di Isabella Ceccarini
L’agricoltura è sempre più spesso al centro dei dibattiti globali. È sostenibile o no? Come può nutrire una popolazione in aumento senza annientare le risorse del Pianeta? È giusto considerarla solo una commodity o il suo valore deve essere rapportato al bene delle persone? È giusto aumentare la produttività ricorrendo a nuove tecnologie o è meglio ritornare ai buoni sistemi di una volta?
Agricoltura, un valore non solo economico
Ogni domanda si presta a tante risposte, ma forse la strada migliore da percorrere parte dal non considerare l’agricoltura solo dal punto di vista economico.
Il valore economico sicuramente esiste: è un settore produttivo molto redditizio, come sappiamo bene. I prodotti alimentari italiani sono una voce fondamentale del nostro Pil e pesano molto positivamente sulla nostra bilancia commerciale.
Tuttavia in questo meccanismo si sono inseriti negli ultimi anni alcuni elementi che fanno ritenere importante ripensare l’intero sistema dell’agricoltura, come suggerisce l’interessante documento Rethinking agriculture della European Environment Agency.
Il cambiamento climatico pone sfide sempre più dure, il quadro geopolitico mondiale ha rimesso in discussione le catene di approvvigionamento (aprendo il dibattito sulla sovranità alimentare e sull’autonomia strategica), la pandemia ha rimesso in discussione molte di quelle che credevamo certezze, il degrado ambientale ha quasi ultimato il conto alla rovescia, l’aumento dei prezzi rende difficile per molte famiglie un’alimentazione sana e regolare.
Le diverse interpretazioni dell’agricoltura
L’agricoltura deve, prima di tutto, fornire alle persone gli alimenti che soddisfano le esigenze nutrizionali. Ci sono però anche altri modi per inquadrare i sistemi agricoli.
Secondo la visione economica il mercato governa il settore agricolo e l’agricoltura è un elemento che contribuisce alla crescita economica e alla riduzione della povertà.
All’agricoltura spetta il compito di nutrire una popolazione mondiale che sfiorerà i dieci miliardi nel 2050, secondo le proiezioni della FAO. Una sfida complessa che deve aumentare la produttività e ridurre gli sprechi.
In questo senso l’agricoltura è legata al godimento di diritti umani fondamentali e può contribuire a garantire la democrazia alimentare e la sovranità alimentare, ad esempio attraverso un’agricoltura sostenuta dalla comunità.
L’agricoltura come sistema agroecologico parte da presupposti completamente diversi: l’aumento della produzione e dell’efficienza non sono sufficienti per conciliare la salute umana e dell’ecosistema con il benessere sociale.
Questa visione sostiene la riduzione delle sostanze di sintesi, cerca di migliorare la biodiversità e stimolare le interazioni tra le diverse specie per costruire la fertilità del suolo a lungo termine e ottenere agroecosistemi sani.
Agricoltura e tecnologia. Le sfide produttive e sostenibili si potrebbero vincere con l’aiuto della tecnologia e dell’innovazione: agricoltura di precisione, GPS, big data, sistemi per razionalizzare l’uso di fertilizzanti e pesticidi e l’irrigazione.
Agricoltori custodi del patrimonio rurale e dei paesaggi culturali valorizzando l’identità del territorio e le conoscenze ad esso legate da generazioni.
L’agricoltura, la silvicoltura e altre forme di utilizzo del suolo possono svolgere un ruolo importante nel sequestro del carbonio e nella produzione di biomassa per la bioenergia: quindi un’agricoltura non solo amica dell’ambiente, ma parte attiva nel risolverne i problemi.
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Più cibo non equivale a più salute
Il sistema alimentare parte dall’agricoltura per interconnettersi con catene di approvvigionamento internazionali, mercati finanziari, tecnologie. Nonostante ciò, la sicurezza alimentare è ancora un problema: più cibo non è sinonimo di salute. Basta pensare all’obesità e alle malattie legate alla cattiva alimentazione, spesso legate a disuguaglianze sociali.
