di Isabella Ceccarini
Per la rivista britannica “Economist”, l’Italia è il Paese dell’anno. Nel 2021 l’export agroalimentare ha superato i 50 miliardi, un record storico. Il rafforzamento delle filiere può consolidare la competitività del sistema agroalimentare italiano sui mercati internazionali?
La risposta è ovviamente sì, sempre che ci sia la volontà politica di dare una dimensione e una prospettiva futura di rafforzamento al sistema agroalimentare del Paese.
Oggi il settore rappresenta il primo comparto dell’economia italiana con un contributo al prodotto interno lordo di quasi 550 miliardi, e una crescita importante dell’export: quest’anno abbiamo superato i 51 miliardi di fatturato.
La dimensione media aziendale è un grande limite, se guardiamo ai nostri principali competitor Francia, Spagna e Germania per quello che riguarda l’Europa, senza considerare altre Nazioni come Stati Uniti e Sudamerica che hanno economie di scala completamente diverse.
Il Made in Italy può essere rafforzato attraverso un progetto di strategia che favorisca la concentrazione delle produzioni e dell’offerta di mercato per accompagnare le nostre aziende sui mercati internazionali.
Cosa cambia per le imprese agricole con il Piano Transizione 4.0? Saranno davvero facilitate a intraprendere un rinnovamento strutturale?
Credo proprio di sì. Confagricoltura è stata l’associazione che ha voluto fortemente nel 2019 che i benefici previsti dal Piano Industria 4.0 fossero estesi ad Agricoltura 4.0.
L’agricoltura sempre di più dovrà procedere verso un modello di produzione e di processo produttivo sempre più informatizzato e digitalizzato, in grado di dare quelle garanzie che oggi i consumatori chiedono in termini di salubrità e di qualità dei prodotti in uno scenario sempre più competitivo.
Sarà fondamentale che le aziende agricole utilizzino questo strumento che incentiva gli investimenti. Dobbiamo continuare a spingere per aumentare la nostra produzione: oggi non siamo ancora autosufficienti dal punto di vista della sovranità alimentare, produciamo il 75% di quello che mangiamo. Però, nonostante questo, siamo anche forti esportatori.
Da un lato dovremo necessariamente produrre di più, quindi avremo bisogno di macchine innovative e di processi software che permettano agli imprenditori di monitorare i flussi di produzione; dall’altro siamo un po’ delusi perché il Governo ha diminuito gli stanziamenti, però confidiamo che possa ritornare sui suoi passi.
L’innovazione tecnologica è fondamentale ma è rallentata dal nodo strategico delle infrastrutture. Questo è un freno al ruolo che svolge l’agricoltura nel contrastare l’abbandono delle aree interne e nel favorire l’occupazione dei giovani, naturalmente propensi all’utilizzo delle nuove tecnologie.
Oggi buona parte del territorio italiano è in area grigia, quindi in area di fallimento di mercato.
Come Confagricoltura stiamo monitorando lo stato di avanzamento della mappatura della fibra in tutto il territorio: ricordo che i due terzi del territorio italiano sono territori agricoli, quindi in alcuni casi molto periferici rispetto alle città, però sono anche territori dove avviene attività di impresa agricola che molto spesso è anche l’unica.
Pensiamo ai borghi, alle aree interne dove l’attività prevalente è quella agricola, un’attività che sempre di più guarda anche alla valorizzazione dei territori.
Abbiamo una nuova caratterizzazione del lavoro in agricoltura sempre più orientato all’uso del digitale che riporta alla terra i giovani. Nei quadri dirigenziali i giovani accompagnano le imprese verso forme di promozione di reddito online che potranno generare un valore aggiunto che il mercato non riconosce.
Come Confagricoltura stiamo promuovendo il progetto di innovazione Hub Farm per trasferire a tutti gli imprenditori agricoli le migliori tecnologie e i servizi più evoluti, offrendo anche soluzioni in termini di connettività. Un progetto ambizioso, che vuol portare le imprese sul mercato dando ai consumatori tutte le informazioni necessarie per capire cosa c’è dietro un prodotto.
In un quadro globale che permane complesso a causa della pandemia, quali difficoltà deve affrontare l’agroalimentare?
