I dazi stanno mettendo in crisi il mercato mondiale e alla fine ricadono comunque sul contribuente. Di dazi, del significato non ideologico della sostenibilità e della posizione dell’Europa nel contesto commerciale globale abbiamo parlato con Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini

Dazi, tendenze del mercato e sostenibilità secondo Lamberto Frescobaldi
I dazi rischiano di far saltare i mercati globali. In una fase di grande instabilità e imprevedibilità della politica quali possono essere le ripercussioni per il mercato dell’agroalimentare italiano?
Abbiamo intervistato Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini, nel corso della manifestazione “Agricoltura È” che si è appena conclusa a Roma.
Frescobaldi esorta a evitare il panico con una considerazione di evidenza commerciale: 1 euro generato in Italia per la vendita di una bottiglia di vino negli Stati Uniti, lì genera mediamente 4,5 dollari.
E poi di quale sostenibilità parliamo, se compriamo le ciliegie a novembre e non ci rendiamo nemmeno conto che arrivano dall’emisfero opposto?
Frescobaldi sottolinea inoltre che il comportamento virtuoso dell’Europa non basta a salvare il Pianeta: tutto il mondo deve muoversi nella stessa direzione.
Nel contesto attuale, che non permette di ragionare sul lungo periodo, quale scenario si può prevedere per il mercato del vino?
Mi auguro che questa minaccia dei dazi al 200% rientri, e forse il vino è l’ultimo dei problemi. In realtà tra Italia e Stati Uniti sciogliere alcuni nodi che sono venuti al pettine in questi ultimi anni che riguardano scambi di tecnologie, di prodotti alimentari quali la carne, il pollame, il vino.
Il vino ci tocca direttamente perché è il prodotto più esportato; è quello che sul PIL ha superato l’automotive, l’arredamento, la gioielleria. Anche nell’ambito degli scambi con gli Stati Uniti il vino ha un mercato importante.
Tuttavia, cerchiamo di non farci prendere dal panico: 1 euro generato in Italia per la vendita di una bottiglia di vino negli Stati Uniti, lì genera mediamente 4,5 dollari. Questo significa che se noi perdiamo, perdono anche loro.
Anche il ministro Lollobrigida ha esortato a mantenere la calma e cercare di ricomporre questi attriti, perché con i dazi perdono tutti.
Certamente con i dazi perdono tutti e si diventa tutti più poveri. I dazi alla fine ricadono comunque sul contribuente, perché qualcuno deve pagare per questo.
È bastato minacciare i dazi per causare già adesso il segnale che l’inflazione sta ripartendo. Negli Sati Uniti il potere politico e il potere finanziario sono separati, e la FED (Federal Reserve System, la banca centrale degli Stati Uniti) ha già iniziato a parlare di un aumento dei tassi di interesse per rallentare l’inflazione e quindi deprimere i consumi.
Il mondo non è finito, vediamo cosa succede in queste ultime settimane perché i dazi, anche se sono stati solo minacciati, in realtà è come se fossero già in corso nei mercati globali.
Ad esempio, il dazio sul vino del 200% riguarda tutto il prodotto che arriva e viene sdoganato dopo il 2 aprile.
In questo momento tanti container stanno attraversando l’oceano e arriveranno sicuramente dopo il 2 aprile. Quindi quelli che devono partire sono stati congelati, da 10 giorni non sta partendo più nulla, quello che è in nave arriverà a destinazione ma non verrà sdoganato.
Verrà messo in un magazzino bonded, come dicono gli inglesi: vuol dire che è extraterritoriale e sarà sdoganato solo se i dazi rientreranno, altrimenti verrà rimesso su una nave che lo riporterà indietro.
Facciamo lavorare le segreterie per scongiurare quello che sarà un danno micidiale per il mercato, sia per loro sia per noi.
Passando a un argomento totalmente diverso, la sostenibilità della produzione vinicola è una realtà?
Se parliamo di sostenibilità non pensiamo solamente al verde, ma anche a una voce altrettanto importante che riguarda il personale impegnato in agricoltura.
Il settore ha fatto moltissimo in questi anni. Basta ricordare che l’agricoltura e l’edilizia erano i due settori produttivi in cui si registrava il maggior numero di incidenti.
Abbiamo automatizzato i processi più pericolosi per quanto possibile e abbiamo adeguato gli stipendi. Un tempo chi lavorava in agricoltura si sentiva una persona in serie B, oggi non è più così.
Oggi la parola sostenibilità è un po’ abusata, come la resilienza nel periodo del Covid, e spesso non le viene attribuito il giusto valore.
Lo stesso potremmo dire per il cambiamento climatico. Si è verificato anche nel passato – dal 1600 al 1900 ci fu una mini glaciazione – la differenza è che noi l’abbiamo accelerato.
Guardiamo la questione a tutto tondo, si muore più per il caldo o per il freddo? In realtà si muore più per il freddo, ma noi dobbiamo essere molto bravi a far capire anche agli americani di essere un pochino più attenti: sono 340 milioni di persone che consumano due terzi dell’energia del mondo.
Chi non vuole lasciare alle prossime generazioni un mondo migliore? Tutto sommato ci stiamo riuscendo, perché trent’anni fa la vita media in Italia era 69 anni, oggi è 83.
Le aziende fanno il bilancio di sostenibilità. Il paradosso però è che molti addirittura lo nascondono perché temono i controlli e lo strangolamento di incombenze burocratiche insostenibili. Qual è secondo lei la giusta via di mezzo?
Noi europei dobbiamo anche essere un pochino più umili, nel senso che non possiamo pensare che 450 milioni di europei cambieranno un mondo dove ci sono altri 9,6 miliardi di persone: quindi attenzione a non metterci totalmente fuori competizione perché ci stiamo caricando di troppi costi. A volte ci dimentichiamo che la competizione è feroce.
E poi di quale sostenibilità parliamo? Andiamo al supermercato e a novembre compriamo delle bellissime ciliegie: non ci accorgiamo più che non possono essere ciliegie italiane.
Anche questo dovrebbe far parte di un ragionamento di sostenibilità perché le spedizioni hanno un’impronta carbonica importante.
Attenzione a non imporre a noi stessi troppi cavilli, lacci e laccioli se poi andiamo a fare la spesa e compriamo le ciliegie cilene a novembre. Ci dimentichiamo di tutto – sostenibilità compresa – per prendere quello che ci fa piacere, e magari a un costo minore.