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Sistemi alimentari, opinioni a confronto a EIT Food Next Bites 2024

Sistemi alimentari, opinioni a confronto a EIT Food Next Bites 2024
Da sinistra: Maurizio Notarfonso, Tullio Ambrosone, Massimiliano Miatton, Deniz Koca, la moderatrice Živilė Kropaitė-Basiulė

La transizione verde guida il cambiamento dei sistemi alimentari

I sistemi alimentari stanno vivendo una fase di profonda trasformazione. Tante le questioni aperte, tanti i problemi sui tavoli europei, ma quali sono le possibili risposte? Un interessante confronto su questi temi si è svolto a EIT Food Next Bites 2024, l’evento internazionale sull’innovazione nel campo agroalimentare che si è svolto Roma.

Ne parliamo con Maurizio Notarfonso, responsabile del laboratorio di Innovazione delle Filiere Agroalimentari dell’ENEA e con Massimiliano Miatton, coordinatore del Programma di formazione in Agricoltura rigenerativa di EIT Food che hanno partecipato alla tavola rotonda “Navigating towards a competitive future in food systems” a EIT Food Next Bite 2024.

Maurizio Notarfonso: «La ricerca deve andare incontro agli operatori della filiera»

Qual è il ruolo della ricerca nella supply chain? Cosa arriva alle aziende e agli operatori?

Nel laboratorio di Innovazione delle Filiere Agroalimentari dell’ENEA stiamo portando avanti questo discorso: portare fuori dal laboratorio i principali risultati e le applicazioni che sono già cantierabili e comunicabili agli operatori della filiera, incluse le imprese.

Soprattutto quelle piccole e medie hanno difficoltà, la loro attitudine verso l’innovazione è più bassa rispetto alle grandi.

È cambiata la percezione dell’innovazione nei sistemi alimentari?

La percezione dell’innovazione è migliorata in questi anni grazie a una serie di investimenti effettuati con il PNRR che hanno permesso ai principali centri di ricerca nazionali di acquisire numerose strumentazioni e facilities. Adesso che il PNRR volge al termine comincia una nuova fase.

Il lavoro non è finito, anzi proprio adesso i centri di ricerca, come anche il nostro laboratorio, dovranno mettere a sistema e a fattor comune le conoscenze, ma soprattutto l’utilizzo e lo sfruttamento di queste nuove strumentazioni – alcune delle quali molto innovative – a disposizione delle imprese.

È chiaro che mettere a disposizione è un termine generico che non è semplice attuare. Si parla sempre di più di commercializzare la ricerca, nel senso buono del termine, cioè andare incontro agli operatori della filiera portando loro delle soluzioni spendibili e catalogabili sotto forma di servizio con tutte le regole e le forme della pubblica amministrazione.

Ci vorrebbe maggiore chiarezza dal punto di vista politico. Se uno ha una visione, vuole fare una programmazione degli investimenti ma non ha chiaro l’orizzonte tutto diventa più difficile.

Esatto. Il contesto regolatorio è una variabile importantissima perché va a influenzare le strategie nel medio e lungo periodo degli operatori della filiera agroalimentare, quindi sia gli agricoltori che gli imprenditori.

Lanciare un prodotto, lanciare un’opera di innovazione di processo e di prodotto è un’operazione molto complessa che richiede l’investimento di numerose risorse. Quindi è chiaro che è importante avere una visione, sapere dove l’agenda politica e strategica nazionale ed europea sta andando.

Spesso in passato abbiamo riscontrato come ci sia stata un’incertezza sia nei driver alla base delle legislazioni, ma anche una volatilità delle misure regolatorie, che spesso hanno costituito una barriera e un ostacolo anche alle imprese laddove andavano ad adottare o a mettere in campo soluzioni tecnologiche.

Quindi noi insistiamo sul fatto che anche la ricerca debba svolgere un ruolo importante a tale riguardo, andando ad arricchire i dibattiti e tutti le occasioni di confronto in cui si può in qualche modo influenzare e fornire dei punti di vista per definire le future misure normative che vedranno poi la luce nei prossimi anni.

