di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – Nel 2018 Confagricoltura e Carapelli firmarono un accordo di filiera per promuovere la produzione e la filiera dell’olio di oliva extravergine italiano.
Il convegno “Olio di oliva: impresa, sostenibilità, mercati” ha voluto celebrare questa ricorrenza a Roma, nella splendida sala del Palazzo della Valle che ospita la sede di Confagricoltura.
Il presidente Massimiliano Giansanti ha ricordato come cinque anni fa questo accordo fu salutato in modo molto tiepido. Anzi, a dire il vero fu criticato da molti, che lo ritenevano un modello perdente. I critici sono stati smentiti dai fatti, come dimostra questo incontro.
Una visione di lungo periodo
L’accordo tra Carapelli e Confagricoltura dimostra una visione di lungo periodo che rileva nel rafforzamento dei rapporti all’interno della filiera olivicola-olearia italiana la capacità di valorizzare sia la parte agricola che quella industriale.
Il risultato è un prodotto tracciato, sostenibile e di qualità che premia il consumatore.
«Una collaborazione che premia il brand Italia. L’olio non è solo un prodotto alimentare: è territorio, storia di famiglia, dedizione a un progetto che richiede tempo per arrivare a un risultato», ha detto Giansanti.
Il mondo dell’olio è molto variegato, è fatto di poche grandi aziende e di una miriade di produttori medi, piccoli e piccolissimi (ovvero quelli che fanno l’olio “per casa”), ma è comunque un settore fondamentale dell’economia agroalimentare italiana.
Italia campione di biodiversità
Come ha evidenziato Walter Placida, presidente della Federazione Nazionale di Prodotto Olivicoltura di Confagricoltura, all’estero si è investito molto per far crescere la produzione dell’olio d’oliva (cosa che dovremmo fare anche noi), ma l’Italia è un campione di biodiversità con 550 varietà di cultivar che danno oli diversi tra loro, ma tutti di alta qualità.
Placida rileva il fatto che la sostenibilità ha dei costi in più, per questo le aziende italiane vanno tutelate dall’ingresso in UE di prodotti esteri che non seguono le nostre regole e sono di qualità inferiore.
Una volta la coltivazione dell’olio era presente in poche zone d’Italia, oggi lo troviamo in quasi tutte le regioni. Il problema è quello di aumentare la produttività e creare un’economia di scala, consorzi e nuovi modi di coltivazione.
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Alleati, non concorrenti
Il cambiamento climatico influenza la produzione e impone di ripensare il modello produttivo. Come ha sottolineato Giansanti, il Mediterraneo è l’area privilegiata di produzione dell’olio d’oliva dove tutti i paesi pensano di fare il prodotto migliore. Proviamo a cambiare prospettiva e a «valorizzare l’olio d’oliva come alleati anziché come concorrenti».
L’incontro a Palazzo della Valle è stato prezioso per fare il punto sul presente e progettare il futuro. Molto interessante l’intervento di Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma, che ha illustrato come gli eventi degli ultimi tre anni – pandemia, invasione russa dell’Ucraina, inflazione, impennata dei costi energetici – abbiano cambiato anche le tendenze di consumo.
Calo della produzione
Negli ultimi due anni la produzione di olio d’oliva nell’Unione Europea è calata del 20%, ma per l’Italia è la conferma di un calo strutturale che dura dal 2010. Il 75% di questo calo è avvenuto proprio nelle regioni più produttive: Puglia (-52%), Calabria (-42%) e Sicilia (-25%).
Un elemento importante di riflessione nello scenario internazionale è che in Italia la SAU investita a olivo è calata del 3,5% in dieci anni, mentre in altri Paesi è cresciuta a due cifre, grazie a ingenti investimenti nel settore.
Con un consumo medio annuo pro capite di 8 Kg l’importazione diventa obbligata, anche perché l’Italia esporta il 21,2 % dell’olio che produce.
Olio italiano, il più apprezzato nel mondo
Le potenzialità sul mercato mondiale sono decisamente interessanti, si stanno affacciando nuovi importatori come Arabia Saudita e Corea del Sud, quindi investire per potenziare il settore sarebbe un imperativo categorico.
Tra l’altro, nella competizione internazionale l’Italia parte avvantaggiata perché all’estero il nostro olio d’oliva è il più apprezzato per qualità. Come indicano i dati dello studio di Nomisma su tre Paesi campione, l’olio evo è preferito negli USA (58%), in Germania (43%) e in Giappone (53%).
Se i suoi mercati principali di riferimento sono Unione Europea e Nord America, l’olio italiano arriva in tutto il mondo, tanto che è uno dei prodotti top del nostro export agroalimentare.
Effetto rincari
Nonostante questi dati confortanti, i rincari pesano molto sulla filiera olivicola e ne erodono la redditività. Gli stessi consumatori, che devono fare i conti nel carrello della spesa, riducono gli acquisti, specie se di qualità e cresce il mercato dei discount alimentari.
4 persone su 10 acquistano l’olio sugli scaffali della GDO, 3 su 10 direttamente dal produttore; inoltre, anche se il mercato del biologico è in crescita (la SAU è il 25% del totale), rimane sempre una nicchia per il sistema olivicolo italiano.
Pantini mostra che la filiera olivicola italiana è molto frammentata (anche per quanto riguarda i frantoi) e, senza investimenti adeguati, rischia di perdere importanti quote di mercato.
Sul fronte della sostenibilità ambientale e sociale, il settore dell’olio d’oliva ha le carte in regola, i problemi si riscontrano su quello economico.
