L’agricoltura italiana è un modello da seguire. Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura spiega perché non c’è transizione verde senza agricoltura
di Isabella Ceccarini
Agricoltura, sicurezza alimentare e rispetto dell’ambiente
La recente COP 28 ha confermato, pur con molte contraddizioni, obiettivi e percorsi per la decarbonizzazione della nostra società. Quale può essere, secondo lei, il ruolo dell’agricoltura in tutto questo?
Il ruolo dell’agricoltura è fondamentale nei processi di decarbonizzazione, sia se parliamo di salute del clima che di cambiamento climatico. Non possiamo far finta che nulla stia accadendo: le analisi predittive dicono che da qui al 2100 avremo un aumento di 4°C della temperatura a livello globale. Questo determinerà eventi catastrofali ricorrenti che potrebbero mettere in forte discussione la capacità produttiva soprattutto dell’agricoltura.
È fondamentale garantire l’autosufficienza alimentare per una popolazione che aumenterà. In questo percorso l’agricoltura deve essere considerata uno dei principali attori dei processi di decarbonizzazione.
Si parla poco dei boschi italiani. Valorizzare il settore e puntare di più sulle biomasse legnose non sarebbe strategico dal punto di vista ambientale e dell’indipendenza energetica?
Una maggiore attenzione all’utilizzo, al recupero e al ripristino delle aree forestali è importantissima.
In Italia è necessario rilanciare le aree forestali private e pubbliche costruendo un modello virtuoso da cui ottenere una gestione che da una parte possa incrementare il sequestro di carbonio, dall’altra mantenga un sistema forestale sano, ma dia anche prospettive economiche alle imprese e ai territori.
Serve una politica per il rilancio delle aree forestali, che sia anche attenta alla loro gestione: i sottoprodotti della manutenzione sono alla base della produzione di energia elettrica e termica da biomasse. In questa dimensione entra il grande tema delle energie rinnovabili.
Il Consorzio Italiano Biogas ha aiutato notevolmente lo sviluppo della produzione di biogas in Italia. Con le nuove tecnologie, oltre al biometano immesso in rete è possibile produrre anche il digestato per fertilizzare i campi. Quanto è vincente questo modello di economia circolare agricola e quanto potrebbe essere diffuso tra le nostre aziende?
Rivendichiamo di aver voluto le rinnovabili oltre vent’anni fa con i primi impianti di biogas.
Sul biogas riteniamo ancora oggi che molto si debba fare sulla definizione di una nuova tariffa che dovrà essere emanata entro l’inizio del prossimo anno per permettere di mantenere in produzione gli impianti che non si potranno riconvertire a biometano, che si auspica sia sufficiente per il proseguimento dell’attività.
Questi impianti, insieme a quelli a biometano, sia nuovi che da riconversione, sono determinanti per la costruzione di un modello virtuoso che include il sistema agricolo e zootecnico.
Dobbiamo costruire un modello Italia che preveda che ogni stalla in maniera diretta o in maniera consortile possa partecipare a un processo in cui le deiezioni dei nostri allevamenti possano trasformarsi in energia, contribuendo alla riduzione delle emissioni di gas serra.
Questa energia potrà essere legata al biogas per la produzione elettrica laddove le reti e le infrastrutture di trasporto del metano sono lontane oppure nella produzione di biometano agricolo, che è una grande opportunità per le aziende agricole anche per l’uso dei nuovi trattori alimentati a biometano.
C’è una terza via per noi fondamentale, il biofuel. L’Italia può tornare ad essere un grande produttore di oli vegetali che sono alla base della produzione di biofuel.
Nell’arco di un anno potremmo raddoppiare la produzione di olio vegetale (soia, girasole e colza) e in un processo più ampio – con le aziende che commercializzano e raffinano il gasolio con gli oli vegetali – potremmo dare un’ulteriore accelerazione verso modelli dove la biocombustione non sia più esclusivamente con il diesel classico ma con un diesel che tiene conto delle capacità di produzione di olio vegetale italiano e con un importante abbattimento di emissioni.
