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Olio extravergine d’oliva, le miscele che ingannano i consumatori

L’olio extravergine d’oliva si distingue per qualità e proprietà nutrizionali. Le miscele di oli vegetali hanno residui di olio d’oliva ma etichette ingannevoli che incoraggiano a comprare un prodotto a prezzi molto bassi, ma decisamente poco salutare e di qualità altrettanto bassa. I produttori chiedono la convocazione di un tavolo di filiera per garantire trasparenza ai consumatori, oltre che la giusta competizione

Image by Steve Buissinne from Pixabay

di Isabella Ceccarini

Il giusto prezzo dell’olio extravergine d’oliva

L’olio extravergine d’oliva è giustamente rinomato per la sua qualità e per le sue proprietà che lo rendono ben più di un condimento, ma un alimento ricco di virtù nutrizionali: ad esempio, a differenza di altri tipi di grassi, ha una funzione protettiva per il cuore e il sistema cardiocircolatorio. Non a caso, è alla base della Dieta Mediterranea, il regime alimentare riconosciuto dagli scienziati come il più sano e salutare.

Attenzione alle etichette ingannevoli

È quindi giusto sottolineare la differenza tra l’olio extravergine d’oliva e altri condimenti.

Invece, sugli scaffali si sono affacciati prodotti che di salutare hanno ben poco ma generano confusione nei consumatori.

Si tratta di miscele di oli di semi o vegetali che contengono in minima parte olio d’oliva ma che hanno etichette ingannevoli con «termini e simboli grafici che richiamano esplicitamente i prodotti dell’olivicoltura», come rileva ItaliaOlivicola (organizzazione della produzione olivicola italiana a cui fanno capo 250mila soci di 15 Regioni italiane).

Il prezzo dei blend, ovviamente, è molto conveniente e di questi tempi è una sicura sirena per attirare i consumatori. L’olio extravergine d’oliva è stato sempre pagato troppo poco e i produttori hanno lavorato per anni ai limiti della sostenibilità economica.

Prodotti non salutari

Come nota Davide Granieri, presidente di Unaprol (Consorzio Olivicolo Italiano) ritiene che queste miscele fatte di percentuali esigue di olio d’oliva con altri oli vegetali, in assenza di controlli, rischiano di ingannare il consumatore ma soprattutto non sono salutari.

Afferma Graneri: «L’ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del MASAF) ha già chiarito che questo prodotto deve essere posizionato su scaffali appositi ben distinti dall’olio extravergine d’oliva.

È assolutamente necessario un intervento sulla norma per l’etichettatura per garantire trasparenza ai consumatori, oltre che la giusta competizione».

Se confrontato con il vino, un litro di olio costa come una bottiglia di vino di discreta qualità: ma se questa si esaurisce nel corso di un pasto, l’olio dura almeno un mese. L’olio extravergine d’oliva rende di più in termini di salute e di durata: un alimento sul quale vale la pena investire.

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Olio extravergine d’oliva, un prodotto premium

Anna Cane, presidente del gruppo olio d’oliva di Assitol (l’Associazione Italiana dell’Industria Olearia) non nasconde le difficoltà del momento attuale e il rischio che i consumatori preferiscano prodotti più a buon mercato: nei primi sei mesi del 2023 le vendite nella grande distribuzione sono calate del 9% per l’extravergine e dell’11% per l’olio d’oliva. Una tendenza che sembra confermarsi anche a livello comunitario.

Eppure siamo di fronte a quello che la presidente definisce «un “prodotto premium”. È davvero solo un problema di costi oppure è ora di cambiare il nostro modo di considerare l’extra vergine?».

Per questo invita «le istituzioni a sostenerci con una campagna di comunicazione sull’importanza dell’olio extra vergine d’oliva nella nostra dieta quotidiana, a vantaggio della nostra salute e di quella della filiera». Un tema sul quale si allinea anche Unaprol.

Cane auspica inoltre che il mondo olivicolo-oleario assuma una posizione comune dell’intera filiera dalla raccolta allo scaffale, anche a livello Mediterraneo, senza dimenticare «la necessità di lavorare all’efficienza dei processi di produzione, investendo sulla modernizzazione del settore e sulla sostenibilità per rafforzare la competitività dell’intero comparto.  Soltanto così sarà finalmente possibile ridare nuovo valore al nostro olio d’oliva».

Urgente convocare un tavolo di filiera

Tra le cause di questa “tempesta” in bottiglia c’è, anche questa volta, il cambiamento climatico. La Spagna, primo fornitore mondiale di olio d’oliva, quest’anno è passata da 1,4 milioni di tonnellate a 663mila: una carenza che ha scatenato automaticamente il rialzo dei prezzi.

I medesimi problemi sono presenti anche negli altri Paesi Mediterranei, come pure in Italia. Secondo le prime stime di Assitol, la raccolta del 2023 dovrebbe attestarsi sulle 289mila tonnellate, quindi in recupero di circa il 20% rispetto alle 240mila della campagna precedente.

Tuttavia si rimane lontani dalle 350mila tonnellate delle campagne migliori, comunque insufficienti a coprire il fabbisogno di mercato interno ed export.

Rileva Andrea Carrassi, direttore generale di Assitol: «Anche se i quantitativi appaiono in aumento, è impossibile che la campagna appena avviata possa riaggiustare del tutto la situazione. Alcune delle problematiche della scorsa campagna, infatti, non sono venute meno: basti pensare al cambiamento climatico, che nelle ultime settimane ha fatto sentire i suoi effetti anche in zone di importante vocazione olivicola come la Toscana».

Le associazioni di produttori hanno chiesto inviato al ministro dell’Agricoltura Lollobrigida una denuncia dettagliata della situazione con il quadro della legislazione nazionale ed europea oltre alla richiesta di convocare con urgenza un tavolo di filiera.

Si ricorda in proposito che i regolamenti comunitari tutelano sia i produttori che i consumatori, ed esistono specifiche norme per la denominazione legale e per la tutela della purezza dell’olio extravergine d’oliva.

Oltre al calo dei consumi, la situazione internazionale desta ulteriori preoccupazioni. Un clima di incertezza per le aziende che hanno maggiore difficoltà a programmare le attività.

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La qualità ha un prezzo

L’etichetta dell’extravergine deve informare sull’origine e le caratteristiche. Per condimenti, oli aromatizzati e miscele non esistono regole altrettanto vincolanti, e questo permette di tenere bassi i prezzi. Il paradosso, come denuncia Gennaro Sicolo, presidente di ItaliaOlivicola, è che a industriali e GDO conviene comprare un olio di bassa qualità e aggiungerci qualche aroma, anche di sintesi, e realizzare maggiori profitti. Così «l’olio cattivo scaccia quello buono dagli scaffali».

Alcuni vedono un’opportunità nel rialzo dei prezzi. Dopo anni di vendite sottocosto, sono crollate le promozioni nella GDO che erodevano il guadagno dei produttori. È arrivato il momento di un’informazione accurata che faccia capire cos’è il giusto prezzo anche per questo alimento e perché sia giusto pagarlo.

Infatti, è bene ricordare che il prezzo dell’olio extravergine d’oliva è alto perché la produzione in sé è costosa. Chi pensa di fare un affare comprando una bottiglia a pochi euro in realtà acquista qualcosa che non ha nulla a che fare con l’olio extravergine d’oliva.