l’approccio nei confronti del fotovoltaico?

È un percorso complesso, ma sono abbastanza ottimista. Proprio con questo obiettivo l’ENEA ha lanciato un concorso di progettazione internazionale di paesaggio per un giardino agrivoltaico presso la sede di una ditta che fa parte della nostra rete e si è offerta come promotrice. Il premio sarà l’incarico professionale.

L’idea è quella di promuovere un’idea di bello che sia anche etico. Il giudizio estetico non è soltanto visivo ma è molto condizionato dalla conoscenza, e qui penso che ci sia da lavorare moltissimo.

La pala eolica o il fotovoltaico lavorano per il bene comune, è quello che dovremmo riconoscere tutti.

In Germania, fino a poco tempo fa, quando realizzavano una miniera di carbone spostavano interi villaggi e demolivano chiese per un principio di pubblica utilità, non si capisce perché in Italia quando lo stesso principio di pubblica di pubblica utilità viene applicato all’energia rinnovabile diventa opinabile.

Exit mobile version