(Rinnovabili.it) – I consumatori amano le proteine alternative? Finora hanno dimostrato di preferire quelle animali, specie nei Paesi in via di sviluppo, dove l’alimentazione sta cambiando in modo tutt’altro che salutare, sia per le persone che per il Pianeta.
Proteine alternative, da prodotto di nicchia a tema di tendenza
Tuttavia sembra che qualcosa stia cambiando. Da prodotto di nicchia, le proteine alternative stanno conquistando un interesse crescente: sono diventate un tema di tendenza, ci si interroga sui costi ambientali degli allevamenti, sul benessere animale e sull’effetto di un consumo esagerato di proteine animali sulla salute umana.
Gli allevamenti producono circa il 15% delle emissioni globali di gas serra. Secondo lo studio Food for Thought 2022 di Boston Consulting Group (BCG), se entro il 2035 si consumasse l’11% di proteine alternative ci sarebbe in tutto il mondo una consistente riduzione di CO2 equivalente pari alla decarbonizzazione del 95% dell’industria aeronautica già nel 2030.
Lo studio fa osservare che consumare proteine alternative sarebbe un cambiamento molto più facilmente attuabile rispetto a viaggiare meno o adeguare tutto il patrimonio edilizio.
L’impatto delle diete sull’ambiente
BCG ha anche effettuato un sondaggio tra i consumatori: più del 30% degli intervistati ritiene che produrre un impatto positivo sull’ambiente sia un ottimo motivo per passare dalle proteine animali a quelle alternative.
Ci sarebbe anche un ritorno finanziario: risparmiare sulle emissioni evita di spendere in interventi di mitigazione e si potrebbe investire in programmi di sviluppo.
Le sfide legate alla trasformazione dei sistemi alimentari sono molto complesse e richiedono un approccio olistico.
Abbiamo visto come cambiamenti imprevisti e improvvisi (Covid-19, invasione dell’Ucraina) possano cambiare in poco tempo l’equilibrio delle catene di approvvigionamento.
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La pressione dei consumatori sulle aziende
L’adozione di una dieta che preveda proteine alternative rientra quindi a pieno titolo nella trasformazione dei sistemi alimentari.
Nello stesso tempo, i consumatori sono sempre più attenti all’ambiente e fanno pressione sulle aziende perché diventino più sostenibili (ad esempio, riduzione della plastica degli imballaggi).
Secondo un sondaggio condotto nel 2022 da BCG e Blue Horizon fra 3.700 intervistati di 7 Paesi, i consumatori tengono in conto tre elementi principali: salute, gusto e prezzo. Il motivo che spinge il 75% delle persone verso le proteine alternative è l’idea di seguire una dieta più sana.
A parità di ingredienti vince il gusto, ma il prezzo rimane un punto critico.
Educazione alimentare
Dato che circa un terzo dei consumatori intervistati si dichiara disponibile a mangiare proteine alternative, diventa importante l’educazione alimentare/ambientale: il loro numero potrebbe aumentare sensibilmente, come pure il numero di chi bilancerebbe le proteine alternative con quelle convenzionali.
Anche le aziende alimentari tradizionali cominciano a investire in proteine alternative e cresce il numero di startup che trovano finanziamenti: segno che gli investimenti ritenuti sostenibili crescono di più.
Le Nazioni Unite hanno previsto che le emissioni di gas serra raggiungeranno le 55 gigatonnellate entro il 2030 se la situazione rimarrà immutata, ma un cambiamento significativo nelle diete con l’adozione di proteine alternative produrrà un immediato beneficio per il Pianeta.
I costi sociali della trasformazione
Ci saranno grandi trasformazioni nella catena del valore di cui i diversi attori dovranno valutare rischi e opportunità.
La velocità e l’entità dell’impatto dipenderanno dal tipo di proteina (carne, pesce, latticini o uova) e dal tipo di alternativa (vegetale, fermentazione o cellule animali).
Sicuramente ci sarà un’evoluzione, i progressi tecnologici faciliteranno i processi e diminuiranno i costi di produzione; le procedure per l’approvazione dei prodotti a base vegetale sono ormai consolidate e quelle per i prodotti a base di cellule animali stanno accelerando.
Ma quali saranno i costi sociali? Gli agricoltori, che sono fattori chiave nella transizione verso un sistema alimentare più sostenibile, di fatto sono quelli che correranno i rischi maggiori perché hanno minori risorse e dovranno essere accompagnati e sostenuti nel cambiamento.