Per com’è oggi, la nuova politica agricola comune non è allineata con il Green Deal, la Farm to Fork e la strategia UE sulla biodiversità. Ecco come rimediare
Il trilogo UE sta per varare la riforma della PAC definitiva
(Rinnovabili.it) – Allineare la riforma della PAC con gli obiettivi UE su clima e biodiversità è “possibile ed efficiente”, lo dimostrano “prove scientifiche”. Ma le proposte di modifica della politica agricola comune approvate a ottobre da Consiglio ed europarlamento “indeboliscono in modo significativo gli strumenti ambientali della PAC, mantenendo o addirittura migliorando la distribuzione iniqua e controproducente dei pagamenti”.
Lo scrivono circa 40 scienziati europei in una lettera aperta diretta a Commissione, parlamento e Consiglio europeo. Le tre istituzioni da un mese sono impegnate in un dialogo a tre – il trilogo – per trovare l’accordo definitivo sulla riforma della PAC.
Una riforma della PAC “più giusta e più verde”
I firmatari dell’appello per una PAC più giusta e più verde lanciano alcune proposte puntuali nelle 23 pagine del documento. E toccano tutti i punti caldi della riforma. A partire dagli eco-schemi, quella parte (30%) di pagamenti diretti (primo pilastro) vincolata a pratiche agricole ecologiche. Vincolo che esiste in teoria, ma nella pratica le cose vanno diversamente. Perché una modifica del parlamento ha sovraordinato la convenienza economica alla tutela dell’ambiente: l’agricoltore è libero di mettere il profitto in cima a tutto.
Così l’appello chiede di garantire davvero “almeno il 30% del budget del primo pilastro per gli eco-schemi”, assicurarsi che “includano solo misure efficaci per la biodiversità”, e infine mettere in piedi un sistema adeguato di controllo per “ottenere impatti ambientali misurabili”.
Per tutelare al meglio la biodiversità, in linea con la strategia UE approvata di recente, la riforma della PAC dovrebbe “espandere la protezione dei pascoli permanenti oltre le aree protette (Natura 2000)” e mantenere o ripristinare almeno “il 10% di elementi paesaggistici non produttivi e seminaturali su tutta la superficie agricola utilizzata, piuttosto che solo sui seminativi”.
Per evitare che le aree sottoposte a vincolo naturale diventino solo uno strumento per bilanciare la continuazione di pratiche agricole non sostenibili, peraltro senza che la riforma della PAC individui dei criteri sostanziali con cui misurare il trade-off, gli scienziati propongono di “posizionare le aree soggette a vincoli naturali nel primo pilastro o legarle strettamente agli obiettivi ambientali e alla protezione delle regioni agricole ad alto valore naturalistico”.
L’appello contiene poi diversi aggiustamenti che riguardano il budget e i meccanismi per lo sblocco dei fondi e dei sussidi. In particolare, chiede che il budget per le misure agroambientali e climatiche sia scorporato, e che i paesi lo possano espandere ulteriormente. E chiede di permettere la possibilità per gli Stati di spostare parte del budget dal primo al secondo pilastro, quello dedicato allo sviluppo rurale.
Infine, l’appello fa pressione sulle istituzioni affinché venga creato un meccanismo credibile che monitori i flussi di pagamenti diretti e eviti che si ricada nel business as usual, cioè la sperequazione nella distribuzione dei fondi. Finora, l’80% della PAC è finita in tasca ad appena il 20% delle aziende. Quelle più grandi.