Quanto incidono le nostre diete sul riscaldamento climatico? I loro costi ambientali si protrarranno nel tempo perché non possiamo eliminare gradualmente il cibo come facciamo con i combustibili fossili, e nessun Paese ha ancora trovato una soluzione praticabile e soddisfacente in tema di diete sostenibili
di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – Quanto incidono le diete nell’aggravare o, al contrario, limitare il riscaldamento del Pianeta? Ricordiamo che i sistemi agroalimentari globali contribuiscono per un terzo alle emissioni totali di gas serra, e nessun Paese ha ancora trovato una soluzione praticabile e soddisfacente in tema di diete sostenibili.
La forbice tra fame e obesità continua ad allargarsi, complici la pandemia e i danni causati dal cambiamento climatico. Nel 2020 circa un decimo della popolazione mondiale ha sofferto la fame, stando ai dati riportati dal Rapporto The State of Food Security and Nutrition in the World pubblicato a cura di FAO, IFAD, UNICEF, WFP e WHO.
Il cibo non si può eliminare come i combustibili fossili
Nel mondo un adulto su tre è obeso o in sovrappeso: segnali estremi di una malnutrizione troppo diffusa.
Uno dei temi di cui si è discusso a Glasgow durante la COP26 è come dare a tutti la possibilità di seguire diete sane e sostenibili; nello stesso tempo, però, c’è una popolazione mondiale che continua a crescere e che reclama il giusto diritto al cibo. In che modo i modelli di consumo incideranno sulla temperatura terrestre?
Quando si parla di diete sostenibili, ragionare sul consumo è indispensabile; ignorare questo aspetto dei sistemi alimentari allontanerà l’obiettivo di rimanere entro 1,5°C. Anche se tutti gli altri settori azzerassero le emissioni, quelle dei soli sistemi alimentari probabilmente ci porterebbero fuori dal limite dei 2°C.
Il settore energetico ha una tabella di marcia più o meno veloce, ma comunque stabilita; per il settore agroalimentare non possiamo dire altrettanto. Nessuno ha ancora definito un percorso per arrivare a zero emissioni per l’agricoltura e l’alimentazione.
Il dato incontrovertibile è i che i costi ambientali delle nostre diete avranno ricadute che si protrarranno nel tempo perché non possiamo eliminare gradualmente il cibo come facciamo con i combustibili fossili, come è stato sottolineato in un interessante incontro organizzato dal WWF nell’ambito della COP26.
Le diete funzionano mettendo le persone al centro
Una volta stabilito quali siano gli ingredienti di una dieta sostenibile (ovvero quella che include principalmente frutta, verdura, legumi e semi, ma poca carne rossa e pochi pesci) dobbiamo ragionare sul fatto che non esiste una dieta che vada bene per tutti in tutto il mondo: ogni cultura è legata a tradizioni basate sui prodotti locali e ad alimenti determinati dalle condizioni climatiche. Proprio per questo una delle grandi sfide è quella di porre le persone al centro e farne gli attori principali della trasformazione dei sistemi agroalimentari.
Una dieta sarà davvero sostenibile solo se sarà accettata culturalmente dalle persone, altrimenti non potrà funzionare. Solo coinvolgendo le persone si potranno unire i puntini tra clima, dieta e agricoltura in una visione complessiva.
Le conoscenze delle popolazioni indigene
Un altro tassello centrale del puzzle agroalimentare sono le popolazioni indigene, portatrici di una sapienza secolare e profonde conoscitrici dell’ambiente in cui vivono. Farle partecipare ai processi decisionali in fase di costruzione di piani climatici e agroalimentari nazionali può dare un impulso positivo.
Diete sane e sostenibili sono la manifestazione di un ecosistema sano, che può offrire molti posti di lavoro in settori come agricoltura, pesca, silvicoltura, turismo. Spesso questi principi sono chiari prima a livello locale che a livello nazionale, pertanto sono auspicabili coalizioni di governi locali per portare proposte fattibili, o addirittura già realizzate, ai governi nazionali.
Certe scelte avranno effetto nel lungo periodo, ma in molti casi sono già avviate da chi crede che il futuro sia già cominciato.