di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – In un interessante intervento nell’ambito del Food System Summit 2021, Marie Haga, vicepresidente associato per le relazioni esterne e la governance dell’IFAD (International Fund for Agricultural Development) delle Nazioni Unite, ha spiegato perché «la fame è sia la causa che l’effetto del conflitti». È il conflitto, infatti, la prima causa della fame nel mondo perché generatrice di crisi alimentari. Solo per citare quello che sta avvenendo in alcune aree “calde” del mondo, venti milioni di persone in Yemen, Sud Sudan, Burkina Faso e Nigeria nord-orientale stanno soffrendo la fame a causa della carestia.
Gli effetti economici, sociali e ambientali
Il conflitto genera un circolo vizioso: vengono distrutti i raccolti, le attrezzature per ottenerli e le scorte di cibo. I mercati impazziscono, generando un aumento tale dei prezzi che impedisce perfino l’acquisto dei mezzi di sussistenza. È facile capire perché il conflitto e la fame portino con sé un’escalation della violenza in un tessuto sociale spezzato. La fame porta i popoli a migrare in massa, e la migrazione forzata si ripercuote negativamente sulla produzione agricola. In più, situazioni climatiche alterate danneggiano anche la fertilità del suolo e la disponibilità di risorse idriche, altre due cause di migrazione e di conflitti potenziali.
Come spezzare questo circolo vizioso? Il Food System Summit 2021 è l’occasione propizia per rimettere in discussione i nostri sistemi alimentari in tutte le sue fasi – produzione, trasformazione, vendita e consumo – e attribuire loro un ruolo di generatori di pace.
Vanno risolte prima di tutto alcune distorsioni del sistema: si produce sempre più cibo, ma una persona su nove continua a soffrire la fame e due miliardi di persone non hanno accesso a cibo nutriente. Le emissioni di gas serra dovute all’agricoltura e agli allevamenti sono imponenti. Il 70% dell’acqua disponibile è impiegata in agricoltura, che ha le maggiori responsabilità nella perdita di biodiversità. Per non parlare del fatto che il 30% del cibo prodotto viene sprecato o perso dopo il raccolto per l’impossibilità di trasportarlo in tempi rapidi o di conservarlo correttamente.
Perché sono importanti le piccole aziende agricole
Le piccole aziende agricole sono particolarmente importanti nei paesi in via di sviluppo; qui il trasporto del cibo è più difficile e i conflitti causati dalla fame sono più probabili. Più di 2 miliardi di persone dipendono da 500 milioni di piccole aziende agricole che danno loro da vivere, riforniscono i mercati locali, creano nuove opportunità di lavoro e quindi riducono le migrazioni; inoltre, i piccoli agricoltori tendono a curare l’ambiente in cui vivono e ad adottare pratiche sostenibili. Tuttavia sono proprio loro le prime vittime di prezzi di mercato che non li ricompensano in modo dignitoso e di effetti dei cambiamenti climatici che non sono in grado di fronteggiare.
Adottare soluzioni di corto respiro non serve, sono necessarie politiche di lungo periodo per produrre cambiamenti radicali e duraturi che abbiano un impatto economico, sociale e ambientale. Un esempio su tutti, in Pakistan disporre di varietà di colture più resistenti, di servizi veterinari per il bestiame e di strade asfaltate per raggiungere i mercati ha dissuaso i giovani dall’adesione ai gruppi estremisti.
La pandemia ha sconvolto non solo le nostre abitudini, ma i mercati, l’economia, il tessuto sociale e le piccole imprese locali. Ora più che mai i piccoli agricoltori hanno bisogno di sementi che garantiscano la produzione, di formazione e di sostegno per essere resilienti di fronte agli eventi estremi conseguenti al cambiamento climatico. Servono regole eque di mercato e va sostenuto il ruolo delle donne, formidabili generatrici di reddito anche in contesti di povertà e nel mondo agricolo.
Tantissimo c’è da fare, ma tantissimo si può fare se vogliamo pensare a un futuro che partendo da oggi avrà effetto sulle prossime generazioni.