L’agroalimentare italiano, con il biologico in crescita, conferma il suo valore a livello europeo e mondiale. Il Green Deal è una preziosa opportunità da cogliere e la strategia Farm to Fork può accelerare il passaggio a un sistema alimentare sano e sostenibile, consapevoli che senza qualità non c’è sostenibilità
di Isabella Ceccarini
(Rinnovabili.it) – La tavola rotonda “Le opportunità del Green Deal per il sistema agroalimentare italiano – Un nuovo equilibrio tra competitività delle imprese, benessere sociale e tutela della natura” svoltasi all’interno degli Stati Generali della Green Economy su “Il Green Deal al centro del Piano di rilancio per l’Italia – Una nuova fase per la green economy” promossi dal Consiglio Nazionale della Green Economy ha confermato le potenzialità di sviluppo dell’agrifood italiano. Il comparto ha aumentato il suo peso economico passando dal 3,9% del valore aggiunto nel 2018 al 4,1% nel 2019, e l’industria alimentare ha registrato una performance positiva. Nel panorama europeo, il valore aggiunto dell’agricoltura italiana è al primo posto, pari al 16,8% di quello comunitario totale.
Il biologico si conferma in forte crescita non solo per incremento annuo, ma anche nel lungo periodo: dal 2010 si è registrata una crescita del 78,9%. Questo incremento si traduce in crescita di occupazione, di vendite (anche e-commerce) e di export. Altro punto di forza dell’agroalimentare italiano sono i prodotti DOP, IGT e STG: un primato mondiale di 824 prodotti (300 alimentari e 524 vinicoli) che corrisponde al 26,8% del totale mondiale. La pandemia ha però arrestato la crescita: l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) stima che la riduzione della spesa alimentare nel 2020 determinerà una perdita di circa 24 miliardi di euro e una contrazione dell’export.
La strategia Farm to Fork, presentata a maggio 2020 dalla Commissione Europea, è un piano decennale finalizzato ad accelerare il passaggio a un sistema alimentare sano e sostenibile. Gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 sono molto ambiziosi, ma altrettanto indifferibili: ridurre del 50% l’uso dei pesticidi e del 20% dei fertilizzanti, ridurre del 50% gli antimicrobici per gli animali da allevamento e per l’acquacoltura, ridurre le emissioni di gas serra del settore agricolo e zootecnico, aumentare l’agricoltura biologica fino al 25% della SAU (superficie agricola utilizzata).
Il Consiglio Nazionale della Green Economy propone in più di incentivare le produzioni basate sull’agroecologia, premiare chi svolge attività a basso impatto e migliora le prestazioni ambientali, dare incentivi fiscali all’economia circolare, a chi riduce gli imballaggi e usa materiali ecologici, ridurre lo spreco alimentare che pesa sull’ambiente, sostenere specifici contratti di filiera per la green economy, prevedere incentivi per le imprese (commercio e horeca) che usano prodotti stagionali e locali, incentivare l’attivazione di filiere corte di prossimità, destinare ai Comuni risorse per le strategie del ciclo alimentare urbano (food policy).
L’eurodeputato Paolo De Castro (Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, Parlamento Europeo) ha sottolineato il voto positivo alle misure ecologiche, anche se gli obiettivi indicati da Ursula von der Leyen devono ancora tradursi in proposte legislative. Si cerca di spingere per una PAC più ambientalista, ma bisogna trovare un equilibrio tra le dimensioni economica, ambientale e sociale; gli stessi agricoltori devono essere accompagnati nel cambiamento affinché togliere la chimica non si traduca per i consumatori nell’importazione di prodotti non controllati ma più economici.
La transizione sia non solo europea, ma mondiale
L’asticella della neutralità climatica è stata alzata al 60% al 2030: giustissimo, sottolinea Francesco Ciancaleoni, Area ambiente e territorio di Coldiretti, «ma non abbiamo ancora attuato gli obiettivi del 2018 (-33%)». L’agroforestale è molto vulnerabile agli effetti della crisi climatica: la PAC dovrebbe considerare anche l’impatto del clima, ma gli stanziamenti sono insufficienti per arrivare a una legge climatica europea. Senza una analisi di impatto socio-economico è a rischio la tenuta del settore, «oltre ai vincoli servono sostegni senza i quali si compromette il concetto di giusta transizione».
