Il progetto europeo MedAgriFood Resilience, supportato dalla FAO, studia alcuni esempi di adattamento a condizioni ambientali difficili (climi aridi, scarsità d’acqua, versanti ripidi) in Italia, Algeria e Marocco
(Rinnovabili.it) – Agricoltura e cambiamento climatico sono costantemente oggetto di studio. MedAgriFood Resilience (Socio-environmental shocks assessment and resilience empowerment in Mediterranean agri-food heritage systems: Italy, Morocco, Algeria FAO GIAHS sites) è un progetto europeo supportato dal Segretariato del Programma GIAHS (Globally Important Agricultural Heritage Systems) della FAO che si occupa di identificare e preservare i sistemi agroalimentari e agroforestali tradizionali, il loro paesaggio e l’agro-biodiversità e promuoverne lo sviluppo sostenibile.
Progetto internazionale
L’Università di Firenze guida il progetto internazionale: partner di MedAgriFood Resilience sono l’Università Politecnica Mohammed VI (UM6P, Marocco), l’Università di Biskra (Algeria), il Centro di ricerca scientifica e tecnica per le regioni aride (CRSTRA, Algeria) e l’Università di Ibn Zohr (UIZ, Marocco).
Il coordinatore di MedAgriFood Resilience è Antonio Santoro per conto del DAGRI (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali) dell’Università di Firenze.
I sistemi agroalimentari e agroforestali tradizionali sono oggetto di crescente attenzione per il loro ruolo multifunzionale e come valida alternativa ai modelli agricoli basati sulla massimizzazione della produttività.
Come spiega Antonio Santoro, ricercatore di Assestamento forestale e selvicoltura, «questi sistemi sviluppati nel corso dei secoli dalle comunità locali, oltre a supportare attivamente l’economia degli agricoltori, sono oggi fondamentali in quanto esempi per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici».
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I tre siti oggetto di studio
L’oggetto dello studio del progetto sono alcuni esempi di adattamento a condizioni ambientali difficili (climi aridi, scarsità d’acqua, versanti ripidi) in Italia, Algeria e Marocco in tre siti:
- gli oliveti tra Assisi e Spoleto (Italia) – L’area conserva un’elevata qualità paesaggistica, testimoniata dalla sua inclusione nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici istituito dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Gli ulivi sono coltivati su terrazze con muretti a secco che oltre a rappresentare una tecnica tradizionale per coltivare versanti con pendenze elevate, sono una difesa fondamentale nei confronti del rischio idrogeologico e un efficiente sistema di conservazione delle acque e del suolo;
- le oasi di tipo ghout di El Oued (Algeria) – Un sistema agroforestale sviluppato dai contadini Soufi nel XV secolo che, invece di portare l’acqua alle colture tramite reti di irrigazione, è basato sullo scavare crateri (chiamati ghouts) di circa un ettaro nella sabbia del deserto, per avvicinare alla falda acquifera le radici delle palme da dattero e delle altre piante coltivate. Oltre 6mila ghouts sono stati abbandonati negli ultimi decenni con conseguenze negative su sicurezza alimentare, agrobiodiversità e patrimonio culturale;
- il sistema agroforestale dell’argan dell’area di Ait Souab-Ait Mansour (Marocco) – Il sostentamento delle comunità locali è direttamente o indirettamente legato agli alberi di argan, e la gestione del bosco di argan è perfettamente integrata con la coltivazione di varie specie e con l’allevamento. La tradizionale strategia di conservazione dell’acqua rappresenta inoltre un esempio di adattamento e resilienza a condizioni ambientali difficili. Inoltre, il ruolo delle cooperative locali per la produzione di olio di argan è fondamentale per garantire un salario equo alle donne delle comunità locali.
«Il progetto intende valutare le principali vulnerabilità socio-ambientali nei tre siti, identificare ii fattori chiave per la resilienza e l’adattamento dal punto di vista tecnico, della biodiversità e socioeconomico, promuovere lo sviluppo locale inclusivo e sostenibile e potenziare la resilienza nei confronti di potenziali shock preservando al contempo il patrimonio culturale e quello ecologico, definire e introdurre soluzioni innovative, buone pratiche e strategie per la resilienza e l’adattamento che possono essere replicati in altri sistemi agroalimentari e agroforestali», conclude Santoro.