In questo momento l’agroalimentare innanzi tutto soffre la mancanza di dialogo a livello globale in termini di accordi. La fine della stagione del multilateralismo verso le bilateralità ha fortemente indebolito la libera circolazione delle merci e soprattutto strumenti e modelli che potevano compensare le normali differenze nelle attività di produzione e di costi di produzione.
Nelle bilateralità chi ha forza impone le regole di mercato. Ce ne siamo accorti sia quando ci fu lo scontro durissimo tra l’Amministrazione americana e quella cinese sulla definizione dell’export della soia e del mais dagli Stati Uniti verso la Cina, che poi a cascata ha generato il caro materie prime a livello agricolo.
Oggi i mercati sono ai massimi, gli imprenditori agricoli sono in grandissima difficoltà. Purtroppo abbiamo venduto il grano quando ancora costava poco e, a livello di zootecnia come in tutti i processi produttivi di agricoltura energivora, stiamo assistendo a un caro produzione che non ha nessuna forma di protezione nel mercato perché non riusciamo a scaricare a valle l’aumento dei costi di produzione.
Abbiamo incrementi del costo energetico del 170%, un raddoppio del costo dei fertilizzanti, quasi il raddoppio del costo del gasolio. Stiamo sostanzialmente producendo in perdita e questo si unisce a una serie di fattori che non hanno trovato un’indicazione nell’ultima legge di bilancio: mi riferisco in particolar modo al tema della liquidità di impresa che era stata agevolata durante l’emergenza Covid e che non è stata prorogata.
A queste criticità si aggiunge il tema del costo del lavoro. L’Italia è storicamente un Paese importante per numero di lavoratori nel comparto agricolo, ma il costo del lavoro è molto più alto rispetto ai nostri principali competitor, quindi dovremmo lavorare sul tema del cuneo fiscale.
Cosa c’è sul tavolo di Confagricoltura in merito al PNRR, che impone la presentazione di programmi con effetti di lungo periodo?
Per noi le milestone sono fondamentalmente tre. Primo, la transizione energetica: Confagricoltura è l’associazione che ha voluto le energie rinnovabili in agricoltura, quindi proseguiamo questo percorso per far sì che aumentino sia l’energia elettrica prodotta da biogas o da parchi fotovoltaici, sia la produzione nuova e innovativa di biometano per la mobilità sostenibile.
L’altro caposaldo è tutto il processo di innovazione e digitalizzazione dell’agricoltura non solo con la sostituzione del parco macchine, ma in generale anche allargando il più possibile la rete della fibra e del digitale a tutto il territorio italiano.
Il terzo pilastro sono i processi di filiera che per noi diventano dirimenti per costruire dei modelli e dei campioni nazionali in grado di creare massa critica per affrontare i mercati internazionali globali e poter distribuire maggior valore aggiunto a tutti gli attori della filiera.
Investire nella digitalizzazione non riguarda solo le attrezzature, ma anche la formazione di imprenditori e lavoratori. Sono previsti degli incentivi per sostenere le piccole imprese agricole nella transizione verde? In Italia sono forse le più numerose, e sono quelle che incontrano maggiori difficoltà ad assecondare il cambiamento.
Certamente. La maggior parte delle imprese oggi sono sottodimensionate e in alcuni casi anche sottocapitalizzate, è evidente che queste imprese dovranno essere aggregate all’interno di progetti di filiera più ampi per dare loro la possibilità di partecipare alla transizione.
In alternativa ci sarà la definizione del nuovo Piano Strategico Nazionale con i fondi europei, quindi su base regionale partiranno i nuovi processi di programmazione economica.
Laddove non sarà possibile accompagnarli nel PNRR dovremo scrivere delle politiche regionali in grado di favorire gli investimenti anche nelle piccole imprese.
Come si sta muovendo l’Italia per tutelare l’agroalimentare nazionale? In Europa la dieta mediterranea è messa sotto attacco dal sistema di etichettatura Nutriscore, del quale i consumatori sanno ancora troppo poco.
Confagricoltura insieme al Governo italiano da subito si è battuta contro il Nutriscore. Non tanto perché fosse un sistema di etichettatura del cibo, ma per il fatto che Nutriscore è di proprietà di un soggetto privato che usa un algoritmo per definire ciò che è buono da ciò che è cattivo. Peccato che all’occorrenza, come nel caso della Spagna, quell’algoritmo sia stato modificato per permettere all’olio spagnolo di rientrare nelle caratteristiche previste dal colore verde.