Anche Flavio Coturni, responsabile dell’unità Agricultural Policy Analysis and Perspectives della Commissione Europea, conferma la tendenza economica positiva dell’agroalimentare italiano, ma non basta. C’è una sfida commerciale per mantenere la competitività e le quote di mercato, e per migliorare le performance ambientali e climatiche sia dentro che fuori dall’Europa. Farm to Fork definisce gli obiettivi, ma bisogna fare un salto in avanti coinvolgendo i paesi non UE: la transizione sia non solo europea, ma mondiale. Vanno stabilite delle “alleanze verdi” per sistemi che assumano obblighi in materia ambientale, economica e sociale.
«Il mercato cambia e le politiche devono adattarsi, l’esperienza del Covid-19 porterà a rivedere le scelte per il futuro» sostiene Filippo Gallinella, presidente della XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati. La strategia Farm to Fork dimostra che il consumatore ha deciso di indirizzare la politica verso un nuovo modello, che però talvolta si scontra con la realtà: ad esempio, chi sta in città dice in tutta convinzione basta agli antibiotici, ma l’allevatore non sempre può farlo oppure si elogia lo smart working, ma ci sono ancora zone dove Internet non arriva e di fatto lo rendono impossibile.
Qualità e sostenibilità, due facce della stessa medaglia
David Brussa, Total Quality Director and sustainability di Illy caffè, parla di un’azienda che ha più di 90 anni, da sempre impegnata per la sostenibilità. Una stakeholder company che emette i consumatori all’apice della piramide. «Non abbiamo una produzione di seconda scelta, l’impegno per qualità è totale: abbiamo un unico blend, uguale in tutto il mondo. Andiamo direttamente dai produttori a cercare il prodotto migliore. Per noi il caffè di qualità deve essere sostenibile, deve creare valore per i produttori perché qualità e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia». Illy chiede ai produttori più qualità, ma premia chi ce l’ha ed è sostenibile: il programma Virtus Agriculture seleziona le tecniche più sostenibili. Insieme alle Università di Udine e di Trieste Illy tiene un master per trasferire know how a tutti i livelli che viene valutato da un ente terzo. Ora l’obiettivo dell’azienda – che ha quattro punti fermi: qualità, sostenibilità, certificazione, neutralità – è raggiungere la neutralità climatica al 2030.
«La sostenibilità è una componente essenziale della qualità, è scontato dirlo» sostiene Ugo Peruch, direttore Servizio Agricolo di Mutti, azienda che ben 120 anni. Cosa cambia con Farm to Fork per le imprese come Mutti? C’è più attenzione ai temi ambientali, ma dovrebbe essere nella logica del mondo produttivo agricolo, visto che nei terreni vivono e lavorano le persone. Mutti ha allineato da sempre la filiera produttiva su obiettivi di qualità: i fornitori sanno che Mutti è molto esigente nell’approvare i prodotti, ma sanno anche che la qualità viene premiata. «C’è un patto con i consumatori, e vogliamo essere sempre all’altezza. Mutti non è solo pomodoro: è packaging riciclabile, prezzo coerente al posizionamento del prodotto, politica ambientale certificata (facciamo produzione integrata da 20 anni). Abbiamo scelto i fornitori e loro noi perché hanno creduto nel nostro progetto, siamo convinti che un buon player aiuti il mercato a migliorare». L’azienda è attenta al risparmio idrico nelle colture, alla biodiversità, alla qualità dell’aria e dell’acqua. Centrato l’obiettivo della sostenibilità ambientale, ora Mutti cerca di perseguire quella economica e sociale.
