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Sequestro del carbonio, il ruolo dell’agricoltura

sequestro del carbonio
Foto di klimkin da Pixabay

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Minori emissioni di CO2, miglioramento della fertilità dei suoli, biodiversità, produttività delle aziende agricole. Su questi temi chiave per il mondo dell’agricoltura si è svolto l’incontro Carbon sequestration: il “nuovo” ruolo dell’agricoltura organizzato dai Giovani di Confagricoltura – Anga.

È possibile combinare queste esigenze in modo soddisfacente? Una delle risposte possibili viene dal carbon farming, ovvero l’impiego di tecniche agricole che permettono da un lato di facilitare il sequestro del carbonio nel suolo, nelle radici, nel legno e nelle foglie delle colture e dall’altro di ridurre la presenza di CO2 nell’atmosfera.

Scienza e impresa, obiettivi comuni

La gestione del carbonio in agricoltura può avvenire in vari modi. L’agricoltura rigenerativa, ad esempio, si avvale della semina diretta; le cosiddette colture di copertura impiegano essenze specifiche utili ad agevolare l’imprigionamento del carbonio nel suolo; la semina su sodo; l’interramento dei reflui zootecnici.

La sfida posta dai cambiamenti climatici è aperta, ma l’agricoltura è in grado di giocare un ruolo di punta, forte anche delle tecniche messe a disposizione dalla ricerca e dall’innovazione tecnologica.

Come ha sottolineato Francesco Mastrandrea, presidente dei Giovani di Confagricoltura – Anga, «sostenibilità economica e ambientale sono sfide sempre più importanti per gli agricoltori di oggi. Le tecniche collegate al carbon farming sono fondamentali per l’azienda agricola del futuro e non vogliamo mancare l’occasione di essere protagonisti di questa innovazione».

L’incontro moderato da Anga testimonia l’importanza della collaborazione tra il mondo scientifico e quello imprenditoriale per raggiungere un obiettivo comune: maggiore sostenibilità delle tecniche agricole e quindi neutralità carbonica.

A confrontarsi sul tema Mastrandrea ha chiamato Dwayne Beck, docente al Plant Science Department della South Dakota State University degli Stati Uniti e uno dei maggiori esperti al mondo di agricoltura rigenerativa, e Mauro Grandi, imprenditore di Confagricoltura, co-fondatore e dirigente di HiWeiss srl, start-up che produce isolati proteici da fonti vegetali.

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Un felice esempio di agricoltura rigenerativa

Dwayne Beck ha illustrato l’esperienza di Dakota Lakes Resarch Farm, un’azienda statunitense (si trova tra Denver e Minneapolis) che si occupa sia di produzione che di ricerca: in pratica, i ricavi della produzione finanziano le spese della ricerca in modo di essere liberi dall’ingerenza di interessi o di politiche particolari. Va da sé che la priorità della parte produttiva è la redditività.

«Le società agricole tradizionali hanno fallito perché si basavano su sistemi estrattivi e non ciclici».  Alla fine dell’Ottocento il ciclo dell’acqua nel South Dakota era stato gravemente danneggiato dalle tempeste di sabbia e da un’esondazione del fiume Missouri. La priorità era ripristinare il ciclo dell’acqua: dal 1986 si è provato a farla defluire con un sistema di irrigazione e nell’arco di quasi trent’anni si è riusciti a cambiare la frequenza delle colture.

Raggiungere risultati in un arco temporale trentennale presuppone la progettazione di obiettivi per il lungo periodo che hanno permesso anche di salvaguardare l’ambiente.

Beck intendeva migliorare le rese e la gestione dei processi dell’ecosistema attraverso la vegetazione naturale. «La maggior parte delle ricerche agricole tratta i sintomi ma non indaga le cause: c’è troppa enfasi sull’ottimizzazione di sistemi lineari che si basano sull’input e output senza prendere in considerazione i cicli. Il nostro approccio si basa invece su un’attenzione al terreno, alla diversità, alle condizioni delle radici, cerchiamo di non alterare il sistema, utilizziamo l’integrazione del bestiame. La salute del terreno è il risultato di azioni realizzate in modo appropriato: l’agricoltura rigenerativa imita la diversità e i cicli naturali».

Grazie a queste tecniche, entro il 2026 Dakota Lakes Research Farmsarà completamente neutra in termini di combustibili fossili. Infine, ha evidenziato come la società debba cambiare mentalità, pensando a degli obiettivi a lungo termine per agire nel modo migliore in un’ottica di salvaguardia ambientale.

Agricoltura e innovazione, binomio sostenibile

Mauro Grandi, titolare dell’Azienda Grandi di Barbianello (PV) ha iniziato ad applicare un processo di gestione virtuosa del carbonio nell’azienda cerealicola-foraggera di famiglia. Il primo passo è stata la riconversione dei terreni a partire dall’erba medica, cosa che ha portato all’azienda vantaggi e risparmi e la necessità di avere macchine adeguate per la seminazione.

L’incremento della sostanza organica ha comportato enormi benefici in termine di irrigazione e transitabilità delle macchine; oggi il 100% dell’azienda è gestita a sodo (tecnica agronomica che prevede l’utilizzo di apposite macchine che seminano direttamente in terreni non lavorati, occupati in superficie da residui di colture in avvicendamento, incluse le cover crops, o colture di copertura).

Le tecniche applicate da Grandi generano un bilancio positivo di accumulo di carbonio nel suolo sottraendolo all’atmosfera: «L’agricoltura non serve solo a produrre ma anche a dare un servizio alla collettività».

«Gli agricoltori devono essere testimoni e protagonisti di questa rivoluzione, che risponde a bisogni ambientali, sociali ed economici. Questo è l’obiettivo a cui dovremo lavorare nei prossimi anni. Siamo in un momento di definizione del piano strategico nazionale e si parla ancora poco di questi temi, il lavoro da fare è ancora molto», ha concluso Francesco Mastrandrea.

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