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La produzione di cibo deve cambiare. Ecco da dove iniziare

Produzione di cibo: i sussidi che inquinano il sistema alimentare
via depositphotos.com

L’87% dei sussidi “inquina” il sistema mondiale della produzione di cibo

(Rinnovabili.it) – Quanto inquina la produzione di cibo? E come si può trasformare il sistema alimentare per renderlo davvero più sostenibile? Sono due domande cruciali per traiettoria della transizione ecologica. Ancora più attuali alla vigilia del Food System Summit di fine mese, l’incontro internazionale sul cibo sotto egida Onu. Quello che mangiamo, le nostre abitudini più familiari e radicate, sono una parte del problema. Ma l’ostacolo è il modello a cui ci affidiamo.

Ce lo ha ricordato l’IPCC, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici in un’anticipazione del prossimo rapporto dedicato proprio alle abitudini di consumo. Tra aerei, SUV, condizionatori e soprattutto l’immancabile bistecca, scegliere abitudini più low-carbon ci farebbe tagliare 2 Gt CO2e in più rispetto alle sole soluzioni tecnologiche entro il 2030, e altre 3 Gt al 2050.

Le emissioni di gas serra legate al sistema alimentare, spiega uno studio appena apparso su Nature Food, arrivano a 17 Gt CO2e l’anno. Più di quanto fosse stimato in precedenza. Una fetta enorme delle emissioni globali: ben il 35%. La ricerca si basa sui dati più completi mai raccolti finora, frutto di un lavoro su 171 diverse colture e 16 prodotti di origine animale in 200 Stati. E sottolinea un altro dato, anche questo rivisto al rialzo: la produzione di cibo di origine animale (carne, formaggi, …) inquina il doppio di quella legata all’agricoltura. Il 57% contro il 29%, con la frazione rimanente che spetta a cotone, gomma e coltivazioni minori.

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Se questa è la situazione, come cambiare il modo in cui produciamo il nostro cibo? Un indizio arriva dal report A multi-billion-dollar opportunity: Repurposing agricultural support to transform food systems preparato da FAO, UNDP e UNEP e presentato ieri. Un dossier che focalizza il nodo del problema: incentivi e sovvenzioni statali che drogano e distorcono il sistema alimentare in modo negativo per il clima.

Non parliamo di spiccioli. Circa l’87% dei 540 miliardi di dollari di sostegno pubblico annuale totale dato in tutto il mondo ai produttori agricoli, si legge nel dossier, include misure che distorcono i prezzi e che possono essere dannose per la natura e la salute. Nel mirino soprattutto i sussidi legati a una merce specifica, che a cascata portano a un boom dell’agrochimica e allo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, oltre che alla promozione delle monocolture. Ma incidono anche sulla salute visto che privilegiano in modo sproporzionato alimenti di base a scapito di frutta e verdure.

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Sono sussidi legati a doppio filo a un certo modello di agricoltura e di allevamento, portato avanti dalle grandi aziende che non a caso si accaparrano una fetta enorme delle sovvenzioni disponibili. Un tema davvero cruciale su cui si è giocato per mesi un durissimo braccio di ferro a Bruxelles durante i negoziati per la riforma della politica agricola comune (Pac). Negoziati che hanno sbattuto la porta in faccia ai piccoli agricoltori e al loro modello di agricoltura sostenibile.

“Finalmente anche le principali agenzie dell’ONU riconoscono che i sussidi all’agricoltura hanno effetti devastanti sugli ecosistemi”, commenta Stefano Mori, coordinatore della ong Crocevia che da oltre 60 anni supporta le istanze dei contadini di tutto il mondo. “Con il Green Deal ci si aspettava che la Pac cambiasse direzione, invece finché si dà priorità nella Pac alle esportazioni, la gran parte del denaro verrà sempre indirizzato verso grandi aziende che praticano agricoltura industriale e allevamento intensivo, mentre i produttori a piccola scala che proteggono il proprio territorio rimangono senza protezioni”. È un modello, continua Mori, che “ha fallito, e tuttavia verrà replicato con una buona dose di greenwashing a livello globale nel prossimo Food Systems Summit in programma a New York il prossimo 23 settembre”.

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