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Martina: la ricetta FAO per le emergenze alimentari del pianeta

Può l’introduzione di nuovi modelli agricoli sopperire alle drammatiche emergenze alimentari del pianeta? Esistono soluzioni immediate? Che fine ha fatto il progetto OBIETTIVO FAME ZERO 2030? Potrebbero avere un ruolo risolutivo l’innovazione tecnologica e lo sviluppo delle agroenergie? Ne parliamo con uno dei più autorevoli interlocutori mondiali su questi temi, Maurizio Martina, Vice Direttore Generale della FAO

di Mauro Spagnolo

(Rinnovabili.it) – In vista della prossima edizione del nostro evento AGRIFOOD FORUM, che si terrà il 26 maggio, abbiamo incontrato uno dei suoi più autorevoli relatori, Maurizio Martina, il Vice Direttore Generale della FAO.

Il problema della sostenibilità alimentare, accentuato dai recenti avvenimenti degli ultimi tre anni, è diventato urgente e drammatico in tutto il pianeta. I cambiamenti climatici, la pandemia e adesso la guerra in Ucraina ci stanno allontanando dal raggiungimento dell’obiettivo tanto ambito di garantire cibo sano e sufficiente a tutti sul pianeta.

Direttore Martina, l’alimentazione è fortemente dipendente dai fattori climatici, e le criticità dovute a questi cambiamenti colpiscono maggiormente i Paesi più fragili. Combattere il cambiamento climatico – valutazione ormai condivisa globalmente – è la prima azione per sconfiggere la fame, ma la transizione dei sistemi alimentari ha un costo che non tutti potranno sostenere. Ci sono soluzioni a questo problema?

Si tratta di un tema importantissimo che ci accompagna da molto tempo: abbiamo rilevato che esiste una sovrapposizione molto evidente nella mappa della fame planetaria con quella delle grandi trasformazioni climatiche e ambientali. Quest’ultime stanno già cambiando radicalmente le condizioni delle diverse agricolture del pianeta. Non passa giorno che non si confermi l’evidenza di questa sovrapposizione.

Dobbiamo quindi arrenderci a questa evidenza…

No. La questione va affrontata contemporaneamente su due livelli: da una parte definire alcune scelte “emergenziali” di brevissimo periodo, dall’altra costruire un orizzonte strategico ben più ampio. Per questa ragione la FAO sta stabilendo una propria strategia per il climate change che lanceremo il prossimo giugno, dopo un lungo lavoro di analisi e di profilazione di proposte. Si tratta di un Piano specifico, suddiviso per ogni grande area geografica del pianeta, che avrà la finalità di sostenere e indirizzare il cambiamento necessario per definire nuovi modelli agricoli compatibili con le questioni climatiche che stiamo vivendo. Questa è un’operazione non facile, ma è assolutamente necessaria e urgente. Ci sono per fortuna numerose buone pratiche che possono essere prese ad esempio, pratiche che dimostrano che il cambiamento del modello agricolo può costituire una valida risposta alle trasformazioni climatiche. E queste esperienze le possiamo annoverare anche in realtà complesse sia nell’ambito dell’agricoltura che su quello dell’allevamento. Ma queste esperienze virtuose debbono essere accompagnate necessariamente anche da scelte delle istituzioni pubbliche.

Società, ambiente, alimentazione ed economia sono i punti chiave della sostenibilità integrale. Ritiene che l’emergenza Covid e la guerra abbiano cambiato le priorità?

Assolutamente sì, non si può negarlo. Viviamo senza alcun dubbio una situazione più fragile e delicata. E’ chiaro che gli avvenimenti bellici di queste ultime settimane peggiorano la situazione e mettono a rischio alcune aree già di per sé molto delicate. Sia l’Ucraina che la Russia sono due grandi Paesi agricoli che da sempre forniscono prodotti essenziali agli equilibri alimentari globali come il grano e l’orzo. Ciò assume connotazioni ancor più gravi in Paesi in via di sviluppo come Egitto, Libia, Libano, Congo, Eritrea, e tanti altri. Non c’è alcun dubbio che la situazione che stiamo vivendo ha reso più complicato questo scenario. Ma la lotta alla fame oggi è più complicata di ieri anche perché siamo reduci da tre anni difficilissimi, in una sequenza quasi drammatica: la pandemia, l’accelerazione dei fenomeni del cambiamento climatico e infine i conflitti bellici.

A questo proposito: i conflitti stanno generando un aumento dei prezzi delle materie prime, l’interruzione delle catene di approvvigionamento, speculazioni, insomma un clima di generale incertezza. Di conseguenza ci sono alcuni Stati che propongono di adottare misure protezionistiche. L’agroalimentare europeo riuscirà a parlare con una voce sola?

