(Rinnovabili.it) – E’ stato impegnato nella regia della candidatura di Expo2015, che ha cambiato Milano, come Assessore della giunta di Letizia Moratti. La scelta dell’allora sindaco di Milano “che ha inventato Expo, di mettere a fuoco il tema Nutrire il pianeta, energia per la vita, con la volontà di portare a Milano un’Esposizione Universale, fu visionaria” dice a Rinnovabili.it Andrea Mascaretti, oggi Presidente del Salone Internazionale della Ricerca, Innovazione e Sicurezza Alimentare nato in seno alla Società Umanitaria, una delle più antiche istituzioni filantropiche di Milano. “In quel momento ritenevamo che Milano avesse bisogno di tornare ad avere uno splendore di dimensione internazionale, come era accaduto in passato e che non esisteva più. Candidare Milano all’evento in assoluto più importante al mondo per durata, coinvolgimento di Paesi, investimenti qual è un’Esposizione Universale, che Milano fra l’altro aveva già fatto nel 1906, è stata una sfida vinta, che ancor oggi consegna risultati”.Restano tuttavia da realizzare alcuni impegni importanti della Carta di Milano, come il Centro per lo Sviluppo Sostenibile. Milano ha tutte le carte in regola per essere il riferimento nel mondo sulle tematiche della ricerca in campo alimentare”.
Nel frattempo, – aggiunge Mascaretti – con la società Umanitaria, appena venne assegnato l’Expo a Milano, nel 2008, avviammo un gioco di squadra con enti di ricerca, come il CNR, università, con le confederazioni agricole CIA, Confagricoltura e Coldiretti, con Confindustria, Confcommercio e Federchimica – solo per citarne alcuni, che prosegue – in stretta collaborazione con la comunità scientifica che lavorò ad Expo 2015 – all’interno del Salone Internazionale che presiedo”.
Il tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita” oggi è ancor più stringente?
Senza dubbio. La scelta visionaria di Letizia Moratti, che mise a fuoco sia il tema “nutrire il pianeta”, sia il suo impatto, che è “energia per la vita”, ovvero nutrire le persone e con esse gli animali, in particolare quelli allevati dall’uomo destinati all’alimentazione umana è ancora una sfida. Si stima che duemila anni fa sulla Terra ci fossero 300 milioni di esseri umani. Oggi abbiamo superato i 7 miliardi e nel 2050 dovremmo toccare i 9 miliardi. Del 30% di terre emerse del globo terracqueo soltanto il 35% sono utilizzabili per produrre cibo per gli esseri umani, quindi all’aumentare degli esseri umani diminuisce la quota di terreno utilizzabile pro capite per sfamare tutte le persone. Il tema voleva sottolineare che tutte le parti del sistema – popolazioni, cibo, salvaguardia del pianeta – sono fra loro collegate e che senza cibo, acqua, crescita sostenibile, non c’è energia per la vita.
Lei ha guidato oltre 20 missioni in giro per il mondo con delegazioni composte dal Ministero degli Affari Esteri, per catturare il consenso sulla candidatura di Milano. Qual è l’eredità di quell’esperienza? Con la recente vicenda dell’EMA, finita ad Amsterdam, abbiamo tutti focalizzato che l’epilogo delle assegnazioni non è mai scontato, anche se si hanno tutte le carte in regola…
Sono andato in tutti i paesi asiatici, dalla Cina alle Filippine, dal Nepal al Laos e al Tagikistan, e in centro America – Honduras, Messico, Panama – al fine di assicurare l’impegno di questi Paesi – con una lettera dei Governi rappresentati dai Ministri degli Affari esteri e dell’Agricoltura – a votare Milano, in seno al BIE (Bureau International des Expositions) -, in contrapposizione alla candidatura forte di Smirne per l’Expo2015. Nel corso di queste missioni, durante le quali ho incontrato oltre 50 rappresentanti di governo dei quattro continenti, ho trovato sempre un ampio consenso sul tema. Molti paesi aderenti al BIE sono in via di sviluppo e per essi il problema più urgente è la fame. In più, Milano e l’Italia avevano i titoli per scegliere quel tema, dal momento che in Italia si trovano sia le sedi delle due agenzie ONU – FAO e World Food Program – incentrate su questi ambiti, sia il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo. In buona sostanza, l’ONU ha insediato in Italia tutto ciò che in qualche modo ha a che fare con l’agricoltura e l’alimentazione. Non dimentichiamo che anche l’Unione Europea ha stabilito l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare EFSA a Parma. Per Expo 2015 ci siamo coordinati con tutte queste agenzie e abbiamo fatto un lavoro di squadra. A fronte di questi dati – la presenza nel nostro Paese delle agenzie sui programmi mondiali del cibo, le iniziative svolte e la realizzazione di Expo 2015 – credo che l’Italia sia oggi il paese in assoluto più titolato al mondo per rappresentare un crocevia sulle tematiche di ricerca e sviluppo nel campo dell’alimentazione. Questa è la grande eredità che non bisogna sprecare.