Gestire l’agricoltura con lo sguardo fermo esclusivamente all’incremento della produzione è un errore che avrà conseguenze negative nel lungo periodo. L’agricoltura intensiva che produce a prezzi troppo bassi e con pochi scrupoli esercita una pressione fortissima sull’ambiente: maggiore consumo di risorse idriche, inquinamento delle falde, perdita di biodiversità e declino degli impollinatori, inquinamento chimico, perdita di salute e fertilità del suolo.
La salute del suolo e la biodiversità sono particolarmente importanti per la produzione agricola, ma ogni anno la perdita di suolo continua inarrestabile: alti livelli di erosione portano a una perdita di produttività agricola e costi economici significativi. La redditività a breve termine dell’agricoltura intensiva compromette la salute e la redditività del suolo a lungo termine.
In questo senso l’agricoltura contribuisce in modo significativo ai cambiamenti climatici, che a loro volta influiscono sull’agricoltura. Vediamo ormai troppo spesso – e quello che sta succedendo in Emilia Romagna è una drammatica conferma – verificarsi eventi estremi, sempre più violenti e ravvicinati nel tempo, che hanno conseguenze drammatiche sulle coltivazioni e sugli allevamenti.
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Salvaguardare i piccoli produttori
Il crescente mercato di alimenti trasformati toglie opportunità ai piccoli produttori. Tra il 2005 e il 2016, il numero di aziende agricole in Europa è diminuito di circa un quarto, secondo le rilevazioni Eurostat. È in corso l’accorpamento dei terreni in grandi proprietà fondiarie concentrate nelle mani di pochi proprietari terrieri e capitali stranieri, con un effetto negativo sulla vita rurale.
D’altra parte l’abbandono della terra risponde a fattori sociali ed economici per cui il lavoro agricolo, specie nelle piccole comunità rurali, non è economicamente conveniente. Senza adeguati sostegni e infrastrutture, senza una programmazione a lungo termine delle attività e senza la valorizzazione dei territori abbinando l’agricoltura ad altre attività produttive (turismo, vendita diretta dei prodotti, etc.) lo spopolamento non finirà.
Le cattive condizioni di vita e di lavoro, senza tralasciare le forme di schiavitù dovute al caporalato sono un incentivo alla fuga dalla campagna. Ed è un problema in più, perché gli agricoltori sono i primi custodi del patrimonio rurale.
Sostenibilità è resilienza
Proprio l’insieme di queste crisi dovrebbe suggerire un’altra ottica: il cambiamento sostenibile dei sistemi alimentari è la strada che ci rende più resilienti e meno dipendenti dagli altri.
Il Green Deal europeo e le strategie connesse come Farm to Fork e Biodiversity hanno posto per la prima volta la questione agricoltura su un tavolo che va oltre l’economia. Si parla di salute degli ecosistemi, di benessere sociale, di sicurezza alimentare e nutrizionale.
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Eppure, nonostante gli investimenti e le scelte politiche, l’agricoltura ha ancora molte pecche: perdita di biodiversità, consumo eccessivo di acqua e di suolo, emissioni di gas serra, abbandono rurale che si accompagna all’inevitabile degrado del territorio.
D’altronde ci sono problemi che finalmente si vedono per quello che sono, ovvero problemi globali. Puntare solo sulla produttività dell’agricoltura dimenticando la sostenibilità innesca circoli viziosi che impattano sull’ambiente, e quindi sulla salute dell’uomo.
Negli ultimi settant’anni l’agricoltura si è evoluta da attività principalmente locale a industria globale. La pressione sull’ambiente e sul clima è diventata insostenibile; tra pochi anni metterà in crisi i sistemi alimentari, con ripercussioni sulla stabilità sociale e politica.
Volendo vedere anche il bicchiere mezzo pieno, gli sforzi dell’UE per un’agricoltura amica dell’ambiente le rendono possibile svolgere un ruolo influente nella definizione di standard per la produzione e il commercio di alimenti e mangimi.