Deforestazione e catene di approvvigionamento
La deforestazione che cede i terreni all’agricoltura e agli allevamenti intensivi genera una enorme quantità di emissioni: un argomento che dovrebbe far parte delle riflessioni a margine della COP 28.
Le catene di approvvigionamento globali, con la conseguente deforestazione e perdita di biodiversità, rappresentano infatti un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi climatici.
Il dibattito globale, tuttavia, si concentra sul settore energetico e trascura completamente gli effetti della deforestazione.
Trase è un progetto che, basandosi sui dati, analizza i dati relativi alle catene di approvvigionamento e gli effetti sull’ambiente.
Questi dati possono aiutare aziende, istituzioni finanziarie e politiche, governi ad adottare misure per una produzione e un consumo più responsabile delle materie prime.
In una nuova ricerca, Trase quantifica le emissioni di gas serra causate dalla deforestazione e dal degrado delle torbiere legate alla produzione e al consumo di carne bovina, soia, olio di palma e legname.
Secondo Global Forest Watch, una piattaforma online che fornisce dati e strumenti per il monitoraggio delle foreste, se la deforestazione fosse un paese sarebbe il terzo emettitore globale di gas climalteranti.
Nonostante gli impegni che erano stati presi nella COP26 a Glasgow – arrestare e invertire la perdita di foreste e il degrado del suolo entro il 2030 – il Forest Declaration Assessment 2023 mostra che la strada da fare è ancora molta e il 2030 non è poi così lontano.
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Le responsabilità dell’agricoltura
A livello globale, la quasi totalità della deforestazione tropicale è direttamente o indirettamente legata all’espansione dell’agricoltura: una situazione che determina circa un terzo delle emissioni globali di carbonio.
Le emissioni si verificano quando le foreste ricche di carbonio, la savana boscosa, le torbiere e altri ecosistemi naturali vengono disboscati per allevare bestiame, per tagliare legname e fare spazio alle colture.
L’analisi di Trase è centrata sull’impatto di cinque materie prime agricole commercializzate a livello globale sulla deforestazione in sei paesi chiave: carne bovina (Brasile); soia (Brasile, Paraguay, Argentina e Bolivia); cacao (Costa d’Avorio); olio di palma e pasta di legno (Indonesia).
La deforestazione legata all’espansione della produzione di queste materie prime genera emissioni equivalenti a 444 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.
Se si aggiungessero le emissioni derivanti dal degrado delle torbiere, si arriverebbe a 701 milioni di tonnellate, ovvero più della Germania che è il decimo più grande emettitore nel 2020.
Calcolando le materie prime esportate, la conversione del suolo genera emissioni equivalenti a 120 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.
Aggiungendo le emissioni dovute al degrado delle torbiere, l’emissione di CO2 raggiungerebbe i 282 milioni di tonnellate, ossia le emissioni annuali totali della Spagna, il ventinovesimo più grande emettitore nel 2020.
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Il nuovo regolamento UE sulla deforestazione
Dati alla mano, anche i paesi consumatori dovrebbero fare un “esame di coscienza”. Le importazioni della Cina sono quelle che in assoluto incidono di più sulla deforestazione con 99,4 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, ma anche l’Europa non ci va leggera (24,2 milioni di tonnellate di CO2).
Nessuno può ritenersi libero da responsabilità ambientali. Serve quindi un’azione comune tra paesi produttori e paesi importatori per quanto riguarda il dovere di diligenza sulle importazioni di materie prime e sui loro legami con la deforestazione.
Un passo avanti in questa direzione l’ha compiuto il regolamento UE sulla deforestazione che vuole segnare un punto fermo nella lotta ai cambiamenti climatici e alla deforestazione.
Quando esportano o immettono nel mercato dell’UE olio di palma, bovini, soia, caffè, cacao, legno e gomma o prodotti derivati quali carni bovine, mobili o cioccolato, le imprese dovranno dimostrare che tali prodotti non contribuiscono alla deforestazione o al degrado forestale.