Quali sono le eredità lasciate da Expo2015 compiute e incompiute?
Le eredità principali sono due. Una è la Carta di Milano, che è più strettamente una dichiarazione di intenti, l’altra, più concreta, è l’Urban Food Policy Pact, un patto sottoscritto da 148 città del mondo che si impegnano, attraverso le loro amministrazioni, a realizzare politiche sostenibili per assicurare cibo sano a tutta la popolazione, preservando l’ambiente e adottando misure idonee contro lo spreco alimentare.
Con i Paesi che ci hanno sostenuto avevamo preso l’impegno per la creazione di un Centro per lo sviluppo sostenibile. L’idea alla base era che per Milano, che rappresentava la prima Esposizione Universale in occidente degli ultimi 20 anni, non avremmo lasciato non un landmark, un simbolo, come era accaduto con le Expo dell’Ottocento e Novecento, con la Tour Eiffel a Parigi o l’Acquario Civico a Milano. Noi abbiamo deciso di lasciare un’eredità al futuro del mondo che fosse in parte anche immateriale, quindi un Centro per lo Sviluppo Sostenibile, un luogo dove condividere il sapere di tutto il pianeta, in particolar modo mettendo le conoscenze dei Paesi più industrializzati, più avanzati a disposizione dei Paesi in via di sviluppo. Credo che questo sia un obiettivo ancora da realizzare, tuttavia ancora possibile. Le dichiarazioni contenute nella Carta di Milano non possono rimanere tali. Qualcuno si deve impegnare e fare regia perché quegli impegni, presi per quasi otto miliardi di persone, dai Paesi che hanno firmato la Carta di Milano, si realizzino.
Qual è il bilancio?
Alcuni risultati li abbiamo centrati. L’obbiettivo di dare a Milano, ovvero all’Italia, la visibilità che le spettava nel palcoscenico internazionale, è stato abbondantemente raggiunto. Oggi Milano è una delle città più internazionali al mondo, la metropoli turistica più attraente e gettonata dopo NY, è sicuramente uno dei motori più dinamici d’Europa. Cito l’esempio di Barack Obama, che appena concluso il suo mandato ha scelto Milano come prima tappa del viaggio in Europa da ex Presidente degli Usa, partecipando nello scorso maggio all’evento all’interno del Global Food Innovation Summit (organizzato da Seeds& Chips, in occasione del Salone Tutto Food 2017 alla Fiera di Milano, ndr) sul tema dell’alimentazione. Non è un caso se l’uomo più potente del mondo decide come prima méta di viaggio di scegliere Milano, per parlare di cibo e sostenibilità. Vuol, dire che abbiamo seminato bene. Adesso però si tratta di continuare.
Altri risultati tangibili?
L’Urban Food Policy Pact sta procedendo perché le città hanno dei livelli di Governo molto operativi e quindi le varie politiche alimentari metropolitane sono attive. Queste politiche non vanno sottovalutate, a fronte di una concentrazione crescente di popolazione, che si stima assorba fino al 70% del fabbisogno alimentare nelle megalopoli asiatiche. Sfamare vari milioni di persone – dai dieci ai venti milioni – due volte al giorno, è un’impresa molto difficile e se si sbaglia si rischia di produrre inquinamento, spreco alimentare, con un impatto dannoso molto forte per l’ambiente. L’Urban Food Policy Pact, sta quindi funzionando. La Carta di Milano, che è l’altro impegno di Expo lasciato al pianeta, ha invece bisogno ora di azioni concrete.
Quali?
Intanto l’Italia dovrebbe dare il buon esempio. Vedo due livelli. Uno è il modello che si può sviluppare in Italia, il secondo è il modello che l’Italia deve esportare al mondo. Credo che sia veramente importante sviluppare un sistema di produzione alimentare sostenibile. Abbiamo visto molti modelli dentro Expo, ad esempio come si coltiva nel deserto con la coltura a goccia. Con questo metodo è possibile produrre molto, quindi ci si chiede perché non si riesca a coltivare nulla in altre parti del mondo dove l’acqua è disponibile. Probabilmente occorre insegnare questo metodo.
Nella Carta di Milano le imprese firmatarie si impegnano a fare investimenti in ricerca. Quella coltura a goccia era illustrata nel padiglione di Israele che investe il 4,2% del proprio PIL in Ricerca e Sviluppo …
Certamente. In Israele hanno dimostrato come, grazie alla ricerca scientifica, in luoghi del Paese non particolarmente ospitali siano riusciti a coltivare ciò di cui hanno bisogno ed anche ad esportarlo.
