di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – “Green Deal per l’Italia” è la maratona web organizzata dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e trasmessa in diretta streaming su RaiPlay in cui rappresentanti delle istituzioni, imprenditori, artisti, intellettuali si sono confrontati per mettere a fuoco le politiche indifferibili che l’Italia è chiamata a realizzare in tempi brevissimi.
Molti pensano che la crisi attuale sia così grave che dovremmo accantonare le questioni ambientali: rinviare sarebbe invece un errore irreparabile, il momento di ricostruire le nostre società secondo modelli sostenibili è adesso. Il Green Deal non è una materia da ambientalisti, è un cambio di paradigma, una scommessa sulla competitività. La sopravvivenza del Pianeta dipenderà dalle scelte che facciamo adesso. La prima transizione energetica la dobbiamo fare noi con le nostre azioni quotidiane, anche in campo agroalimentare.
Venti anni fa il padre di Maria Luisa Terrenzio, il visionario fondatore di Prima Bio era considerato un pazzo. Tutto il ciclo produttivo, dal seme al prodotto finito, avviene nell’azienda agricola. In Prima Bio è stata fatta la prima passata di pomodoro caporalato free: sono stati assunti e messi in regola 40 braccianti, offrendo loro un lavoro dignitoso ed etico che mette la persona al centro. Se deve esserci l’impegno dell’impresa agricola, anche il consumatore deve fare la sua parte. Anzi, deve fare un atto politico davanti allo scaffale, ovvero scegliere non solo in base al prezzo. Anche la grande distribuzione deve offrire una scelta di etichette di qualità: le etichette parlano, pagare un prezzo equo significa finanziare il prodotto sostenibile di aziende virtuose. Se pago un prodotto meno del dovuto, vuol dire che nel mondo qualcuno soffre per la mancata tutela dei diritti sociali e ambientali o di sicurezza alimentare.
Secondo Alessandro Monteleone, responsabile del progetto Rete Rurale Nazionale, Crea, l’Europa ha imboccato la strada giusta con la strategia Farm to Fork (F2F), un passo avanti nell’attuazione del Green Deal: nella transizione verso sistemi più sostenibili è chiamata all’azione l’intera filiera alimentare. Il settore agroalimentare ha forti ripercussioni ambientali: entro il 2030 le diverse filiere dovranno ridurre drasticamente l’uso di pesticidi e fertilizzanti in agricoltura nonché dimezzare l’utilizzo di antibiotici negli allevamenti intensivi. Questa transizione ha bisogno di investimenti in innovazione tecnologica e ricerca. Bisogna superare l’idea che la sostenibilità sia un vincolo, è un’opportunità per le imprese: l’obiettivo è produrre di più con meno costi ed emissioni. La politica agricola deve dare certificazione, tracciabilità, etichettatura, promozione, pianificazione strategica territoriale e alimentare per garantire percorsi a filiera corta e comunicarne l’importanza ai cittadini.
«Nel periodo del lockdown fare la spesa è stato complicato, la catena di approvvigionamento poteva essere interrotta, mettendo a rischio l’accesso al cibo», ha detto Stefano Masini, responsabile Area Ambiente e Territorio di Coldiretti. L’agricoltura deve essere più vicina ai territori, che vuol dire accorciare le filiere in senso geografico riducendo l’impronta ecologica grazie al trasporto breve; ma l’idea di accorciare la filiera risponde anche a ragioni economiche, gli agricoltori potrebbero guadagnare di più (il 30% si perde in trasporto e catena di distribuzione). Incrementando modelli di biodiversità, il produttore si distingue, utilizza tecniche meno intensive, ricuce la fiducia con il consumatore. Dal produttore al consumatore: mangiare diventa un atto che avvicina campagna e città. Nel concetto di origine del prodotto è la narrazione della qualità: fondamentale il ruolo della comunicazione per trasmettere innovazione e conoscenza. Conoscendo le caratteristiche dei prodotti e la loro contestualizzazione ambientale, il consumatore riflette sul cibo, sulla coltivazione di un prodotto, magari si appassiona al saper fare coltivando gli orti urbani. Piccole cose, che avvicinano le persone alla cultura della campagna.