Inoltre, anche le colture che ci sono dietro sequestrano carbonio in maniera importante: quindi è un processo win-win che da una parte va a decarbonizzare e dall’altra ad abbassare le emissioni.
Parliamo quindi di un modello di economia circolare agricola che coinvolge le aziende e punta alla sostenibilità.
Oggi è più che mai necessario, anche rispetto alle sfide che richiamavo prima, cioè l’esigenza di produrre di più in maniera competitiva. Operiamo in mercati globali dove anche i prezzi sono globali. Tutto si basa sulla produttività e la competitività di un’impresa. L’impresa agricola per natura utilizza energia per produrre generi alimentari.
Da una parte lo sviluppo del fotovoltaico è sempre più fondamentale – quindi vanno bene le risorse destinate dal PNRR alla realizzazione del parco agrisolare o dei campi fotovoltaici con i pannelli intelligenti – dall’altra servono percorsi che possano favorire le imprese agricole che utilizzano l’energia prodotta dal biometano.
Un’altra possibilità è quella di ottenere bioetanolo direttamente dagli scarti delle deiezioni animali attraverso la produzione di biogas. Ringrazio per questo Confagricoltura Umbria che ha studiato un brevetto con l’Università di Milano.
È evidente che dobbiamo costruire un modello di economia circolare in cui le aziende agricole producono l’energia necessaria all’interno dell’azienda stessa. Questo sia per avere un prodotto sempre più sostenibile, ma anche un costo ragionevole: oggi il costo più rilevante per un’azienda agricola è quello energetico.
In questa corsa alla riduzione delle emissioni anche in agricoltura, qual è il ruolo dell’innovazione tecnologica?
Avrà un ruolo fondamentale. L’innovazione sia di processo che di prodotto accompagnerà il settore dell’agricoltura verso nuovi standard.
Tutto ciò che passa dalla digitalizzazione dell’agricoltura renderà l’agricoltore più forte sul mercato perché avrà mezzi e strumenti per produrre meglio e in modo più sostenibile, dando al consumatore una serie di dati che vanno dalla tracciabilità del prodotto fino alla certificazione dell’impronta ambientale delle singole produzioni, e questo diventa un fattore determinante.
La digitalizzazione e l’agricoltura di precisione permettono di diventare sempre più performanti, di consumare sempre meno gasolio, meno fitosanitari, meno chimica nei terreni. E questo ovviamente avrà un impatto significativo sulla salute dei suoli e quindi dell’ambiente.
L’agrivoltaico può essere una risposta energetica ed economica per l’azienda agricola? Rimangono però alcuni nodi: il credito, gli adempimenti burocratici e le polemiche sull’occupazione del suolo coltivabile.
In Italia in questi anni, grazie alla politica agricola comune, abbiamo deciso di non destinare alla coltivazione un milione di ettari, e nessuno si è scandalizzato.
Se oggi volessimo raggiungere gli obiettivi sulla transizione energetica e in particolare sulla produzione fotovoltaica che ci siamo dati, dovremmo individuare circa 80mila ettari per la realizzazione dei nuovi campi agro-fotovoltaici intelligenti.
Credo che fare questa operazione in collaborazione con gli agricoltori – che sanno quali sono i terreni marginali, ovvero che meno si prestano alla produzione di generi alimentari – non sia un problema.
Tanto più che oggi i nuovi campi agro-fotovoltaici intelligenti permettono all’agricoltore di svolgere contemporaneamente l’attività agricola o di allevamento.
Guardiamo il bicchiere mezzo pieno perché oggi, rispetto all’obiettivo di avere energia rinnovabile ma soprattutto un migliore impatto sul sistema climatico, credo che il passaggio al fotovoltaico sia un dovere più che una necessità.
