Coldiretti ha presentato a Cibus l’indagine “La guerra nel piatto” in cui fa il punto sugli effetti che la guerra in Ucraina sta avendo sulla filiera agroalimentare. Anche se l’export ha registrato un aumento complessivo, permangono forti margini di incertezza a fronte di un aumento incontrollato dei prezzi
di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – L’agroalimentare vale quasi un quarto del Pil italiano ed è un settore che impiega complessivamente quattro milioni di lavoratori.
Secondo i dati di Coldiretti, i lavoratori sono suddivisi tra 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio.
L’export cresce, nonostante tutto
Coldiretti ha presentato a Cibus, il Salone dell’alimentazione in corso a Parma, l’indagine La guerra nel piatto in cui fa il punto sugli effetti che la guerra in Ucraina sta avendo sulla filiera agroalimentare.
Nel 2022 l’export agroalimentare ha registrato una crescita complessiva del 21,6%. Secondo l’analisi di Coldiretti sui dati Istat sul commercio estero relativi ai primi due mesi del 2022, le esportazioni verso gli altri Paesi europei e verso gli Stati Uniti sono finora superiori al record annuale di 52 miliardi registrato nel 2021.
Da segnalare il vero e proprio boom, forse addirittura inaspettato, è il + 39,5% registrato dall’export di cibi e bevande verso il Regno Unito.
In compenso, i prodotti agroalimentari che la Cina acquista dall’Italia sono scesi del 29,5%.
Tuttavia, dopo la pandemia che continua ad avere effetti negativi sul comparto, ora la prima preoccupazione è ovviamente legata agli effetti della guerra in Ucraina: potrebbe rallentare sia l’export che i consumi interni.
L’agroalimentare di fronte ai rincari
Nonostante i buoni risultati non mancano le criticità. Come riporta La guerra nel piatto, l’11% delle aziende agricole hanno difficoltà tali da essere costrette alla chiusura, mentre il 30% lavora in perdita a causa dell’aumento dei costi di produzione che sta diventando ingestibile.
I rincari riguardano praticamente tutto ciò che serve per la gestione di un’azienda agricola: concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi, macchinari.
I rincari dell’energia, in particolare, mettono in crisi l’intera filiera agroalimentare, che è fortemente energivora.
Nel sistema agricolo i consumi diretti di energia includono i combustibili per trattori, serre e trasporti; quelli indiretti derivano da fitosanitari, fertilizzanti e impiego di materiali come la plastica.
Il comparto alimentare richiede invece ingenti quantità di energia per quanto riguarda calore ed energia elettrica, per i processi di produzione, trasformazione, conservazione dei prodotti di origine animale e vegetale, funzionamento delle macchine e climatizzazione degli ambienti produttivi e di lavoro.
Ma quanto costa la guerra nel piatto? I prezzi non crescono solo in campo, ma lungo l’intera filiera.
Coldiretti ha fatto la stima degli aumenti di alcuni materiali che servono per il confezionamento dei prodotti agroalimentari: tetrapack +15%, bottiglie e vasetti di vetro +30%, cartoni di imballaggio +45%, etichette +35%, tappi in metallo +40%, tappi in sughero +20%, barattoli di banda stagnata +60%, contenitori in plastica +70%, cassette in legno + 75%, fertilizzanti +170%.
Aumentare le risorse e sottoscrivere accordi di filiera
Da queste cifre, a cui si aggiungono i rincari dell’energia, la crisi delle aziende agroalimentari è evidente.
Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, sostiene la necessità di destinare risorse al settore agroalimentare in un momento particolarmente difficile in cui «accaparramenti, speculazioni e incertezza rendono sempre più complicato difendere la sovranità alimentare».
Nello stesso tempo, sollecita la sottoscrizione di «accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore anche combattendo le pratiche sleali nel rispetto della legge che vieta di acquistare il cibo sotto i costi di produzione».
Con la crisi degli approvvigionamenti di materie prime alimentari, Coldiretti ritiene da tempo che sia «necessario investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità.
Serve anche contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono dei terreni e sostenere la ricerca pubblica per potenziare l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici».