Parlamento europeo e Stati membri, con la mediazione di Commissione e presidenza portoghese di turno, devono sciogliere gli ultimi nodi e dare il via libera alla nuova Pac dopo 3 anni di lavori. Sono ancora in bilico temi importantissimi per la qualità complessiva della Pac, come gli ecoschemi e la condizionalità sociale
Oggi e domani il “jumbo trilogue” per limare la riforma della politica agricola comune
(Rinnovabili.it) – Dopo tre anni di negoziati, la nuova politica agricola comune europea è in dirittura d’arrivo. Inizia oggi a Bruxelles l’ultimo confronto tra la Commissione UE, l’europarlamento e gli Stati membri, un formato noto come trilogo che deve mettere la parola fine all’odissea della nuova Pac. Ma le posizioni sono ancora molto distanti e i tentativi di mediazione dell’esecutivo europeo e della presidenza portoghese di turno non hanno sciolto alcuni nodi centrali.
Riforma della Pac: cosa c’è in ballo
Sul futuro della politica agricola comune l’Europa si gioca un buon pezzo della sua capacità di raggiungere gli obiettivi climatici e di impostare una transizione giusta. Il settore agricolo pesa per il 10% sulle emissioni totali UE, finite ovviamente nel mirino della riforma della Pac una volta insediatasi la nuova Commissione von der Leyen. I lavori per riscrivere le politiche comunitarie sull’agricoltura, infatti, sono iniziati nel 2018 ma hanno subito una sterzata con l’avvento del Green Deal, con la Pac che deve essere allineata alla nuova strategia Farm to Fork della Commissione. Insomma: senza una Pac davvero verde, il Green Deal è zoppo.
Non solo perché la riforma della politica agricola comune muove qualcosa come 387 miliardi di euro, più o meno un terzo dell’intero budget UE per il settennato 2021-2027. Ma soprattutto perché dall’accordo che sarà raggiunto in settimana dal trilogo dipende l’efficacia delle politiche di tutela della biodiversità e degli ecosistemi, la sostenibilità del modello agricolo europeo e dell’intero comparto agrifood sempre più schiacciato da logiche di mercato, agricoltura intensiva e strapotere delle grandi organizzazioni di categoria e della grande distribuzione organizzata.
Tutti i problemi aperti della nuova politica agricola comune
Vista la posta in palio, non dovrebbe sorprendere che sulla politica agricola comune è in corso da mesi un durissimo braccio di ferro. Uno dei punti più caldi riguarda gli ecoschemi. Gli ecoschemi sono quella parte di pagamenti diretti, pari al 20-30% del budget della Pac e afferenti al primo pilastro, che viene vincolata a pratiche agricole ecologiche. Sono lo strumento principale con cui si può garantire la promozione di un’agricoltura sostenibile, di un modello agricolo capace di tutelare gli ecosistemi, e di pratiche che mitigano l’impatto climatico del settore primario.
Sugli ecoschemi si gioca quindi la partita forse più importante. Qui il parlamento europeo vuole che a questa misura sia riservato il 30% dei fondi Pac, mentre il Consiglio europeo non accetta di andare oltre il 20%. La presidenza UE di turno portoghese ha messo sul tavolo una proposta di compromesso. Si parte dal 23% per salire gradualmente fino al 25%. Oltre a questo, gli ecoschemi sollevano ancora due ordini di problemi: si dovrà decidere se sono schemi obbligatori o, più probabilmente, volontari, e quali pratiche agricole comprendono. Su quest’ultimo punto la Commissione ha pubblicato a gennaio una lista provvisoria che ha sollevato dubbi: ad esempio, alcuni punti potrebbero premiare allevamenti intensivi che sono invece uno dei maggiori driver di emissioni.
Altro nodo davvero problematico riguarda il supporto ai piccoli agricoltori. Tema cruciale visto che la vecchia Pac, a conti fatti, ha distribuito l’80% dei sussidi al 20% di aziende agricole più grandi. La nuova politica agricola comune dovrebbe correggere questa disfunzione. La proposta, ancora da approvare, è di mettere un tetto massimo di 100.000 euro per beneficiario. Se anche venisse accettato questo punto, resterebbe ancora da decidere come redistribuire le quote in eccesso: le grandi associazioni di categoria, come Copa-Cogeca che rappresenta le grandi aziende agricole europee, premono perché la redistribuzione sia volontaria. Altre proposte, appoggiate dalla Commissione, si concentrano invece sulla definizione di “agricoltore attivo” per renderla coerente con i soli piccoli agricoltori e usarla come discrimine per attribuire le quote di sussidi in eccesso.
Altre questioni ancora aperte sono solo apparentemente meno importanti. Restando sempre nell’ambito delle definizioni, mancano ancora quelle per “veri agricoltori”, “giovani agricoltori”, “prati permanenti” e “pascoli permanenti”, così come quelle per “ettari ammissibili” e “terreni coltivabili”. Tutte definizioni che saranno poi alla base dei criteri di ammissibilità per ricevere i sussidi. Da qui passa quindi una parte non trascurabile dell’efficacia reale della nuova politica agricola comune.
Sempre nell’ottica di piegare il modello agricolo attuale, il nodo della condizionalità sociale è dirimente. Per condizionalità sociale s’intende il vincolo di una parte dei pagamenti al rispetto del diritto dei lavoratori. Sul tema è emerso uno scontro molto duro, con gli Stati sulle barricate per difendere la loro libertà di fissare le leggi in materia. Il parlamento europeo continua a spingere e ha messo sul tavolo una nuova proposta che evita i problemi sollevati dal Consiglio europeo e si incardina sul principio del “chi sbaglia paga”. Questa misura è importante per erodere pratiche diffusissime, soprattutto nell’Europa meridionale, come il caporalato e il lavoro in nero, che sono presupposti per lo strapotere della grande distribuzione organizzata e per l’estensione del modello intensivo di agricoltura.