La nuova misura dedicata allo sviluppo dell’agrisolare approvata dalla Commissione Europea prevede aiuti sotto forma di sovvenzioni agli investimenti che coprono fino all’80% dei costi ammissibili. Gli obiettivi europei più vincolanti che impatto avranno sull’agricoltura?
Dobbiamo scindere le due cose. Da una parte abbiamo un modello economico europeo che, soprattutto a causa della politica del Green Deal voluta dal presidente Timmermans, sta rischiando di mettere fuori dal sistema economico l’Europa stessa nello scenario macroeconomico.
In questi giorni il “Financial Times” ha portato all’attenzione dei lettori due articoli. In uno spiega che, all’interno dell’Inflaction Act, il Presidente Biden finanzia con 20 miliardi di dollari i processi di decarbonizzazione dell’agricoltura. Gli agricoltori americani preferiscono dedicare le loro attenzioni al mercato anziché accettare processi di investimento finanziati per produrre meno rispetto ai grandi temi del cambiamento climatico.
In Europa ci stiamo dando obiettivi ambiziosi non accompagnati da finanziamenti adeguati, anzi molto spesso con disincentivi e quindi con penalità. Sono due modelli di gestione completamenti diversi.
Credo che il Green Deal Europeo abbia alcuni aspetti molto interessanti. Quello che è mancato e che sta iniziando a comparire oggi è passare dalla fase della penalità a quella dell’incentivo.
Dobbiamo assolutamente incentivare tutti i modelli economici, tra cui l’agricoltura, verso processi che guardano a un sistema agricolo migliore: tuttavia bisogna sostenere i processi di trasformazione che non sono mai a costo zero.
L’impatto sulle imprese è rilevante, gli investimenti sono importanti e questo percorso deve diventare accattivante. La definizione delle aliquote incentivate al 40% è una buona base di partenza.
Il costo energetico per le aziende agricole è sempre più alto. Aumentare il ricorso alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica potrebbe aumentare realmente la competitività delle aziende agricole? Qual è il settore che ritiene più utile potenziare?
Sì, sono fondamentali per abbattere i costi. Non è un caso che al secondo bando Parco agrisolare abbiano partecipato più di 18mila imprese. I costi energetici si potranno contenere sia favorendo l’autoconsumo (ad esempio, produco energia elettrica o biometano e li uso nei miei cicli produttivi) sia dando agli agricoltori la possibilità – nella diversificazione delle fonti di ricavi – di produrre energie rinnovabili che saranno messe sul mercato.
In quella diversificazione dei ricavi avremo un abbattimento dei costi fissi dell’azienda. Penso che le dovremmo incentivare in tutte le forme di agricoltura: nel sistema delle serre, nell’agricoltura in pieno campo e nella zootecnia.
Si sta lentamente affermando l’uso della trazione elettrica anche in agricoltura. Quanto potrà, secondo lei, svilupparsi tra le aziende italiane?
In alcune aziende agricole ciò è possibile soprattutto in relazione all’utilizzo di macchinari leggeri, ad esempio nel sistema vitivinicolo, molto forte e dinamico, dove i temi della sostenibilità delle produzioni sono utilizzati dalle imprese per posizionarsi sul mercato. Molto passerà dalla disponibilità di macchine con batterie con una durata sufficiente.
Come Confagricoltura lo stiamo già sperimentando con la nostra società di innovazione che si chiama Hub Farm in collaborazione con New Holland.
Dobbiamo guardare in prospettiva alle capacità, ma questo dipenderà dalle case produttrici di macchine agricole, se riusciranno a costruire macchine con motori che permettono di arrivare alla fine della giornata di lavoro.
Il progetto pilota Agri Solar Demo Farm vuole arrivare a un’azienda agricola indipendente dal punto di vista energetico. Ci racconta questo modello di economia circolare a emissioni zero?