Massimiliano Miatton: «La rigenerazione non è uno stato ma un processo»

Come si articola il programma di formazione per l’agricoltura rigenerativa?

Negli ultimi 4 anni con EIT Food stiamo costruendo rete da un lato tra gli agricoltori, dall’altro tra i tecnici. A livello di tecnici, ci rivolgiamo a quelli che da più tempo e in maniera più seria hanno portato avanti l’agricoltura rigenerativa in Italia.

Grazie a EIT Food che ha una bandiera neutra, ovvero va al di là delle rivalità tra le diverse componenti del settore, stiamo portando insieme sul palco anche tecnici che normalmente non collaborerebbero al di fuori di questa piattaforma.

Il mio approccio di base consiste, a livello di formazione, nell’identificare realtà e aziende agricole particolarmente virtuose, che quindi stiamo già lavorando e dimostrando la capacità di applicare modelli rigenerativi di gestione del territorio o comunque l’intenzione di farlo e di evolvere nel farlo, perché non esiste un’azienda rigenerativa, la rigenerazione non è uno stato ma un processo. Quindi sono aziende che stanno lavorando verso la rigenerazione.

Dove si svolgono i corsi di formazione?

Nell’azienda si ospitano corsi di due giorni su argomenti specifici o sistemi colturali specifici (cereali, vite, olivo, gestione dell’acqua, fertilità del suolo). Il corso è l’occasione per diffondere contenuti, ma soprattutto per creare connessioni e costruire un piccolo ecosistema di supporto.

Per chi fa richiesta c’è un’applicazione. Al corso, gratuito, partecipano solitamente 30 persone per mantenere un gruppo gestibile (anche se di solito le richieste sono molte di più).

Bisogna fare una selezione, e questo dà l’opportunità di comporre un gruppo eterogeneo in termini di provenienza geografica, di esperienza, di genere, etc. Da queste persone si selezionano 3 aziende che ricevono assistenza tecnica gratuita per 3 anni.

Inizialmente l’assistenza tecnica è individuale, poi partecipata ovvero altri agricoltori vengono ad assistere e arricchiscono la consulenza portando la loro esperienza.

Cosa è previsto a livello di territori?

Stiamo facendo consulenza di gruppo nei territori, quindi il focus non è più l’azienda agricola ma il gruppo di agricoltori. È più sperimentale ma molto interessante, grandi sfide, e belle soddisfazioni.

La forza è proprio nelle persone e nella loro eterogeneità.

L’agricoltura rigenerativa si espande alla velocità della fiducia, cioè il cuore del corso è creare quell’ecosistema di supporto che permette di estendere la rigenerazione. Finora stiamo vedendo dei bei risultati.

L’agricoltura rigenerativa potrà accelerare la transizione? Ancora è un po’ di nicchia.

Ci sono vari livelli di transizione.

Quella più superficiale riguarda l’efficientamento dell’ecosistema agrario con l’implementazione di nuove tecnologie; c’è l’implementazione di pratiche di gestione del campo; una più profonda si occupa di integrare tutte quelle pratiche in sistemi agricoli più complessi; un livello ulteriore di transizione riguarda i sistemi alimentari e quindi il rilocalizzare le filiere perché vadano a rigenerare i territori stessi e le comunità che le abitano.

L’agricoltura rigenerativa dà la traiettoria a questi vari livelli di transizione e penso che ogni livello abbia diversi punti leva per accelerare i processi.

Il mondo dell’agroindustria sta lavorando molto a livello di adozione di pratiche; può accelerare significativamente la transizione dei sistemi alimentari grazie a vari tipi di incentivi.

La riprogettazione dei territori e dei sistemi alimentari è più delicata perché entrano in gioco le relazioni tra le persone, l’impresa e nuove forme di distribuzione.

Ma a tutti i livelli è sempre indispensabile il supporto della ricerca, di chi sa costruire filiere locali e forme di collaborazione con varie componenti del sistema alimentare.

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