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Pesticidi, l’agricoltura italiana è abbastanza sicura ma può fare altri passi avanti

I residui di pesticidi sono presenti nei cibi che mangiamo, nonostante l’Italia sia il Paese più green d’Europa. Un rapporto di Legambiente analizza in dettaglio la situazione per capire quali sono i passi da attuare per una completa transizione verde

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L’agricoltura più green d’Europa ha ancora qualche zona d’ombra

Stop pesticidi nel piatto 2023 è il rapporto di Legambiente e Alce Nero che fa il punto sui fitofarmaci che troviamo nei nostri alimenti e rileva dati confortanti in base ai quali l’agricoltura italiana è complessivamente sicura.

L’intera filiera agroalimentare italiana occupa 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila aziende agroalimentari, più di 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti di vendita al dettaglio.

Export da record per un’agricoltura green

A questi numeri fa riscontro la qualità che rende l’agroalimentare italiano una punta di diamante in Europa e nel mondo: ricordiamo che nel 2023 l’export agroalimentare italiane ha toccato un record storico superando i 64 miliardi.

È opportuno sottolineare che l’agricoltura italiana vanta anche un altro record, non meno importante: è la più green d’Europa con 80mila occupati nel settore del biologico. Eppure, nonostante questo, produce il 20% delle emissioni del comparto ed è quindi vittima di se stessa. Ci sono zone, come la Pianura Padana, dove le attività agro-zootecniche esercitano un’enorme pressione sull’ambiente.

Stop pesticidi nel piatto 2023 fornisce una visione complessiva che mette insieme i dati forniti dalle Regioni e dagli enti preposti e una serie di contributi scientifici di personalità che si occupano a vario titolo di riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, di tutela della biodiversità.

Il rapporto fa il punto anche sul contrasto alle agromafie, un fenomeno che affligge le campagne italiane: i circa 100mila stranieri impiegati in agricoltura sono oggetto di grave sfruttamento.

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6.085 campioni analizzati

Lo studio di Legambiente e Alce Nero ha considerato 6.085 campioni analizzati di alimenti di origine vegetale e animale provenienti da agricoltura biologica e convenzionale di 15 Regioni.

I campioni contenenti tracce di pesticidi sono in calo (39,21% rispetto al 44,1% del 2022. I campioni irregolari rilevati sono appena l’1,62%.

Cresce il numero dei campioni regolari senza residui, che passa dal 54,8% dello scorso anno al 59,18%.

A fronte di questo dato indubbiamente positivo, fa riflettere il fatto che nel 15,67% di questi campioni si siano rinvenute tracce di un fitofarmaco e nel 23,54% fossero presenti diversi residui.

Gli esperti del settore ravvisano un possibile pericolo derivante da quello che viene definito “cocktail di fitofarmaci”, ovvero gli effetti causati dalla somma di sostanze e dal modo in cui questi si combinano tra loro.

La percentuale, sicuramente molto bassa, di residui nell’1,38% dei campioni di prodotti biologici è probabilmente dovuta al cosiddetto “effetto deriva” determinato dalla vicinanza ad aree coltivate con metodi convenzionali.

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Residui di pesticidi

In totale, i campioni analizzati contengono 95 sostanze attive provenienti da fitofarmaci. Ad esempio, 17 tipi di residui nell’uva passa, 17 in una pesca, 12 in una fragola: legittimo porsi qualche domanda su quali siano le conseguenze per la nostra salute, visto che nella frutta e nel tè sono stati rilevati perfino neonicotinoidi non più ammessi.

Se la frutta è quella che contiene più pesticidi, il quadro complessivo della verdura è discreto: il 68,55% dei campioni è senza residui. Tuttavia, i cereali integrali e il vino contengono la più alta percentuale di residui permessi: rispettivamente 71,21% e 50,85%.

I prodotti che arrivano dall’estero hanno valori sicuramente peggiori: in un peperone in arrivo dalla Cambogia gli esperti dell’EFSA hanno rilevato ben 28 residui, e altri prodotti non sono più “puliti”, come confermano banane, kiwi e mango che hanno la più alta percentuale di irregolarità.

Anche il RASSF (Sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi) rileva che l’86% dei prodotti importati contiene sostanze che da noi sono vietate perché ritenute nocive.

Una sorpresa sono i prodotti di origine animale: l’88,17°% dei campioni analizzati è privo di residui.

In sintesi, la situazione dei pesticidi va migliorando ma è evidente che la strada è ancora lunga.

Legambiente e Alce Nero sollecitano maggiore decisione da parte della politica nel prendere una posizione in merito all’uso dei pesticidi.

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Serve una spinta della politica

In primis, servono i decreti attuativi relativi alla legge sull’agricoltura biologica, approvata dopo tredici anni nonostante sembra che sia la via migliore per ridurre l’uso dei pesticidi.

Legambiente segnala inoltre la mancata approvazione del SUR che indica gli obiettivi di riduzione dei pesticidi entro il 2030, nonché l’urgenza di adottare il nuovo PAN (Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari): in Europa sono autorizzati 450 principi attivi, valore invariato da dieci anni nel corso dei quali molte cose sono cambiate.

L’UE concede deroghe all’uso di pesticidi per 120 giorni in casi di emergenza. Quello che si sta studiando è l’effetto tossico sugli organismi che vengono in contatto con queste sostanze, oltre al reale bersaglio, pesa anche sulla biodiversità e sugli ecosistemi in generale.

Infine, è fondamentale sensibilizzare e informare correttamente le persone per metterle in condizione di fare scelte responsabili.

A proposito di riduzione dei pesticidi, Legambiente ha lanciato la campagna “Glifosato free” che premia le aziende agricole che non lo usano, nonostante la Commissione Europea abbia rinnovato l’autorizzazione a usarlo fino al 2033.