Rinnovabili • Riforma della PAC: l’accordo finale non segue il Green Deal Rinnovabili • Riforma della PAC: l’accordo finale non segue il Green Deal

L’accordo sulla riforma della PAC inchioda al passato l’agricoltura europea

Raggiunta l’intesa tra Consiglio e Parlamento UE sui punti più scottanti. Ecoschemi, condizionalità sociale, GAEC, tetto massimo ai sussidi per azienda i temi già definiti. Poca ambizione climatica, la nuova politica agricola comune non impara dagli errori del passato. E dimentica, letteralmente, il Green Deal

Riforma della PAC: l’accordo finale non segue il Green Deal
Foto di Willgard Krause da Pixabay

Sulla riforma della PAC, l’Europa ha mancato un’occasione storica

(Rinnovabili.it) – C’è ben poco Green Deal nella riforma della PAC che ha ormai preso forma con l’ultima maratona negoziale. Tra ieri notte e stamattina Consiglio e Parlamento europeo hanno trovato un’intesa su tutti i nodi più complicati da sciogliere, dagli ecoschemi alla condizionalità sociale, alle misure previste per i capitoli GAEC.

Cos’è la riforma della PAC e perché è importante

La riforma della PAC è uno dei provvedimenti più attesi dagli osservatori tra le misure dell’Unione Europea per il clima. La politica agricola comune si mangia una gran fetta del bilancio comunitario, più del 30%, e vale quasi 400 miliardi di euro. Spenderli bene, facendo attenzione all’impatto su clima, biodiversità, stato di salute degli ecosistemi, è cruciale per rafforzare la politica climatica dell’Unione.

La vecchia PAC 2014-2020 da questo punto di vista è stata un fallimento. Lo ha messo nero su bianco, dati alla mano, una relazione della Corte dei conti europea pubblicata questa settimana. Secondo il rapporto, gli oltre 100 miliardi di euro che erano stati destinati all’azione climatica in agricoltura non hanno contribuito a ridurre le emissioni di gas a effetto serra prodotte del settore. Dal 2010 le emissioni legate all’allevamento – la metà di tutte quelle prodotte dal comparto – non sono calate. Sono invece addirittura aumentate quelle che originano da fertilizzanti chimici e concimi.

I capisaldi della riforma della PAC

Mentre i negoziatori finiscono di definire gli ultimi dettagli dell’accordo su questioni minori, i punti più importanti della riforma della PAC sono ormai chiariti. Stamattina è arrivata una fumata bianca dal “trilogo”, così è chiamato il formato negoziale tra Consiglio e Parlamento europeo, che condividono il potere legislativo, con la Commissione a svolgere un ruolo di mediatore. Ecco i punti principali dell’accordo per la nuova politica agricola comune.

Ecoschemi – Gli ecoschemi sono quella parte dei pagamenti diretti (che costituiscono il cosiddetto primo pilastro) che è vincolata a pratiche agricole ecologiche. La qualità della nuova politica agricola comune dipende in gran parte da quali pratiche vengono inserite sotto il cappello degli ecoschemi, e da quale percentuale dei pagamenti diretti coprono. Più le pratiche individuate sono sostenibili e più è alta la percentuale, più l’ambizione della nuova Pac è elevata.

Su questo punto, riportano i giornalisti di Euractiv, gli eurodeputati hanno strappato un accordo favorevole, che evita di affossare del tutto l’ambizione della PAC. In origine l’assemblea voleva per gli ecoschemi una quota del 30% mentre il Consiglio restava fermo al 20%, poi ulteriormente abbassato al 18%. Il compromesso finale fissa la quota al 25% con un periodo di transizione (learning period) di 2 anni e un tetto minimo (floor) del 20%.

