Un rapporto di InfluenceMap stima che tra multinazionali della carne e dei latticini e associazioni di categoria, il “fuoco di fila” contro le politiche climatiche di Bruxelles sia riuscito a congelarne metà e a indebolirne il 30%. Usando spesso argomenti contraddetti dalle evidenze scientifiche
Le tattiche dell’industria della carne sono simili a quelle dell’oil&gas
L’industria della carne ha imparato la lezione delle compagnie fossili e usa argomenti molti simili al settore oil&gas per ammorbidire le politiche climatiche UE che riguardano l’agribusiness. Una manovra a tenaglia che, tra lobbying e proteste dei trattori, ha effettivamente abbassato il livello dell’ambizione a Bruxelles.
Lo afferma un rapporto del think tank indipendente InfluenceMap, che ha mappato le campagne di lobbying presso l’UE condotte negli ultimi tre anni da 10 compagnie e 5 associazioni di categoria afferenti all’industria della carne e dei prodotti caseari. Concentrandosi su 6 politiche cruciali per il settore – e per la traiettoria emissiva europea – come la direttiva sulle emissioni industriali o la strategia Farm to Fork.
Il lobbying dell’industria della carne ha avuto “ampio successo”
Non tutti gli attori dell’industria della carne e dei latticini si muovono nello stesso modo. Le compagnie più orientate ai prodotti di consumo hanno mostrato un atteggiamento più “aperto”, con la disponibilità ad accettare buona parte degli effetti delle politiche UE – pur cercando di preservare un ruolo di rilievo per i loro prodotti nelle diete degli europei.
Al contrario, le aziende coinvolte nell’allevamento e nella produzione di carne – come Arla, Danish Crown, Tonnies group, FrieslandCampina, Vion food group – e le associazioni di categoria promuovono senza eccezioni le posizioni più critiche. Inoltre, analizzando più da vicino le dinamiche dell’ultimo triennio con quelle degli anni precedenti, il rapporto suggerisce che è possibile che alcune grandi attori dell’industria della carne si stiano servendo delle associazioni di categoria per portare avanti i loro argomenti, schermandosi così da attenzioni indesiderate.
Quali sono gli argomenti più usati? Le compagnie fossili e l’industria della carne “utilizzano narrazioni fuorvianti simili attraverso messaggi pubblici strategici per seminare dubbi e minare la necessità di affrontare le emissioni di gas serra provenienti dal settore della carne e dei latticini”, si legge nel rapporto. Uno dei tentativi è quello di non far percepire il settore come una delle cause della crisi climatica, sottolineando gli impatti positivi dell’agricoltura e le possibilità di rendere i processi più efficienti, ma anche negando l’impatto delle emissioni dell’allevamento. L’altra narrazione – ben rappresentata nel dibattito pubblico innescato dalle proteste dei trattori, specie in Italia – gira attorno all’idea che l’allevamento sia di cruciale importanza per le nostre società.
Argomenti che sono stati usati dai lobbisti con i policymaker europei. Con quali risultati? Secondo il rapporto di InfluenceMap, gli sforzi “sembrano aver ampiamente avuto successo nel tentativo di indebolire le politiche climatiche chiave rivolte al settore”. All’operato dell’industria della carne e delle associazioni di categoria – su tutte, Copa-Cogeca, Uecvb e Eda – viene ricondotto l’indebolimento “significativo” di 1/3 delle politiche analizzate, e metà di quelle congelate. Tra cui “politiche come il Sustainable Food Systems Framework, una politica di punta della strategia Farm to Fork, e la revisione della direttiva sulle emissioni industriali che regola le emissioni inquinanti delle aziende agricole europee”, aggiunge InfluenceMap.