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Il cambiamento climatico mette a rischio l’agricoltura

Il cambiamento climatico mette a rischio l'agricoltura
Foto di Schwoaze da Pixabay

Quali soluzioni per l’acqua, tra climate change e carenze strutturali?

di Isabella Ceccarini

L’agricoltura è il settore produttivo che più risente del cambiamento climatico che altera il normale ciclo delle stagioni: inverni tiepidi, primavere con gelate che distruggono i frutteti, estati caldissime e siccitose, trombe d’aria, temporali violenti, forti grandinate. A un quadro fortemente critico si sono aggiunti i numerosi incendi che hanno distrutto centinaia di ettari di aree boschive e messo in ginocchio agricoltori e allevatori. A un luglio caldissimo è seguito un agosto rovente: secondo Copernicus Climate Change Service è stato il secondo luglio più caldo mai registrato in Europa.

Una situazione climatica che preoccupa fortemente Confagricoltura in vista dei raccolti: le produzioni di frutta e verdura in pieno campo sono scottate, la raccolta dei pomodori e la vendemmia sono a forte rischio.

L’estate 2021 particolarmente rovente ha inaridito la terra e impoverito i raccolti generando danni per oltre un miliardo di euro. La siccità ha colpito tutta la Penisola; la pioggia tanto attesa arriva con una violenza esagerata provocando l’erosione del suolo fertile perché i terreni aridi non sono in grado di assorbirla. Le precipitazioni che fanno bene alla campagna, invece, devono cadere in maniera costante e non troppo intensa. Gli eventi estremi sono cresciuti del 56% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, come emerge dall’analisi di Coldiretti sulla base dei dati dello European Severe Weather Database (ESWD).

Invasi per trattenere l’acqua piovana

In Italia, nonostante il cambiamento climatico, cadono circa 300 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno. Tuttavia, a causa delle carenze infrastrutturali se ne trattiene solo l’11%, sottolinea Coldiretti che ha elaborato un progetto di intervento strutturale immediatamente cantierabile nel Recovery Plan da avviare con procedure non complesse. Tale progetto prevede la realizzazione di una rete di piccoli invasi con basso impatto paesaggistico e diffusi sul territorio, privilegiando il completamento e il recupero di strutture già presenti; si tratta di costruire dei laghetti artificiali senza usare cemento per ridurre l’impatto l’ambientale e in equilibrio con i territori.

Il cambiamento climatico trova l’Italia in ulteriore difficoltà a causa della cementificazione del territorio e dell’abbandono delle campagne. Il risultato è che 7.252 comuni italiani (il 91,3% del totale) sono a rischio idrogeologico secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Ispra. L’effetto del cambiamento climatico, con una tendenza alla tropicalizzazione che alterna alluvioni e siccità, ha causato in un decennio circa 14 miliardi di perdite tra cali della produzione agricola e danni alle strutture. A questo si aggiungono frane e smottamenti che compromettono le infrastrutture.

A causa del cambiamento climatico l’eccezionalità è diventata la norma. In alcune aree si scaricano bombe d’acqua, in altre la pioggia è insufficiente se non assente: il livello di umidità del terreno resta estremamente basso e le colture, in assenza di irrigazione, soffrono la siccità.

Rivedere la normativa sulle calamità naturali

Confagricoltura guarda con preoccupazione all’allerta meteo della Protezione Civile per i temporali in Veneto, Emilia Romagna, Marche, Umbria e Toscana, regioni dove si sta anche entrando nel vivo della vendemmia. Una preoccupazione che Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, esprime concretamente: «È necessario rivedere la normativa sulle calamità naturali, a partire dal D.Lgs. 102/2004, e sul Fondo di Solidarietà Nazionale, che risulta inadeguato. Occorre un approccio nuovo da parte del legislatore, per permettere alle aziende di avere strumenti più efficaci, sia per quello che concerne la protezione attiva, sia per ciò che riguarda la materia mutualistico-assicurativa, con polizze innovative per la tutela del reddito aziendale». Giansanti sollecita l’adeguamento di una «rete infrastrutturale idrica obsoleta, con un tasso di dispersione elevato, senza dimenticare l’importanza di migliorare l’utilizzo delle acque reflue, che è una delle sfide più importanti dell’economia circolare. L’agricoltura negli ultimi decenni ha ridotto di quasi il 30% il consumo idrico, impegnandosi ad adottare modelli sostenibili di gestione, quali l’irrigazione di precisione. Oggi vanno ristrutturate con urgenza le reti idriche e creati nuovi invasi». Il Recovery Plan è un’occasione imperdibile per la nostra agricoltura.

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