Fino al 75% della dose di farmaco utilizzata in acquacoltura può finire nell’ambiente
di Isabella Ceccarini
A fronte di una crescente popolazione mondiale da nutrire, l’acquacoltura può essere una fonte di proteine alternativa alla pesca in acque libere che sta impoverendo sempre di più la fauna ittica.
La produzione globale di pesce in acquacoltura – compresa quella offshore, ovvero in mare aperto – è più che triplicata dal 1997 al 2017. Il trend crescente obbliga a porsi qualche domanda in più sulla sua sostenibilità.
L’impatto ambientale dei mangimi
Il 90% dell’impatto ambientale dell’acquacoltura è rappresentato dai mangimi, composti in gran parte da elementi impattanti sull’ambiente come farina di pesce e olio di pesce. Negli ultimi vent’anni è aumentato l’uso di mangimi composti che includono ingredienti a base vegetale, un’alternativa più sostenibile rispetto ai mangimi a base di proteine animali.
Tuttavia, anche i mangimi a base vegetale presentano una serie di problemi, cominciando da un maggiore rischio di esposizione a fertilizzanti e pesticidi. Senza contare la crescente pressione sulle risorse del suolo a causa dell’aumentata domanda di ingredienti per mangimi a base vegetale.
Per rispondere al crescente fabbisogno alimentare, la produzione di pesce d’allevamento è aumentata al punto da far ipotizzare che entro quest’anno supererà la produzione di pesce da cattura, rimasta costante. Nello Spazio economico europeo il rapporto è di uno a tre a favore del pescato e in questo contesto l’11,4% del pesce (soprattutto trote, spigole e orate) e dei crostacei è prodotto in impianto ubicati in Italia. Numeri sono ancora contenuti, ma destinati a crescere, e con essi l’uso di farmaci veterinari. Infatti le malattie dovute a parassiti e agenti patogeni causano ingenti perdite economiche all’industria dell’acquacoltura.
Centri di ricerca come la National Oceanic and Atmospheric Administration stanno sviluppando tecnologie per combattere le malattie dei pesci. Il controllo delle malattie è frutto anche di una migliore gestione degli impianti, di allevamento selettivo, acquacoltura in ricircolo e sostanze chimiche utilizzate per prevenire e trattare i patogeni.
Adottare misure a tutela dell’ambiente e della salute umana
Il Gruppo di lavoro per la valutazione del rischio ambientale ha giustamente posto all’attenzione dell’Unione Europea la necessità di adottare adeguate misure di tutela dell’ambiente e della salute umana rispetto ai rischi legati all’uso dei farmaci in acquacoltura.
La rivista Environmental Sciences Europe ha pubblicato uno studio degli esperti dell’Ema (European Medicines Agency), Environmental risk assessment of veterinary medicinal products intended for use in aquaculture in Europe: the need for developing a harmonised approach. Del gruppo di lavoro fa parte – unica rappresentante italiana – Sara Villa, ricercatrice nel Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università Milano – Bicocca.
Dallo studio emerge che una quantità pari fino a tre quarti della dose di farmaco utilizzata in acquacoltura può finire nell’ambiente rappresentando una minaccia per la flora e la fauna selvatiche che si trovano nelle vicinanze degli impianti. Difficile stabilire quali possano essere gli effetti, perché i medicinali specifici approvati dall’Ema sono pochi e si sopperisce spesso con farmaci veterinari approvati per le specie terrestri di cui, però, non sono stati valutati il protocollo terapeutico iniziale, il tempo di attesa e l’impatto ambientale in caso di impiego per i pesci. Inoltre, la fauna selvatica non bersaglio, comprese le specie destinate al consumo umano come pesci e crostacei, può essere influenzata negativamente dall’immissione di effluenti dell’acquacoltura e di acque reflue contenenti residui farmaceutici e potrebbe sviluppare fenomeni di antibiotico resistenza. Altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo ai fanghi di scarto degli impianti di acquacoltura, per i quali è prevista la possibilità di impiego sui terreni agricoli.
I suggerimenti del Gruppo di lavoro
Secondo il gruppo di lavoro sarebbe opportuna l’armonizzazione della disciplina europea e di quelle degli Stati membri per la valutazione del rischio ambientale dei farmaci veterinari utilizzati in acquacoltura. Allo stesso tempo, gli esperti sollecitano una semplificazione delle procedure attraverso l’utilizzo di modelli matematici avanzati. Tutto questo dovrebbe facilitare anche il processo di approvazione finale di tali farmaci. Occorrono, inoltre, misure di mitigazione del rischio che tengano in considerazione sia la tipologia dell’impianto che la sua collocazione. Infatti non è sufficiente distinguere tra quelli di acqua dolce e quelli collocati in ambiente marino, ma va considerato che la portata degli effetti sull’ecosistema circostante è determinata anche dalle condizioni ambientali specifiche come la temperatura e la salinità dell’acqua. Infine, c’è bisogno di un’adeguata formazione degli operatori degli impianti per contenere il rischio di un utilizzo inappropriato dei medicinali: a differenza di quanto avviene in caso di non corretto uso dei prodotti fitosanitari in agricoltura, il mancato rispetto delle prescrizioni di impiego attualmente non è sanzionato.
«Gli effetti dell’utilizzo dei farmaci in acquacoltura sull’ambiente rappresentano un serio problema. C’è bisogno di una maggiore presa di coscienza su questo aspetto, così com’è avvenuto nel recente passato per l’utilizzo di pesticidi in agricoltura. Il nostro gruppo è stato chiamato a fornire delle indicazioni operative, su richiesta dell’Unione Europea all’Ema. L’esame dell’attuale scenario e del quadro normativo di riferimento ci ha consentito di dare delle indicazioni affinché nelle linee guida future sia presa in considerazione l’applicazione di misure di mitigazione del rischio per la riduzione dell’esposizione ambientale dei farmaci veterinari a livello di singola azienda di acquacoltura», ha sottolineato Sara Villa.