Questo floor permette agli Stati di riutilizzare l’ammontare non speso tra il 20 e il 25%. Se un paese spendesse meno del 20%, dovrebbe compensare l’ammanco scegliendo fra 3 opzioni (meccanismi di compensazione), tra cui spendere nel primo pilastro (quindi rafforzare gli ecoschemi) o perdere i fondi. Sono poi previsti dei cosiddetti “rebates”, cioè dei meccanismi correttivi che lasciano agli Stati più flessibilità nell’orientare la spesa. Una spesa verde nel secondo pilastro (sviluppo rurale) superiore al 30% dei fondi può far scendere la quota da spendere per il primo pilastro del 50%.

Condizionalità sociale – Con questo termine la riforma della PAC indica una serie di misure per assicurare che i fondi comunitari non finiscano a quelle aziende che violano i diritti dei lavoratori, in cui sono ovviamente inclusi fenomeni come quello del caporalato. Anche su questo punto, il Consiglio era contrario e si era trincerato dietro l’esistenza di 27 legislazioni diverse in materia di lavoro e l’inutilità di duplicare i controlli.

La proposta di compromesso, accettata dalle parti, stabilisce che dal 2023 al 2025 l’applicazione della condizionalità sociale sia solo volontaria. Diventerà obbligatoria per tutti dal 2025, ma nel frattempo la Commissione dovrà monitorare l’impatto di questa misura nei paesi dove viene applicata e produrre uno studio, sulla cui base si valuterà se fare delle correzioni.

GAEC – La sigla sta per Good agricultural and environmental conditions, ovvero Buone condizioni agronomiche e ambientali. Si riferisce a una lunga serie di standard che riguardano aspetti come un livello minimo di manutenzione dei suoli non produttivi, protezione e gestione delle acque, erosione del suolo, sostanza organica del suolo, struttura del suolo. Sono quindi standard che impattano sull’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici, oltre che sullo stato della biodiversità europea e la capacità di tenuta degli ecosistemi. Sul capitolo GAEC7, il Consiglio è riuscito a strappare condizioni più flessibili, come su altri punti in questo ambito. Tutte variazioni che indeboliscono l’ambizione climatica della riforma.

Tetto ai pagamenti e altri punti deboli – La questione del tetto ai pagamenti (capping) è andata a favore del Consiglio. Non ci sarà alcun limite massimo per i sussidi che finiranno alle grandi aziende agricole, è prevista soltanto una redistribuzione del 10% dei fondi tra le aziende più piccole. La vecchia PAC aveva fornito l’80% dei sussidi al 20% di aziende più grandi, che sono anche quelle solitamente meno sostenibili. Da più parti si chiedeva un correttivo importante, che invece è stato completamente ignorato.

Su altri fronti, nei mesi scorsi i negoziati sulla riforma della PAC avevano ormai stabilito delle misure che, in molti casi, indebolivano la tutela del clima e le aspirazioni verdi della politica agricola comune. Tra queste, nessun obbligo per la PAC di essere allineata al Green Deal (il compromesso ne fa menzione, ma in una sezione della riforma che gli conferisce una base legale più debole), nessun meccanismo per monitorare le responsabilità degli Stati in caso di ulteriore deterioramento ambientale, parte della spesa del secondo pilastro che conta come spesa verde benché non abbia reali impatti sul clima.

Le reazioni alla riforma

L’europarlamentare Bai Eickhout dei Greens/EFA ha annunciato che voterà contro la riforma della PAC. Ha invitato liberali e socialisti a schierarsi contro la nuova politica agricola comune, affermando che “non è incisa nella pietra. Le nostre obiezioni rimangono”.

Per Harriet Bradley dell’ong BirdLife, “questo accordo sulla PAC è un tutti contro tutti travestito da cambiamento di sistema. Nulla impedisce ai paesi dell’UE di continuare a finanziare la distruzione della natura. Ciò è totalmente incompatibile con le promesse del Parlamento europeo di trasformare l’agricoltura e i loro impegni nell’ambito della legge sul clima e della strategia per la biodiversità. I deputati ora devono votare contro questa PAC se sono sinceri nel voler salvare il nostro pianeta”.