di Isabella Ceccarini
L’insalata salverà il mondo? Probabilmente no, ma potrà dare un bel contributo attraverso la fattoria verticale, il nuovo volto dell’agricoltura urbana che fornirà prodotti a chilometro zero e soprattutto a inquinamento zero. Nata cinque anni fa da un’idea di Luca Travaglini e Daniele Benatoff, la fattoria verticale di Planet Farms utilizza il sistema di coltivazione idroponica (un tipo di coltivazione – già nota al tempo degli Assiro-Babilonesi – che avviene fuori dal suolo, quindi senza terra ma grazie all’acqua addizionata delle sostanze nutritive che permettono alle piante di crescere). Oltre all’acqua, occorre un substrato appropriato, come ad esempio l’argillla, e una illuminazione a led che ricrei la luce solare. Il dosaggio delle sostanze nutritive è fondamentale perché le piante crescano nel modo migliore.
Planet Farms è in procinto di inaugurare la sua prima fattoria verticale a Cavenago (in provincia di Monza e Brianza), poco distante da Milano. Un edificio appositamente progettato che si estende per 9mila metri quadrati disposti su sei piani: l’equivalente di 45 campi da tennis messi uno sull’altro dove si possono coltivare frutta e verdura in modo assolutamente sostenibile grazie all’alta tecnologia. È fantascienza o sarà l’agricoltura di domani?
La prima idea di vertical farming fu di Dickson Despommier, docente emerito di Microbiologia e Sanità Pubblica della Columbia University di New York. La sua ricerca era caratterizzata da un approccio scientifico con una forte ispirazione sociale: nel 2050 il mondo potrebbe raggiungere i 10 miliardi di persone, impossibili da sfamare con le risorse del Pianeta, specie se consideriamo che l’80% dei terreni disponibili per l’agricoltura sono già utilizzati. Già nel 2012, a Singapore, fu costruita Sky Green Farms per soddisfare le esigenze di un territorio densamente popolato che ha un bisogno crescente di prodotti ortofrutticoli, incompatibile con i ritmi naturali della campagna.
Quali sono i vantaggi di una fattoria verticale? Efficienza, minore consumo di suolo (si risparmia quasi il 90% di superficie), assenza di pesticidi (la coltivazione avviene in un ambiente controllato, quindi non ci sono muffe o parassiti), reale produzione a Km 0, enorme risparmio di acqua (fino al 98% in meno rispetto all’agricoltura tradizionale, è purificata e viene fornita alla pianta arricchita di sali minerali), migliori condizioni di lavoro per gli addetti, allungamento dei cicli di produzione (prodotti di stagione disponibili tutto l’anno, come vogliono i consumatori) e indipendenza dalle condizioni meteo, ormai imprevedibili a causa del cambiamento climatico che scatena eventi estremi sempre più frequenti anche alle nostre latitudini. Produrre frutta e verdura con l’intelligenza artificiale sta diventando una realtà, perché questo tipo di coltivazione è possibile solo con l’aiuto di sistemi di sensoristica e tecnologie innovative: dalla semina al raccolto, tutto si svolge in modo automatizzato. Un sistema blockchain ne garantisce inoltre la tracciabilità lungo tutte fasi di produzione.
Alcuni chef hanno testato i prodotti, di cui si dichiarano soddisfatti in termini di sapore e di profumo. All’inizio del prossimo anno le insalate di quarta gamma (ovvero quelle in busta pronte al consumo), basilico e altre erbe aromatiche debutteranno sugli scaffali dei supermercati a un prezzo in linea con quello dei prodotti biologici. Il prodotto è molto fresco, se appassisce non marcisce perché mancano gli elementi (presenti nella coltivazione in terra) che ne provocano il deterioramento.
Qualcuno teme che si voglia sostituire la produzione naturale con quella artificiale. In realtà l’obiettivo è un altro: cercare di riprodurre in città le condizioni naturali per integrare la disponibilità di cibo e soddisfare una richiesta che nei prossimi anni continuerà ad aumentare. In teoria ogni prodotto potrebbe essere replicato nella fattoria verticale, ponendo problemi identitari per prodotti caratteristici di un territorio e segnando la fine della stagionalità. Non è detto, però, che non si possa trovare un compromesso che metta d’accordo le nostre eccellenze con le nuove coltivazioni, anche perché finora non tutto è replicabile.