Ampliare l'offerta del mix proteico e scegliere mangimi e bestiame meno impattanti. Queste le prime mosse dell'industria della carne per adattarsi ai cambiamenti climatici.
Secondo FAIRR, le aziende di produzione di carne devono prepararsi ad un imminente cambiamento
(Rinnovabili.it) – Secondo FAIRR, una rete globale sull’investimento responsabile nelle catene di approvvigionamento dell’industria alimentare, la produzione di carne a livello mondiale dovrà presto adattarsi alle sfide poste dai cambiamenti climatici e dalla crescente domanda di alternative a base vegetale. Se così non fosse, l’alternativa sarebbe la rovina.
In quanto uno dei principali contribuenti alle emissioni globali di carbonio, specialmente attraverso la deforestazione e il metano prodotto dal bestiame, il settore delle carni sta affrontando un rischio particolarmente alto ed è ancora ben lontano dall’agire in modo significativo. “La verità inevitabile per la produzione della carne è che deve adattarsi ai cambiamenti climatici o affrontare il collasso negli anni a venire“, ha dichiarato a Reuters Jeremy Coller, fondatore di FAIRR e Chief Investment Officer presso Coller Capital.
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Secondo FAIRR, che raggruppa investitori per un asset di circa 20mila di miliardi dollari, ci sarebbero piuttosto enormi vantaggi se le aziende di produzione di carne spostassero la loro attenzione su prodotti più rispettosi del clima, variando il loro mix proteico. Delle 43 aziende di carne quotate e valutate dal gruppo di investitori, però, solo due hanno finora divulgato pubblicamente un’analisi di scenari relativi al riscaldamento globale. A questo proposito, FAIRR (che comprende al suo interno l’Allianz Global Investors e l’Aberdeen Standard Investments) ha creato un modello di analisi degli scenari che gli investitori potrebbero utilizzare per valutare i rischi per i loro portafogli azionari.
Secondo il modello, un percorso attento al clima consentirebbe alle aziende di crescere più rapidamente nell’ambito dell’offerta di proteine alternative, scegliendo mangimi e specie di bestiame meno influenzate dal clima e meno impattanti. Di contro, un percorso regressivo per il clima manterrebbe esattamente le cose come sono. Seguire il secondo percorso, però, porterebbe gli utili annui ad essere inferiori di 8 miliardi entro il 2050. Inoltre, bisognerebbe considerare i rischi dovuti al potenziale impatto sui profitti derivanti da maggiori costi dell’elettricità legati alla tariffazione del carbonio; maggiori costi di alimentazione a causa della scarsa resa delle colture; l’aumento della mortalità del bestiame a causa dello stress da calore.
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Inoltre, secondo le previsioni di FAIRR, entro il 2050 le proteine alternative come gli hamburger a base vegetale rappresenteranno almeno il 16% dell’attuale mercato della carne, passando al 62% a seconda di fattori quali la tecnologia, le tendenze dei consumatori e la potenziale imposizione di una tassa sul carbonio per la carne.
Considerando questi scenari, anche i responsabili politici stanno aumentando le loro pressioni sulla produzione di carne, soprattutto in vista dei colloqui ONU sul Clima a Glasgow. L’inviato delle Nazioni Unite, Mark Carney, sta infatti spingendo affinché tutte le aziende facciano uso del quadro di valutazione del rischio ideato dalla Task Force del Financial Stability Board del G20.