Gli ecoschemi e la condizionalità sociale fanno saltare la riforma della Pac
(Rinnovabili.it) – Questo ultimo giro di negoziati era iniziato male, in un clima alquanto gelido, ed è finito peggio. Tutto da rifare sulla riforma della Pac, dossier caldissimo che tiene occupate le istituzioni europee da ben tre anni. La Commissione si è arresa: impossibile trovare un punto di compromesso tra le istanze dell’europarlamento e quelle del Consiglio europeo, che rappresenta gli Stati membri. Tutto rinviato a giugno, si riparte dalla prossima riunione del comitato Agrifish.
La nuova politica agricola comune è uno dei capitoli più importanti per valutare quanto fa sul serio la Commissione guidata da Ursula von der Leyen sulla torsione verde dell’Europa. Il pacchetto vale 387 miliardi di euro, più o meno un terzo dell’intero budget settennale dell’Unione Europea. Comprensibile quindi l’assillo dei Ventisette e il pullulare di lobbisti attorno a una riforma del genere. Ma la nuova Pac è anche, forse soprattutto, uno dei tasselli fondamentali per realizzare il Green Deal e mettere sui binari giusti la transizione ecologica. Dalle nuove misure, infatti, dipenderà il livello di tutela della biodiversità, il grado di protezione e rigenerazione degli ecosistemi, la promozione di un modello di agricoltura e di allevamento più sostenibile.
Perché è fallita la riforma della Pac?
Come si è arrivati alla rottura? Questa ultima tornata di negoziati era partita col piede sbagliato. Parlamento e Consiglio si sono seduti al tavolo come si erano lasciati: senza alcun accordo sui punti chiave come gli eco-schemi, cioè quella parte di sussidi vincolati a pratiche sostenibili, e la condizionalità sociale, ovvero il controllo del rispetto dei diritti dei lavoratori del settore primario. E non sono mancati degli episodi piuttosto rivelatori del clima attorno a questo accordo: i ministri dell’Agricoltura dei Ventisette hanno messo gentilmente alla porta Frans Timmermans, vice-presidente della Commissione con delega al clima arrivato per tentare una mediazione, e hanno invece fatto parlare i lobbisti di Copa-Cogeca, il gruppo d’interesse che rappresenta le grandi aziende europee.
Una proposta di compromesso preparata dal Portogallo, che ha la presidenza di turno dell’UE e organizza i negoziati, è stata accolta con freddezza da entrambe le parti. Riguardava gli eco-schemi e proponeva di riservare a queste risorse vincolate una quota iniziale pari al 23%, che sarebbe poi salita gradualmente fino al 25% nel 2025. Il parlamento è rimasto fermo sulla sua richiesta del 30% e ha lavorato su una nuova proposta sulla condizionalità sociale, nel tentativo (vano) di far breccia almeno su questo fronte. Il Consiglio è restato invece fermo nel chiedere il 20% e non di più.
Anzi, ha impostato la marcia indietro. Nella notte del 26 ha preparato una controproposta che, ai parlamentari europei, è sembrata piena di scappatoie e ancor meno ambiziosa della precedente (oltre che basata su un’architettura molto più complessa). Proposta rispedita al mittente, a cui ne è seguita una seconda: bocciata pure questa.
Tra i punti chiave – e della discordia – anche il capping, cioè un meccanismo che mette un tetto massimo ai pagamenti diretti e che avrebbe dovuto garantire una redistribuzione delle risorse verso i piccoli e medi agricoltori. Meccanismo su cui puntava il parlamento per evitare di ripetere l’errore di fondo che ha inquinato la vecchia politica agricola comune, dove l’80% dei sussidi se li sono accaparrati il 20% di aziende più grandi, basate su modelli intensivi di sfruttamento delle risorse.
Accuse incrociate
Tutto è crollato questa notte, con molti ministri dell’Agricoltura che avevano lasciato la sede dei negoziati già venerdì mattina. Poi l’annuncio, il negoziato è ufficialmente fallito. Intanto è partito il rimpallo di accuse. Norbert Lins, eurodeputato relatore della riforma della Pac, accusa il Consiglio e la presidenza portoghese di turno. “Se vuoi un accordo, devi essere pronto a negoziare ed essere flessibile”, scrive Lins in una nota. “La Presidenza del Consiglio è sembrata sorpresa che non abbiamo semplicemente messo il bollino alla loro proposta di compromesso, ma abbiamo indicato le nostre linee rosse”.
Ma i delegati del parlamento europeo in conferenza stampa fanno sapere di essere disposti a scendere a compromessi su alcuni punti. Una mano tesa per chiudere il dossier al più presto. Quanta sia la disponibilità dall’altro lato del tavolo, è tutto da vedere. In conferenza stampa, la ministra dell’Agricoltura del Portogallo, Maria do Ceu Antunes, sfoggia un ottimismo che sembra francamente eccessivo. Secondo la ministra, che parla per tutto il Consiglio, i negoziati sono a buon punto e su molti nodi problematici ci sarebbe un accordo. Se Antunes non spiega perché, allora, tutto si è arenato, non perde occasione per ricordare che Consiglio e parlamento non sono solo co-legislatori (quindi con pari legittimità), ma “abbiamo anche gli stessi obiettivi, anche se la strada per raggiungerli può differire. Ci rimettiamo al lavoro da lunedì”.
Durissimo con il Consiglio anche il co-presidente del gruppo Verdi / ALE al parlamento, Thomas Waitz: “Gli Stati membri hanno affossato i negoziati sulla politica agricola comune con la loro testardaggine. I compromessi offerti dal Concilio erano pieni di ignoranza e stagnazione”.
Per Greenpeace – e per una parte consistente del mondo ecologista europeo – è l’occasione giusta perché la Commissione ritiri la sua proposta e resetti l’intero processo per farlo ripartire su binari più verdi. Secondo il direttore della politica agricola dell’UE di Greenpeace, Marco Contiero, “l’agricoltura europea ha un disperato bisogno di una vera revisione verde, non di altri sette anni di greenwashing. L’accordo attualmente sul tavolo manterrà le cose come stanno”, spiega. “È un tradimento dei piccoli agricoltori che perseguono un’agricoltura più ecologica e un disastro per la natura e il clima. L’unica cosa sensata che resta da fare è che la Commissione europea ritiri finalmente questa PAC e ne proponga una radicalmente nuova”.