L’importanza della filiera
Dall’analisi di Pantini emerge l’importanza di fare filiera per contrastare la volatilità dei mercati. Meno del 3% delle aziende vende attraverso accordi pluriennali, unica via per effettuare investimenti di lungo periodo (come richiesto dall’olivicoltura).
Un ruolo determinante lo riveste la comunicazione: troppi consumatori pensano che l’olio d’oliva sia solo un condimento e non un alimento ricco di virtù.
Far capire questa differenza darebbe valore all’intera filiera e le scelte delle persone non sarebbero più determinate dal solo fattore prezzo (ci permettiamo di ricordare, a questo proposito, che un olio che costa troppo poco non può essere di qualità).
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Lo sguardo europeo
Pasquale Di Rubbo, policy analyst DG Agri della Commissione Europea, ha presentato gli orientamenti europei della proposta di quadro legislativo per i sistemi agro-alimentari sostenibili, attesa per fine anno.
La buona notizia è che la strada verso la neutralità climatica indicata dal Green Deal europeo è già ben avviata, anche se ancora c’è molta strada da fare.
Di Rubbo ha toccato vari aspetti: dalla necessità di garantire un giusto reddito agli agricoltori alla food security, dall’indicazione di sostenibilità nelle etichette alla necessità di far dialogare e cooperare i diversi attori delle filiere.
La transizione deve essere un’opportunità di crescita e di miglioramento per tutti, sarebbe utile creare piattaforme di confronto che coinvolga aziende, agricoltori, produttori locali e società civile.
Tre sono gli obiettivi principali della legge quadro: promuovere una maggiore coerenza tra le diverse politiche di interesse agroalimentare a livello UE e Stati membri; maggiore attenzione alla sostenibilità e resilienza dei sistemi alimentari; garantire ai consumatori la possibilità di scegliere prodotti sani e sostenibili a un prezzo accessibile.
Alzare l’asticella della qualità
Anna Cane, scientific&public affairs director, Carapelli Firenze – Gruppo Deoleo, ha sottolineato l’importanza dell’accordo tra Carapelli e Confagricoltura per stabilizzare il mercato e valorizzare la filiera olivicola italiana puntando su aspetti qualitativi, economici e logistici alzando sempre l’asticella della qualità. L’aggregazione di prodotto è garanzia di qualità, tracciabilità certificata di provenienza e di cultivar.
«Pur nell’assenza di una specifica normativa comunitaria, Carapelli si è data regole severe basate sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, il cui rispetto è certificato da una società internazionale.
Non siamo solo acquirenti di materia prima, cerchiamo di rispondere alle aspettative del consumatore e con l’olio portiamo la mediterraneità italiana nel mondo», ha detto Anna Cane.
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La filiera come squadra
Anche il rapporto con i fornitori segue lo stesso percorso: un lavoro fatto insieme, in partnership, crea un senso di appartenenza in tutta la filiera che si sente parte di una squadra.
Come ha ben sintetizzato Tommaso Loiodice, presidente di Unapol, «lo spirito di comunità è un bene immateriale», ma per una giusta comprensione del prodotto è fondamentale educare le persone a riconoscere il valore di questa produzione.
Non va trascurato il ruolo di aggregazione sociale che i frantoi creano sul territorio, «come la parrocchia o la caserma dei Carabinieri», ha precisato Paolo Mariani, direttore OP Confoliva.
GDO e stabilità del prezzo pluriennale
Per Luigi Polizzi, DG delle politiche internazionali e dell’Unione Europea – MASAF, «i contratti di filiera vanno stabiliti anche con la GDO. Qui la vera sfida è la stabilità del prezzo pluriennale, non le promozioni.
Ma è con l’UE che esiste un problema di base quando c’è chi propone di vendere olio sfuso per abolire lattine e bottiglie: significa non aver capito di che prodotto si tratta.
Tutti vogliono la sostenibilità, ma quanti sanno davvero cos’è e cosa comporta? È una forma di circolarità che parte dalla terra e vi torna, ma ha regole precise da rispettare».
Serve un gioco di squadra nazionale
Patrizio La Pietra, sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste con delega all’olio, per il 16 febbraio ha convocato «il Tavolo di filiera olio per fare il punto della situazione del settore e affrontare le numerose problematiche in chiave, finalmente, strategica e di prospettiva».
La Pietra ha parlato di un «gioco di squadra nazionale, perché i nostri competitor sono esterni. Loro investono e noi perdiamo terreno. Pensiamo a un sistema nazionale di qualità, ma servono un progetto e un obiettivo.
Rilanciamo la produzione agricola italiana con un orizzonte lungo e aumentiamo gli ettari dedicati all’olivicoltura».
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In Puglia ripartiamo dalla scienza
La platea ha applaudito il sottosegretario quando ha parlato della situazione in Puglia: «La perdita di olivi si è estesa da Lecce a Bari, le fasce di protezione non funzionano. Mettiamo il punto e ricominciamo dalla scienza abbandonando l’ideologia».
Anche La Pietra torna sulla valorizzazione dei prodotti italiani nella GDO e sul giusto reddito agli agricoltori, «la prima forma di sostenibilità sociale.
Senza questo si distrugge l’agricoltura, le nostre aziende chiudono e siamo costretti a comprare all’estero prodotti senza qualità. Questo è un paradosso che l’UE deve capire».
In conclusione, La Pietra ha ricordato che la discussione sull’etichettatura fronte pacco è ancora una partita tutta da giocare in Europa: «Nutriscore considera l’olio d’oliva un prodotto nocivo, ma è una valutazione lontana dalla realtà. Dobbiamo opporci a questa valutazione non solo per i produttori, ma per i consumatori che sono prima di tutto persone».