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Il “paradosso” dell’olio evo italiano: cala la produzione, aumenta l’export

A causa delle avverse condizioni climatiche e dei rincari a catena quest’anno la produzione di olio evo è calata complessivamente del 30%. Siamo i primi al mondo per biodiversità, l’olio italiano è sinonimo di qualità, cultura e tradizioni: un patrimonio da salvaguardare e un consumo da rilanciare

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Photo by Fulvio Ciccolo on Unsplash

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Il futuro della produzione dell’olio evo è sempre più complesso, anche se quest’anno la qualità del prodotto sembra promettente. Non mancano i problemi: la Xylella tutt’altro che sconfitta (è stato anche scoperto un nuovo focolaio in Puglia nella campagna di Castellana Grotte), la siccità e i costi fuori controllo.

Olio evo italiano primo al mondo per biodiversità

L’olio extravergine d’oliva è un patrimonio distintivo dell’Italia: siamo i primi al mondo per biodiversità (533 cultivar). Un patrimonio fatto di cultura e tradizioni a cui si affiancano la qualità delle produzioni, la salvaguardia del paesaggio, la protezione del territorio.

Un patrimonio da salvaguardare e un consumo da rilanciare, ma il primo passo va fatto in direzione del contenimento dei costi all’origine affinché non ricadano sui costi al consumo, che finirebbero per riflettersi negativamente sugli acquisti. L’Italia è il secondo produttore ed esportatore mondiale di olio evo. Il 50% dell’export va negli Stati Uniti seguiti da Germania, Giappone e Francia. Un sistema economico costituito da 400mila imprese che vale più di 3 miliardi di euro.

Produzione in calo del 30%

Come spiega Walter Placida, presidente della Federazione nazionale olivicola di Confagricoltura, finora la produzione di olio evo è calata complessivamente del 30%, con punte del 40% rispetto allo scorso anno. Se cala nelle zone dove la produzione è più alta (Puglia, Calabria e Sicilia), è logico aspettarsi una diminuzione generalizzata della produzione in tutto il Paese.

L’allarme di Placida riguarda anche «i rincari a catena che hanno investito tutto il comparto, oltre all’esponenziale crescita del prezzo del gasolio e dell’energia elettrica. Abbiamo registrato forti aumenti, che inevitabilmente si rifletteranno anche sui consumatori, anche per le materie prime legate al confezionamento: vetro, banda stagnante, cartone, plastica, etc.A queste condizioni, l’olio extra vergine al consumo non potrà avere un prezzo inferiore a 8,50 euro».

Crescono i costi per i frantoi

Il rialzo dei costi dell’energia ha un impatto negativo anche sui frantoi, come sottolinea Paolo Mariani, presidente di Assofrantoi: «Il costo fisso per molire un quintale di olive nella prossima campagna varierà da 11,02 a 26,91 euro al quintale, a seconda della taglia del frantoio, ai quali occorre sommare il margine del frantoiano.

Nei piccoli frantoi, specialmente quelli del nord Italia, si arriverà a un costo di circa 27 euro a quintale di olive, mettendo a rischio la prosecuzione dell’attività di moltissime realtà». Analoga preoccupazione emerge dal report 2022, la guerra dell’olio Made in Italy di Coldiretti e Unaprol, presentato all’inizio della campagna di raccolta di un anno segnato da cambiamenti climatici e rincari di materie prime e di energia.

Oliveti in stress idrico

La gravissima siccità ha messo in stress idrico gli oliveti danneggiando prima la fioritura e poi le gemme, specie dove non è stato possibile intervenire con irrigazioni di soccorso. Molte aziende, a causa dei costi elevati di queste procedure, hanno scelto di non intervenire. I dati del Crea evidenziano che quasi un’azienda olivicola su 10 lavora in perdita e rischia di chiudere. Inoltre, sottolineano Coldiretti e Filiera Italia (associazione a cui aderiscono i grandi nomi dell’agroalimentare Made in Italy), a causa del crollo della produzione di olive 1 bottiglia su 3 di olio evo italiano rischia di scomparire dagli scaffali dei supermercati. Se crescono i costi di produzione e diminuiscono i ricavi delle imprese, gli inevitabili rincari delle nuove produzioni ricadranno sui consumatori.

Attenzione all’etichetta

Per riconoscere il prodotto italiano, sarebbe fondamentale la corretta informazione in etichetta circa la provenienza dell’olio; invece è riportata sul retro della bottiglia in caratteri pressoché illeggibili. Solo un consumatore molto scaltro o motivato riuscirebbe a capire cosa sta comprando. Una cosa è certa: se le informazioni sono scarse e il prezzo è troppo basso, non è olio extra vergine d’oliva. Un altro duro colpo all’olio evo lo assesta l’etichettatura europea Nutriscore, che lo esclude dagli alimenti sani e naturali.

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«Bisogna proseguire a livello internazionale la battaglia per tutelare la qualità del nostro olio evo. A livello nazionale è necessario un piano strategico dell’olivicoltura che metta al centro le aziende che sono sul mercato, producono reddito e occupazione, oltre al recupero dei tanti uliveti abbandonati che devono essere rinnovati per ridare ossigeno e speranze ai territori», dichiara il presidente di Unaprol, David Granieri.

Un dato positivo è che, a dispetto di un annus horribilis, il valore delle esportazioni di olio evo è cresciuto del 23%.