La mutagenesi casuale in vitro parte dai geni, li modifica e poi li impianta nell’organismo
(Rinnovabili.it) – Le coltivazioni modificate geneticamente con una particolare variante della tecnica della mutagenesi non sono organismi Ogm. E quindi possono essere prodotti senza tener conto delle disposizioni della direttiva Ue 2001/18. Lo ha stabilito ieri una sentenza della Corte di giustizia europea che allarga il perimetro dei prodotti sottoposti a editing genetico che possono finire sulle tavole europee. Sotto la lente, quelli ottenuti con mutagenesi casuale in vitro.
Cos’è la mutagenesi casuale in vitro?
Di cosa si tratta? La mutagenesi casuale in vitro è una tecnica di modificazione genetica che parte dai geni per introdurre delle mutazioni in vitro. Nelle piante, si basa sull’applicazione di mutageni (agenti che favoriscono la mutazione nei geni) chimici per aumentare la frequenza delle mutazioni. Il vantaggio? In questo modo si può accelerare la selezione di varietà con importanti caratteristiche agronomiche. Più produttive, più resistenti, più conformi ai nostri gusti estetici.
La mutagenesi casuale in vitro è parente di quella in vivo, che si basa invece sull’approccio opposto: non parte dai geni ma dalla popolazione. Si espone la popolazione ad agenti mutageni, si selezionano gli organismi che hanno le caratteristiche desiderate, e si arriva così a isolare il o i geni d’interesse.
Nel primo caso, quindi, la mutazione viene indotta sul gene che poi viene impiantato su un organismo. Nel secondo, non c’è alcun impianto perché la mutazione si sviluppa negli organismi viventi stessi.
Parenti stretti?
Ed è proprio su quanto questa parentela sia stretta che si è pronunciata la Corte di giustizia Ue. Che dice: sono così simili che la sicurezza di quella in vivo, comprovata da lungo tempo, si può estendere anche a quella in vitro. “In via di principio, è giustificato escludere l’applicazione della deroga prevista dalla direttiva 2001/18 agli organismi ottenuti mediante l’applicazione di una tecnica o di un metodo di mutagenesi fondati sulle stesse modalità di modificazione, da parte dell’agente mutageno, del materiale genetico dell’organismo interessato di una tecnica o di un metodo di mutagenesi utilizzati convenzionalmente in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza”, si legge nella sentenza.
Il fronte dei contrari all’introduzione degli Ogm ribatte che considerare la mutagenesi casuale in vitro una tecnica che non crea Ogm è un controsenso per diversi motivi. “Queste tecniche sono tutte brevettabili e quindi non sono né naturali né tradizionali”, spiega il Coordinamento europeo della Via Campesina. “Sono state sviluppate poco prima del 2001, contemporaneamente alla transgenesi (anche se la maggior parte dei prodotti è arrivata sul mercato ben dopo il 2001), e generano gli stessi rischi per la salute e l’ambiente che giustificano gli attuali obblighi normativi di valutazione del rischio, etichettatura e tracciabilità”.
Gli organismi trattati con mutagenesi in vitro avranno una “firma” della mutazione nel loro dna, ma nessuna etichetta sul prodotto -inclusi i semi- che lo segnali, continua Via Campesina. E questo significa che per gli agricoltori sarà impossibile risalire alla vera natura del seme che stanno per piantare nel loro campo. Senza applicare la normativa Ue sugli Ogm, quindi, “la portata di questi brevetti si estenderà a tutte le piante della stessa specie che esprimono il tratto brevettato, come la resistenza a una malattia”. Per cui, chi detiene i brevetti -solitamente multinazionali- “sarà in grado di assumere il controllo della maggior parte delle colture e degli alimenti”. Quello che avviene negli Usa avverrà “anche in Europa”.