Questa iniziativa mira a promuovere una transizione verso un’agricoltura più sostenibile e circolare, sfruttando le sinergie fra tecnologia, energia rinnovabile e analisi dei dati. I trattori, alimentati da energia elettrica pulita prodotta da un impianto agrivoltaico, contribuiranno alla riduzione delle emissioni di carbonio e all’ottimizzazione delle risorse energetiche.
È un progetto di economia circolare in cui andiamo a coniugare l’economia della produzione con la sostenibilità e la relativa certificazione delle aziende.
Oggi un’azienda agricola deve essere messa nelle condizioni di produrre la maggiore quantità possibile al minor costo per essere competitiva sui mercati. C’è inoltre il grande valore aggiunto del Made in Italy sostenibile, che andando a misurare l’impronta carbonica o quella dell’acqua diventano fondamentali.
Abbiamo messo a sistema tutti i dati delle aziende agricole di cui disponiamo attraverso la piattaforma Hub Farm. Questi dati permettono all’agricoltore, con gli strumenti di smart e precision farming di produrre meglio e in modo più sostenibile. Questi dati tornano all’agricoltore per migliorare la produzione e al consumatore in forma di certificazione.
È un modello di economia circolare certificato per dare modo alle aziende agricole di essere sul mercato con un prodotto sostenibile dotato delle certificazioni sull’impronta carbonica e idrica. Questo vuole essere un progetto pilota per avviare successivamente delle collaborazioni anche con le industrie alimentari e arrivare a un prodotto finito che garantisca ai consumatori il rispetto della sostenibilità ambientale non solo nei prodotti ortofrutticoli ma anche in quelli trasformati.
La siccità è una realtà con cui gli agricoltori devono fare i conti. La depurazione delle acque reflue per uso irriguo è una soluzione praticabile?
I dati infrastrutturali non ci danno elementi di tranquillità: capacità di stoccaggio dell’11%, perdita di acqua nel trasporto di oltre il 50%. Se pensiamo che l’85% di quello che mangiamo deriva da produzione agricola irrigata, è ovvio che l’acqua è fondamentale per garantire la sovranità alimentare al Paese.
Sarà fondamentale rafforzare la capacità dei consorzi di bonifica di conservare acqua attraverso i bacini di accumulo, di trasportare acqua dove possibile, e andrà avviata una collaborazione con chi produce acque reflue depurate per usare questa acqua per gli animali o per produrre mais per biogas o biometano.
Se riusciremo a costruire con ANBI un modello virtuoso – dopo aver accertato che queste acque non contengano elementi dannosi alla produzione agricola e quindi alla salute umana – credo che sarà una buona occasione come quella della desalinizzazione, anche se questa richiede processi temporali molto più lunghi.
In conclusione possiamo affermare che l’agricoltura può giocare un ruolo indispensabile e insostituibile nella transizione verde?
Lo ha detto anche il Presidente Mattarella nella nostra Assemblea annuale. Negli ultimi ottant’anni ha avuto un ruolo fondamentale. Siamo passati da un un’agricoltura di sussistenza che non garantiva l’autosufficienza alimentare a un modello che coniuga la tutela la biodiversità, la ricchezza delle nostre tradizioni eno-gastronomiche e di prodotti agricoli apprezzati a livello mondiale.
Il nuovo modello agricolo si apre alla transizione ecologica ed energetica e va a costruire l’agricoltura del futuro, che sempre più integrerà le sue produzioni con una forte attenzione ai grandi temi della preservazione delle risorse naturali che sono fondamentali per consentirci di produrre sempre meglio.
C’è troppo idealismo e propaganda contro gli agricoltori. Se c’è qualcuno che ha bisogno di avere risorse naturali sane sono gli agricoltori. Non conosco agricoltori che inquinano: otteniamo dalla fertilità dei suoli e dalla purezza delle acque e dell’aria gli elementi indispensabili per costruire un buon cibo.
I processi di transizione ecologica ed energetica sono fondamentali e l’agricoltura, a mio avviso, sarà protagonista di questo cambiamento.