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Grano duro, le quotazioni basse compromettono la produzione

I conti non tornano: le quotazioni del grano duro scendono ma il prezzo della pasta sale. Una situazione che desta preoccupazione tra gli operatori del comparto, che stanno pensando di diminuire le semine. La tenuta del prezzo del grano duro pone infatti un serio problema di autoapprovvigionamento

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Image by Ylanite Koppens from Pixabay

Qualcosa non torna nei conti del grano duro. Le quotazioni scendono ma il prezzo della pasta sale.

Nell’ultimo anno il prezzo della pasta è aumentato del 18%, mentre il prezzo pagato agli agricoltori per la produzione di grano duro è sceso del 30%, come confermano i dati sull’inflazione nel mese di marzo 2023 diffusi dall’Istat.

I dati Istat evidenziano che se il rialzo dei prezzi ha complessivamente subito un rallentamento, quello dei beni alimentari rimane stabile a +12,9%.

La preoccupazione degli operatori per le quotazioni

La pasta si ottiene dalla lavorazione del grano con l’aggiunta di acqua: pertanto, come fa notare Coldiretti, «non si giustificano il alcun modo le divergenze registrate nelle quotazioni», con la forbice dei prezzi che si allarga a tutto discapito di agricoltori e consumatori.

Le quotazioni del mercato nazionale destano grande preoccupazione tra gli operatori del comparto: «nelle ultime settimane si sono registrate riduzioni anche del 10% su base settimanale», avverte Confagricoltura.

Secondo le previsioni del MASAF per quest’anno le superfici agricole coltivate a grano duro sono già in flessione. Analoghe difficoltà di mercato sembrano investire anche Polonia e Ungheria che, pur continuando a sostenere l’Ucraina, ne hanno bloccato le importazioni di grano (azione contestata dall’Unione Europea) perché metterebbero in ulteriore difficoltà gli agricoltori locali.

Prezzo del grano duro e autoapprovvigionamento

La tenuta del prezzo del grano duro non ha solo ricadute su produttori e consumatori, ma pone un serio problema di autoapprovvigionamento. Se i ricavi non coprono i costi sostenuti dalle imprese agricole si mettono a rischio le semine e quindi la sovranità alimentare del Paese, con un inevitabile maggiore ricorso alle importazioni, in controtendenza rispetto all’ultimo anno.

Nel 2022, infatti, le importazioni di grano duro dal Canada (primo Paese fornitore dell’Italia, dove tra l’altro il grano è coltivato con l’uso del glifosato nella fase di preraccolta, procedura non consentita nell’UE) erano scese di oltre il 40%.

Sarebbe sempre utile disporre dei dati del mercato aggiornati, ma Confagricoltura esprime la sua perplessità sulla situazione reale e «sull’obbligo di istituzione e tenuta del registro di carico e scarico di cereali e derivati, il cosiddetto “granaio d’Italia” che sinora non è di fatto partito se non in via sperimentale e che rischia di tradursi unicamente in un ulteriore aggravio burocratico per le imprese». Esattamente ciò di cui le imprese non hanno bisogno.

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La produzione italiana in cifre

Quali sono le cifre della produzione in Italia? 3,6 milioni di tonnellate di pasta (circa ¼ della produzione mondiale), 200mila aziende agricole, una filiera di 360 imprese e circa 7.500 addetti, valore complessivo circa 5 miliardi di euro.

La distorsione del mercato è abbastanza evidente. Secondo l’Osservatorio del Ministero delle Imprese e del Made in Italy i prezzi variano sensibilmente lungo la Penisola, ma le quotazioni del grano sono pressoché uniformi in tutta Italia. Per questo Coldiretti paventa la presenza di manovre speculative.

Soluzioni? Per Coldiretti bisogna «ridurre la dipendenza dall’estero e lavorare subito ad accordi di filiera tra imprese agricole e industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali».

Inoltre sollecita l’immediata riattivazione (è stata sospesa nell’ottobre del 2022) della Commissione Unica Nazionale per il grano duro perché «fornisce trasparenza al mercato e mette attorno a un tavolo tutti gli attori della filiera eliminando le distorsioni e i frazionamenti delle borse merci locali».

Più ricerca e innovazione

Le principali associazioni agricole italiane sostengono con convinzione un maggiore impulso alla ricerca, non solo per andare incontro alle nuove esigenze produttive ma anche per acquistare maggiore sostenibilità e resilienza agli effetti del cambiamento climatico.

Confagricoltura, in particolare, guarda con interesse al disegno di legge sulla sperimentazione in campo delle Tecniche di evoluzione assistita (Tea) e all’emendamento al decreto-legge PNRR per la valorizzazione delle pratiche di gestione agricole e forestali sostenibili.

Le Tea (che non hanno niente a che vedere con gli Ogm) permettono di ridurre l’uso di fitofarmaci e acqua e di garantire la produttività necessaria per rispondere alla crescente domanda di cibo e di prodotti di qualità.

Così l’Italia sarà «pronta quando verrà pubblicato il Regolamento che la Commissione Ue intende proporre per regolamentare le nuove tecniche genomiche».