Credo che siamo entrati in una nuova fase della globalizzazione. E credo che qualsiasi tendenza sovranista – nel senso di pensare che ogni Paese possa far per sé – sia un errore ed un’opzione impossibile, oltre che dannosa. E questo, per le ragioni che lei ricordava, specialmente per Paesi come l’Italia. Stiamo vivendo un nuovo assetto globale, assetto che in molti teorizzano come una nuova “riglobalizzazione selettiva”.

Cosa vuol dire?

Una capacità nel costruire un equilibrio nuovo, suddiviso per grandi aree geografiche, finalizzato a rendere più efficienti gli scambi – e l’utilizzo delle fonti – in funzione delle diverse caratteristiche locali. Il tema è costituire un nuovo equilibrio mantenendo due direzioni: uno sguardo aperto al mondo – ad esempio sarebbe un grave errore pensare che l’agro alimentare italiano non possa ancora essere valorizzato in altri Paesi – e, contemporaneamente, un grande lavoro per rafforzare la nostra autonomia in termini di approvvigionamenti di prodotti basilari per la nostra alimentazione. Questi due elementi debbono essere necessariamente tenuti in equilibrio. E sarebbe un errore grave pensare che basti il primo approccio, quello dei mercati aperti, senza mirare ad essere autonomi su alcune produzioni. E per contro sarebbe uno sbaglio pensare di poter chiudere le frontiere e, seguendo posizioni estremistiche, immaginare che l’Italia possa essere autosufficiente. Ripeto: la soluzione è trovare un punto di equilibrio tra le due tendenze.

Torniamo al grave problema della fame. Alla luce della situazione appena descritta: l’Obiettivo Fame Zero 2030 è un’utopia? E La geopolitica del cibo è diventata, in questi giorni di contingenza bellica, meno importante di quella dell’approvvigionamento energetico?

L’Obiettivo Fame Zero 2030 oggi non è irrealistico, ma per le ragioni accennate, oggettivamente molto complicato. Debbo però sottolineare che non siamo ancora completamente fuori dal binario che potrebbe portare al raggiungimento di questo target. Se ci fosse un’importante accelerazione di investimenti e di attività multilaterali nei prossimi anni, sono convinto che potremmo ancora arrivarci. Confermo però che gli accadimenti che stiamo vivendo hanno ulteriormente complicato la situazione globale.

Debbo dedurre che oggi l’obiettivo si sia allontanato….

Si, certo. Per essere realistici dobbiamo dire che rispetto ad alcuni anni fa l’obiettivo oggi è più lontano. Questo però ci deve portare a non rinunciare a perseguire l’obiettivo, ma a raddoppiare gli sforzi. Ed è il tema principale del nostro lavoro proprio di questi giorni: quanto e con quali tempi la comunità internazionale riuscirà ad investire realmente sul problema della sicurezza alimentare planetaria? Questo è il problema centrale su cui stiamo concentrando il nostro impegno.

E veniamo ad un tema molto caro alla nostra testata. Cosa pensa dello sviluppo delle agroenergie e in particolare del matrimonio tra fotovoltaico e agricoltura? Come è noto un recente Decreto ha indirizzato importanti finanziamenti a questo settore. In altre parole: l’agrivoltaico è un problema o un’opportunità per il coltivatore?

Credo che sia, senza il minimo dubbio, una grande opportunità. Naturalmente, come tutti i cambiamenti, non esiste una strada certa senza errori. È chiaro che quando si realizzano trasformazioni di questa portata i rischi ci sono, bisogna avere attenzione a correggere eventuali errori, o fenomeni di speculazione, o eccessi che potrebbero presentarsi, ma guai a non provarci. Si tratta decisamente di una straordinaria opportunità.

Infine parliamo di giovani e di innovazione in agricoltura. Le imprese guidate da under 35 sono in aumento e praticamente tutte credono nell’innovazione e nella sostenibilità. Pensa che i giovani riusciranno ad essere i protagonisti di una reale svolta ambientale del settore dell’agrifood?

Credo che i giovani in agricoltura siano sicuramente un grande valore. Tutte le esperienze che io ho incontrato in questi anni di giovani inseriti nel settore agroalimentare sono indubbiamente storie che portano un valore aggiunto straordinario al nostro mondo in termini di capacità imprenditoriale, di innovazione, di determinazione nel coniugare al meglio l’utilizzo di soluzioni tecnologiche con le caratteristiche ed i valori dei diversi contesti territoriali. E abbiamo notato che dove vi sono operatori giovani c’è sempre una vitalità che porta ad una maggiore redditività. Esistono molti esempi, al nord come al sud, di storie di ragazzi che hanno intrapreso questo lavoro ponendo la questione ambientale al centro della loro attività.

E saranno sicuramente loro il motore principale per la transizione ecologica dei sistemi alimentari.