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Legumi, un pilastro della sicurezza alimentare

I legumi fanno bene alla salute e fanno bene al Pianeta, hanno un margine di profitto più alto rispetto ai cereali e quindi sono più vantaggiosi per i piccoli produttori. La FAO li ritiene un pilastro della sicurezza alimentare: sono adatti a essere coltivati in zone aride e si conservano a lungo senza bisogno di refrigerazione

Image by annquasarano from Pixabay

(Rinnovabili.it) – Nutrienti, sostenibili, economici. Queste sono alcune delle tante virtù dei legumi. Quest’anno la Giornata mondiale dei legumi istituita dalla FAO per far conoscere il loro valore nutrizionale e ambientale ha avuto tema I legumi per un futuro sostenibile.

Legumi: buoni per l’ambiente e per la salute

I legumi fanno bene alla salute e fanno bene al Pianeta, con la loro capacità di fissare l’azoto atmosferico e renderlo disponibile per le piante; così diminuisce la necessità di usare fertilizzanti sintetici con un conseguente risparmio per gli agricoltori. Inoltre, la coltivazione di legumi non ha bisogno di troppa acqua.

Ultimo aspetto, ma altrettanto importante, è che rispetto ad altre colture alimentari i legumi hanno un margine di profitto più alto rispetto ai cereali e quindi sono più vantaggiosi per i piccoli produttori.

Per queste ragioni la FAO li ritiene un pilastro della sicurezza alimentare: sono adatti a essere coltivati in zone aride e si conservano a lungo senza bisogno di refrigerazione.

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Un aiuto contro le crisi alimentari

Il direttore generale della FAO, QU Dongyu, elogia le virtù dei legumi che «contribuiscono in diversi modi alla trasformazione dei nostri sistemi agroalimentari, possono aiutarci ad affrontare molteplici crisi globali, contribuiscono a migliorare la biodiversità del suolo e a mitigare i cambiamenti climatici aumentando la capacità del suolo di immagazzinare carbonio e ripristinando i suoli degradati».

Il valore dei legumi per la sicurezza alimentare è particolarmente evidente nei Paesi dove l’agricoltura è la fonte di sostentamento principale e il cambiamento climatico ha causato la perdita del 70% dei raccolti in conseguenza di alluvioni e siccità.

Slow Food, ad esempio, non solo valorizza i legumi e ne consiglia il consumo, ma evidenzia anche la loro biodiversità: delle 300 varietà presenti nel mondo, ben 124 sono coltivate in Italia e 48 sono Presidi Slow Food.

I legumi più conosciuti in Italia sono ceci, cicerchie, fagioli, fave, lenticchie, lupini, roveja e soia, ma ce ne sono tanti altri che possono entrare con successo nella nostra dieta.

Cambiano le abitudini alimentari

L’Università di Aarhus (Danimarca) ha coordinato lo studio Changes in food behaviour in times of crisis – condotto insieme all’Università di Helsinki (Finlandia) e all’Università Cattolica di Leuven (Belgio) e finanziato da EIT Food – su 5mila consumatori di 10 Paesi europei.

L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari dovuti alla guerra in Ucraina ha portato i consumatori a cambiare le abitudini alimentari riducendo le proteine animali.

Cercando proteine alternative sembra ovvio che ci si diriga su quelle fornite dai legumi. Sono poveri di grassi e ricchi di fibre, contengono sali minerali e vitamine del gruppo B.

Va sottolineato che le proteine vegetali sono diverse da quelle animali e mancano di alcuni componenti, ma è certo che il consumo di legumi non è associato al rischio di malattie cardiache, diabete di tipo 2 e obesità.

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Rispettare gli stessi criteri

Autunno e inverno sono le stagioni in cui si consumano più legumi, ma in realtà sono un alimento ideale per tutte le stagioni.

In Italia le coltivazioni di legumi sono messe in crisi dall’arrivo dall’estero di prodotti a basso costo e scarsa qualità, causando un calo della produzione nazionale, avverte Coldiretti.

Il massiccio volume delle importazioni (quasi 490 milioni di chili secondo una proiezione Coldiretti su dati Istat relativi ai primi dieci mesi del 2022) fa sì che tre quarti dei legumi consumati in Italia vengono da Paesi che usano fertilizzanti che da noi sono vietati o che sfruttano il lavoro minorile.

Tutti i prodotti che entrano in Italia e in Europa dovrebbero rispettare gli stessi criteri di qualità per quanto riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute.

Motivo per cui Coldiretti insiste perché sia rivisto il meccanismo degli accordi che favoriscono l’arrivo di prodotti stranieri e siano applicati tre principi fondamentali: parità delle condizioni, efficacia dei controlli, reciprocità delle norme.