(Rinnovabili.it) – La Giornata mondiale dei legumi è un riconoscimento al loro valore nutrizionale e al loro contributo alla sostenibilità dei sistemi agroalimentari. Il tema di quest’anno è Ama i legumi – Per un’alimentazione sana e un Pianeta sano. L’idea di celebrare questi alimenti è nata nel 2018 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha assegnato alla FAO il compito di gestire la ricorrenza.
Anche in Italia i legumi stanno conoscendo un interesse crescente; i più diffusi sono fagioli, ceci, lenticchie, piselli, cicerchie, fave, lupini e soia. Se la crescita complessiva dei consumi si attesta intorno al +15%, le preferenze vanno ai ceci (+12%) e soprattutto ai fagioli che con un +28% si confermano i più amati dagli italiani. La causa di tanta passione per i legumi va ricercata nella generale svolta green dei consumatori, ma anche nella lunga conservazione e nella convenienza che permette di contenere i costi della spesa pur offrendo un alimento di alto valore nutrizionale.
I legumi sono infatti fonte di proteine e di fibre, indicati per regolare le funzioni intestinali e per controllare i valori di glucosio e colesterolo nel sangue. Oltre a contenere sali minerali e vitamine del gruppo B, danno un buon apporto di vitamina C quando sono freschi. I legumi, inoltre, hanno quantità trascurabili di grassi e di sodio e non contengono glutine (infatti sono adatti per farine da cui fare prodotti trasformati come pane, cracker e biscotti). I pregi dei legumi non finiscono qui: anche l’ambiente li ringrazia perché fissano l’azoto al terreno, ovvero arricchiscono il suolo di materia organica di qualità (quindi si limita l’impiego di concimi e fertilizzanti chimici) e aumentano la capacità del terreno di trattenere acqua (perciò la coltivazione dei legumi richiede poca acqua).
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Cosa c’è dietro le importazioni
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i legumi consumati in Italia arrivano in gran parte dall’estero. Il 90% delle lenticchie, ad esempio sono americane e canadesi; i fagioli, ceci e piselli arrivano dall’Argentina e dal Nord America. Tra i Paesi da cui importiamo legumi ci sono anche Messico, Turchia e altri del Medio Oriente. Il problema più serio non riguarda i costi o l’ambiente (per via dei trasporti) ma la salute, perché si tratta di Paesi che hanno normative molto meno restrittive delle nostre (o non ne hanno affatto) per quanto riguarda l’uso di fertilizzanti e pesticidi. Se poi vogliamo avere anche un approccio etico all’agricoltura, troppo spesso le condizioni di lavoro degli agricoltori sono pessime e lo sfruttamento della manodopera minorile è una prassi.
Soluzioni? La grande maggioranza dei consumatori preferisce comprare italiano, sia per la qualità dei nostri prodotti che per sostenere l’occupazione: perché allora non indicare chiaramente in etichetta la provenienza che per i legumi secchi non è ancora obbligatoria? Perché i prodotti che arrivano dall’estero non sono tenuti a rispettare i criteri italiani ed europei in materia di ambiente, lavoro e salute? Sarebbe auspicabile effettuare controlli regolari sui prodotti in entrata, ma soprattutto rivedere il meccanismo degli scambi affinché si giochi una partita a pari condizioni.