Se si va a costruire un modello che va a etichettare il cibo con un metodo che è matematico ma non scientifico è evidente che ci troviamo di fronte alla sperequazione tra prodotti. Abbiamo sostenuto e appoggiato la proposta del Governo italiano sul progetto alternativo del Nutrinform Battery, che non tiene conto esclusivamente del contenuto di alcuni elementi di base all’interno di cento grammi di prodotto, ma dell’effettivo consumo di quel prodotto all’interno della dieta giornaliera.
Ad esempio, nessuno di noi beve 100 ml di olio in un giorno, ma ne farà un utilizzo molto più ridotto. Lo stesso discorso vale per tanti altri elementi. Il sistema a batteria è quindi un sistema da preferire.
Abbiamo svolto una serie di indagini e verifiche sia negli Stati Uniti che in Europa: i consumatori lo ritengono un modello di comprensione addirittura più facile di quello a semafori.
Mi auguro che a breve anche la Spagna si unisca a questa battaglia che rafforza l’identità della dieta mediterranea e dei prodotti dell’area del Mediterraneo per contrastare il Nutriscore e poi trovare a Bruxelles una soluzione che possa accontentare tutti.
L’agricoltura è sempre messa sotto accusa come inquinatrice. Lei ritiene che al contrario possa avere un ruolo nello sviluppo di un’economia verde e anche nella produzione di energia da risorse naturali?
Chi lo dice non conosce l’agricoltura, che è il caposaldo dell’economia circolare. Lo abbiamo sempre fatto e lo faremo ancora di più. Negli anni a venire conosceremo modelli di agricoltura super sostenibili che daranno una serie di risposte in termini di transizione ecologica ed energetica.
L’agricoltura sarà elemento centrale nello sviluppo di energie rinnovabili: già oggi abbiamo quasi 5 gigawatt di energia rinnovabile verde prodotta dagli agricoltori, che deve necessariamente aumentare.
L’agricoltura, inoltre, contribuisce ad abbattere in maniera significativa la CO2. Il commissario europeo all’Agricoltura Wojciechowsky ci ha segnalato che nel secondo semestre del 2022 verrà presentata la proposta sul carbon farming.
Finalmente gli agricoltori potranno dimostrare il loro contributo al miglioramento della qualità dell’aria attribuendo un valore all’attività che svolgono attraverso la fotosintesi clorofilliana, quindi sottrazione di anidride carbonica dall’atmosfera, rilascio di ossigeno e sequestro di carbonio dai terreni.
La transizione energetica sarà fondamentale, non possiamo assolutamente fermare né i parchi fotovoltaici né lo sviluppo del biogas e del biometano. Attendiamo con ansia che il Ministero della Transizione Ecologica produca la direttiva Red II (relativa alla promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili) che ormai è in forte ritardo e riteniamo che il recente decreto sul biometano sia un buon segnale anche se, dove possibile, saranno necessarie delle modifiche.
Oggi esistono tutti i presupposti per dire che nello sviluppo di un’economia circolare l’agricoltura sarà leader indiscussa tra tutte le attività economiche presenti sul territorio italiano.
Il 2022 è appena iniziato. Quali sono le previsioni?
Il 2022 purtroppo nasce sotto una non buona stella. Abbiamo la ripresa dei contagi legati alla variante Omicron del Covid, abbiamo chiuso il 2021 con la diffusione dell’influenza aviaria che ha fatto danni incalcolabili nella produzione avicola nazionale (in particolare nel Nord-Est), il nuovo anno è iniziato con la diffusione della peste suina africana nel Nord-Ovest.
È evidente che programmare il futuro dell’agricoltura di fronte a eventi di difficile o impossibile controllo, come nei casi appena menzionati, diventa un elemento che può generare un danno al sistema economico del Paese.
Le filiere zootecniche sono importanti, vanno rafforzate e tutelate. Per far questo ci aspettiamo che dopo il voto del Presidente della Repubblica possa essere varato da parte del ministro un tavolo per costruire il piano strategico del Paese anche alla luce della futura politica agricola comune che viene da Bruxelles.
Dal livello centrale alle periferie regionali, dobbiamo costruire tutti insieme un piano nazionale per definire lo sviluppo dell’agricoltura nei prossimi anni.