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Le difficoltà del miele italiano, dal cambiamento climatico alla concorrenza sleale

In Italia la produzione di miele deve affrontare varie difficoltà, dal cambiamento climatico alla concorrenza sleale. Acquistando il miele direttamente dagli apicoltori si sostiene il presidio del territorio e la presenza dell’ape, una sentinella importante della qualità dell’ambiente e della biodiversità

miele italiano
Image by Steve Buissinne from Pixabay

Sosteniamo gli apicoltori che presidiano il territorio

Tempi duri per il miele italiano. I produttori sono infatti alle prese con una serie di difficoltà dovute al cambiamento climatico che vanno dalla siccità alle alluvioni, e causano un’alternanza di temperature troppo miti e gelate improvvise. Tutti elementi che incidono pesantemente sulla produzione di miele. Inoltre, sono sensibilmente aumentati i costi di produzione dal vetro dei vasetti alle etichette, dal cartone per l’imballaggio al trasporto.

Prezzo e qualità

Agli eventi meteo non prevedibili se ne affiancano altri che invece sono prevedibili, e quindi sarebbero se non evitabili almeno controllabili. Parliamo dell’importazione di prodotti che non seguono le nostre regole – giustamente severe, a tutela dei consumatori – ma che invadono ugualmente il mercato.

Si tratta di un’importazione sleale per almeno due motivi: il prezzo e la qualità. Ad esempio, un chilo di miele di provenienza extra-UE (ovvero circa un quarto del totale importato) si vende in media a 2,14 euro al chilo. Quello cinese si vende addirittura a poco più di 1 euro al chilo. Possibile che a questi prezzi la produzione sia conforme alle leggi? La risposta è no, e vediamo perché.

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Irregolarità nel 46% dei casi

Un’indagine avviata dalla Commissione Europea ha scoperto che si tratta per la maggior parte di prodotti truffa. L’analisi di una parte del miele importato ha rilevato irregolarità nel 46% dei casi. Gli sciroppi zuccherini sono impiegati per adulterare il prodotto, aumentare la quantità e abbassare il prezzo; in più, complici additivi e coloranti, se ne falsifica l’origine botanica.

I prodotti più taroccati provengono da Cina e Turchia. Su 89 campioni in arrivo dalla Cina, 66 sono risultati non in regola (ovvero il 74%); la Turchia detiene invece il poco lusinghiero primato di prodotti sospetti (14 su 15, pari al 93% dei campioni). Queste irregolarità recano un danno enorme ai 76mila produttori italiani e ai loro 1,6 milioni di alveari. Alla lista di problemi elencati sopra mancano i calabroni alieni (Vespa velutina e Vespa orientalis) che sono predatori delle api.

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Come riconoscere il miele italiano?

Come essere sicuri di comprare un miele italiano, che non lasci dubbi su qualità e sicurezza? Se possibile, acquistiamolo direttamente dagli apicoltori (nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di Campagna Amica) oppure verificare attentamente l’origine obbligatoria in etichetta.

Come spiega, la parola Italia deve essere presente per legge sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale (ad esempio, miele italiano). Se il miele proviene da più Paesi UE, l’etichetta deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della UE” indicando il nome dei Paesi (ad esempio, se viene da Italia e Ungheria sul barattolo dovrà esserci scritto Italia, Ungheria).

Se proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della UE” con il nome dei Paesi; se invece si tratta di un mix va scritto “miscela di mieli originari e non originari della UE”, indicando i nomi dei Paesi. Spiega Veronica Barbati, presidente dell’Associazione apicoltori di Coldiretti: «Con l’acquisto diretto del miele dagli apicoltori italiani si sostiene il presidio del territorio e la presenza di una sentinella importante della qualità dell’ambiente e della biodiversità quale è l’ape. Tuttavia, occorre anche che in Europa si introduca il principio di reciprocità affinché tutto il miele che entra nel nostro Paese rispetti le stesse regole in materia di sicurezza alimentare, qualità e rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori che vigono in Italia».