«La scelta del biologico è impegnativa per l’allevatore che vuole tutelare l’ambiente e il benessere degli animali. Non ci può essere un allevamento biologico senza un legame funzionale con la terra» spiega Pietro Campus, presidente di ICEA Certifica (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale). Il benessere non è solo un’esigenza degli animali: un buon prodotto deriva da un animale sano e porta un ritorno economico all’allevatore, anche se chi ne fa una questione economica è ancora malvisto. Resta il fatto che scegliere il biologico comporta un aumento di costi, bisogna allevare determinate razze, l’alimentazione deve essere del territorio, servono aree di pascolo più estese e cure sanitarie. Cosa accade agli imprenditori zootecnici nella cornice del green deal? Manca ancora una legge quadro per il settore, a cui vanno riconosciuti i valori di qualità, equità, rispetto e cura: proprio quelli che cerca il consumatore.
Per Cristina Tinelli, responsabile ufficio di Bruxelles di Confagricoltura, «la sostenibilità c’è se gli agricoltori rimangono in campo. Farm to Fork non ci fa paura ma deve portarci nel futuro e avere come punti fermi le nuove tecnologie, le infrastrutture e la digitalizzazione». Farm to Fork è una road map, come si inserirà nelle politiche esistenti? Il mondo agricolo è visto come il mondo dei cattivi, invece gli agricoltori hanno fatto tanti passi avanti, hanno regole molto vincolanti dal punto di vista produttivo. Forse dovrebbero comunicare in modo più efficace quello che stanno facendo. Se da un lato gli agricoltori chiedono maggiore solidarietà, dall’altro devono essere coesi e dare informazioni chiare per contrastare le falsità che alimentano i pregiudizi: farsi guidare dall’emotività e dal sentito dire crea opinioni sbagliate, servono risposte fondate su dati scientifici. «Gli agricoltori sono i primi ad avere interesse a preservare le risorse naturali nel modo migliore, perché senza terreni e animali non si va da nessuna parte. Per questo sosteniamo la necessità di un dialogo pacato per arrivare a obiettivi comuni».
L’occasione per valorizzare l’agrifood
«Quando si parla di Green Deal bisogna avere uno sguardo d’insieme, non è solo Farm to Fork: nei prossimi anni ci saranno evoluzioni importanti che vogliamo vedere come opportunità per l’agricoltura» afferma Alessandra De Santis, responsabile affari europei CIA. Gli accordi PAC sono sicuramente migliorabili, ma sono una buona base di partenza. L’obiettivo è un’Europa più verde e digitale, in questo quadro «sia aiutato l’agroalimentare nella transizione verso la sostenibilità ambientale, economica e sociale, perché perdere l’agricoltura significa perdere la popolazione delle aree rurali, di cui si è scoperta l’importanza nella pandemia». La Commissione ha obiettivi strategici, la valutazione di impatto sul settore agricolo sarà prioritaria, non solo per i produttori ma anche per i consumatori che vogliono acquistare prodotti sostenibili. «Cogliamo la sfida del Green Deal per sostenere e far evolvere il sistema agricolo europeo e italiano, riconoscendo e valorizzando quello che gli agricoltori hanno fatto e continuano a fare».
«L’innovazione in agricoltura è importante per riconvertire il settore. Il Made in Italy che ci contraddistingue ed è copiato nel mondo deve essere un pilastro della ripartenza economica» afferma Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. Dobbiamo far ripartire l’economia con idee chiare, ma quali sono gli strumenti? Per garantire una vera transizione ecologica dell’economia italiana ed europea serve una strategia chiara per allocare le risorse in modo coerente (più di 1/3 delle risorse di Next Generation EU sono per la transizione ecologica). Quindi «si deve superare l’idea degli incentivi a pioggia che non garantiscono un’effettiva transizione: bisogna premiare i virtuosi e aiutare i non virtuosi a diventarlo, ma questo non è contemplato nella riforma della PAC. Parliamo con aziende agroalimentari innovative, lavoriamo con i big players e con i piccoli, ci siamo fatti portavoce di chi ha investito risorse per innovazioni in campo agroalimentare e zootecnico perché questa parte dell’economia italiana sia protagonista del cambiamento».