Dal chilometro zero al chilometro vero
La Coop ha i temi etici nel DNA, ha spiegato l’amministratore delegato Maura Latini. È una Grande Distribuzione diversa, perché costituita da cooperative di consumatori. La GDO, tuttavia, ha un ruolo importante nel valorizzare la diversità e contribuire al cambiamento: in questo senso Coop sostiene i prodotti a chilometro zero per accorciare la filiera. Tuttavia, l’Italia è un paese trasformatore di eccellenza, ha bisogno di materie prime ed è autosufficiente solo in parte: per questo Coop preferisce parlare di chilometro vero, responsabilizzando i consumatori. Con i grandi volumi della GDO, Coop si impegna a mettere in atto cambiamenti con sostenibili. «Lavoriamo con le filiere dagli anni Ottanta» racconta Latini. Un sistema nato per incoraggiare la riduzione di pesticidi e anabolizzanti che poi si è stabilizzato. «Significa collaborare con chi produce e alleva, con chi ha competenze per operare un cambiamento».
La sostenibilità è un tema sul quale Barilla si impegna da anni, spiega Emilio Ferrari, direttore Acquisti Grano Duro; il rispetto dell’ambiente è un processo che dura nel tempo, vantaggioso dal punto di vista economico e della qualità. “Grano tenero”, la carta del Mulino sottoscritta da Barilla insieme al WWF, è un disciplinare di agricoltura sostenibile che favorisce la naturale fertilità del suolo riducendo l’uso di prodotti chimici. In collaborazione con Horta, spin-off dell’Università Cattolica di Piacenza, ha stilato un decalogo per la coltivazione sostenibile del grano duro. Il “Manifesto del grano duro” prevede contratti remunerativi per agricoltori, salvaguardia della biodiversità, risparmio idrico, sostegno alle comunità locali, agricoltura di precisione per efficientare le coltivazioni nel rispetto dell’ambiente, controllo della filiera.
Barilla, inoltre, ha messo a disposizione dei suoi agricoltori “Granoduro.net”, un software innovativo che analizza i parametri oggettivi per ottimizzare le tecniche di coltivazione con una ricaduta positiva in termine di costi, rese e qualità del prodotto. Questo ha permesso una riduzione di emissioni di CO2 in tre anni. La scelta di coltivare grani diversi in base alle caratteristiche climatiche e al tipo di terreno mira a incrementare la produzione a basso impatto ambientale per arrivare a produrre pasta con solo grano duro italiano.
È stata appena pubblicata la sesta edizione del Rapporto sulla Bioeconomia in Europa curata da Stefania Trenti e Laura Campanini per Intesa San Paolo con Assobiotec. La definizione di bioeconomia è molto ampia e deve coinvolgere tutti i protagonisti della filiera, dall’agricoltura alla trasformazione. Oggi la bioeconomia italiana è ricca di imprese ad alto tasso di innovazione (anche nel caso di imprese medio-piccole) attente alla sostenibilità: basti dire che ha un giro di 345 mld di euro e oltre 2 mln di occupati, e a livello europeo si colloca al terzo posto. La filiera alimentare è il pilastro della bioeconomia in tutti paesi analizzati nella ricerca, e l’Europa è leader nelle catene globali del valore del settore dell’agroalimentare. L’Italia è top per biodiversità, prodotti tipici di alta qualità e per l’attenzione al biologico. Il Rapporto ha analizzato i bilanci di circa 9.300 imprese che puntano al biologico: questa scelta ha un impatto molto positivo sia sul fatturato che sulla redditività. La sostenibilità, quindi, non è un costo, è un’opportunità di doppia crescita del fatturato.
L’ultimo ospite della maratona “Green Deal per l’Italia” è stato lo chef stellato Niko Romito: per lui il lusso è lavorare in Abruzzo, la sua terra, di cui valorizza i prodotti locali. Convinto che il lavoro di ricerca possa veicolare conoscenze, dieci anni fa Romito ha creato Accademia, un centro di formazione per giovani cuochi a cui vuole trasmettere valori sani per il futuro «perché economia e sistema ambientale ritrovino valore passando attraverso il cibo. Condivido i miei principi come chef italiano che plasma materie prime italiane di qualità trasformate dalla passione, dalla comunità, dalle persone. Come imprenditore sono legato all’Abruzzo: anche se cucino nel mondo diversificando i miei format, resto fedele a un approccio italiano». Dobbiamo riscrivere la formazione della cucina italiana con un linguaggio diverso: salute, industria e agricoltura devono dialogare nel rispetto dell’ecosistema.