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Rischio carestia, zoonosi, meno raccolti: l’agricoltura del 2100 nel rapporto IPCC sul clima

Rapporto IPCC sul clima: l’impatto sull’agricoltura
Foto di Ulrike Leone da Pixabay

Attenzione agli estremi climatici concomitanti, avverte il rapporto IPCC sul clima

(Rinnovabili.it) – Se continuiamo a viaggiare sulla traiettoria attuale di emissioni di gas serra, per la fine del secolo le aree coltivabili e su cui è possibile il pascolo si ridurranno del 30%. Limitando il riscaldamento globale a 1,5 gradi, invece, la perdita si ridurrebbe all’8%. Ci saranno poi degli shock puntuali, con più frequenza di oggi. Risultato di più eventi climatici estremi in contemporanea, i cui impatti sommati faranno fallire i raccolti in alcune delle regioni con la produttività agricola più alta. È la fotografia dell’impatto del climate change sull’agricoltura scattata dall’ultimo rapporto IPCC sul clima pubblicato il 28 febbraio.

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La situazione dell’agricoltura oggi

Il cambiamento climatico indotto dall’uomo sta già avendo un impatto considerevole sulla resa agricola e sulla capacità degli ecosistemi di supportare la crescita di specie vegetali e animali. Il riscaldamento globale antropico ha fatto scendere la produttività agricola alle medie e basse latitudini, mentre ozono a bassa quota ed emissioni di metano danneggiano la resa ovunque.

L’impatto, spiega il rapporto IPCC sul clima, è sistemico. Ha già “alterato la distribuzione, l’idoneità dell’area di crescita e la tempistica di eventi biologici chiave, come la fioritura e l’emergenza degli insetti, con un impatto sulla qualità del cibo e sulla stabilità del raccolto”. Il clima cambia e le specie si adattano ciascuna con i suoi tempi: la corsa del climate change mette gli ecosistemi fuori sincrono. E le ricadute sono subito evidenti sull’agricoltura, quando a essere colpiti sono gli insetti impollinatori.

Le previsioni del rapporto IPCC sul clima

Meno disponibilità di cibo significa più problemi di salute. Il climate change farà aumentare da 8 a 80 milioni il numero di persone a rischio carestia, concentrate nell’Africa subsahariana, in Asia meridionale e in America centrale. Nello scenario peggiore, entro il 2050 tutti perderemo il 10% degli anni di piena salute a causa di cibo reso meno nutriente dall’aumento globale delle temperature. Rispetto a oggi, verso il 2100 i capi di bestiame saranno esposti a 72-136 giornate con picchi estremi di calore e umidità, che diminuiranno la resa di latte e di carne. La situazione negli oceani sarà altrettanto critica: “La biomassa animale oceanica globale diminuirà dal 5 al 17%” entro fine secolo rispetto ai livelli del 1970, “con un declino medio del 5% per ogni 1°C di riscaldamento”, scrivono gli autori del rapporto IPCC sul clima.

C’è invece un livello medio di probabilità, secondo gli scienziati, che nei prossimi decenni si verifichi un aumento di numero e di distribuzione geografica di parassiti e di malattie zoonotiche.

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