In Israele, nel deserto del Negev, si sono spostate 900 famiglie che lavorano in 600 imprese agricole. Con la coltivazione di frutta e verdura garantiscono il 60% dell’export di vegetali del proprio Paese, con l’agricoltura idroponica…
Questo è un esempio nel mondo, ma ce ne sono tanti altri. Occorre che esempi così importanti possano essere condivisi da tutti e l’impegno è questo. Oggi assistiamo a disastri ambientali, che sicuramente avvenivamo anche in passato, ma non con la stessa frequenza. Ogni volta che piove, si sente parlare di bombe d’acqua. Dobbiamo avere sempre presente che il nostro è un sistema chiuso, e che il tema del cibo e della necessità di sfamare ogni giorno milioni di persone comporta che sia l’agricoltura, sia gli allevamenti siano intensivi. Questi ultimi, destinati all’alimentazione umana, inquinano più delle automobili e dei trasporti, con impatto fortissimo sull’ambiente e sul clima. Per questo bisogna mutuare le pratiche migliori.
Sfamare il mondo in maniera sostenibile, riducendo progressivamente l’impatto ambientale è la sfida globale da vincere. Con quali azioni della collettività riusciremo a fare goal?
Occorrerà giocare su due fronti. Uno è lo spreco alimentare, che si verifica lungo tutta la filiera produttiva. E’ quello che chiamiamo nei PVS, ”lo spreco nel campo”, e nei paesi industrializzati, “lo spreco nel piatto”. Il problema è che noi occidentali avendo tanto cibo a disposizione, ne buttiamo via tanto. Ogni famiglia getta una certa quantità di cibo scaduto, cibo che fra l’altro è costato all’ambiente, perché ha subito tutto il processo di trasformazione, confezionamento e trasporto. Oppure, si butta via il cibo perché se ne cucina in abbondanza, o ancora perché se anche c’è la dispensa piena si fa un pranzo veloce fuori, magari senza guardare alla qualità, e questo alla lunga genera i problemi legati ad una sovralimentazione, ricca di grassi e non sana. L’altra questione interessante è quella dell’impegno che devono mettere le industrie alimentari, che hanno consentito attraverso la produzione e la trasformazione industriale di farci avere tanto cibo a poco costo. Oggi, la nuova sfida è quella di farci avere tanto cibo, a poco costo, buono e sostenibile. Nei paesi africani, che non hanno un sistema che consenta di conservare i prodotti della filiera alimentare più a lungo, perché non hanno l’industria della trasformazione oppure non possiedono certi tipi di tecnologie, la sfida è abbattere lo spreco nel campo, perché produrre il cibo che non può più essere consumato è costato energia al pianeta.
Sul cibo c’è bisogno di una crescente sensibilità prima di tutto sul piano etico?
C’è un problema di responsabilità verso le generazioni future. Oggi, per le scelte sbagliate, i Paesi stanno consumando qualcosa che non è loro, ma è di tutti, anche di quanti popoleranno il pianeta domani. Se si rendono completamente inutilizzabili alcune risorse – l’acqua, l’aria, la terra – le si sottrae per sempre alle generazioni future, che saranno più numerose.
Come potrà realizzarsi a livello globale l’Urban Food Policy Pact?
Il compito delle città è avere amministratori capaci affiancati da bravi esperti – scienziati, ricercatori – in grado di programmare un sistema per l’alimentazione in città, idoneo, fra le altre cose, sia a contenere gli sprechi di energia, sia a diffondere e a far condividere fra la popolazione stili alimentari sostenibili. La ricerca scientifica ci deve condurre a nuove fonti alimentari sostenibili. Ciò non significa che queste vadano inventate. Penso a fonti alimentari che vanno sviluppate, e sono utilizzate in alcune parti del pianeta, cui si potrebbe fare maggiormente ricorso, come alghe, meduse, insetti commestibili, prodotti che hanno un impatto minore rispetto ad altri alimenti che, al contrario, utilizziamo in abbondanza.
Il prossimo risultato degli impegni di EXPO che vorrebbe portassero a casa Milano e l’Italia?
Ho in mente un modello interessante, visitato durante le missioni con la delegazione per Expo2015, che è la città del sapere vicino a Panama. Mi piaceva immaginare così l’eredità di Expo, ovvero che tutti i paesi partecipanti, dopo l’Esposizione, trasferissero alcuni loro rappresentanti in un centro ricerche per il food. In questo sito, sull’esempio di quanto è stato fatto a Panama, la ricerca non dovrebbe essere tassata, si potrebbero sviluppare i progetti di ricerca con incentivi e tutti i paesi sarebbero invogliati a trasferire i propri centri di ricerca e a registrare i loro brevetti, con l’impegno che, trascorso un certo lasso di tempo, tutto ciò che è coperto da brevetto dovrebbe essere immediatamente reso disponibile per i Paesi in Via di Sviluppo. Insomma, una zona franca della ricerca in campo alimentare dove i paesi che avevano i padiglioni, partecipando con i loro scienziati, contribuirebbero a fare della Lombardia una Food Valley, una Silicon Valley della ricerca sull’alimentazione.