Rinnovabili

Feudi di San Gregorio, la storia racconta il futuro

Veduta della cantina Feudi di San Gregorio

di Isabella Ceccarini

Fondata nel 1986, Feudi di San Gregorio è uno dei primi 5 brand vinicoli italiani e il primo del Sud Italia. In cifre si traduce in 34 milioni di euro di fatturato, 90 milioni di capitale investito, 200 dipendenti, 400 ettari di proprietà, 4 cantine indipendenti.

Feudi di San Gregorio è una prima della classe in materia di sostenibilità: dal 2021 è società Benefit e certificata Equalitas, dal 2022 è l’unica azienda vitivinicola presente in CO2alizione ed è certificata B Corp con il massimo dei voti.

C’è da essere fieri di questo “medagliere”. In realtà, per il presidente Antonio Capaldo quello che conta non è la certificazione in sé ma l’appartenenza a un gruppo di aziende che a livello mondiale «si misura insieme e definisce in base alle best practice quali siano gli standard del futuro, in una visione estremamente dinamica della rigenerazione».

Il profitto può essere sostenibile?

Sostenibilità e profitto sono antitetici? No, spiega Capaldo, se si fanno scelte di lungo termine che avranno bisogno di maggiori investimenti iniziali, ma ripagheranno nel lungo periodo sia in termini di profitto che di benefici di immagine per la marca.

Il cammino dell’energia è iniziato dieci anni fa. Nel 2012 il fotovoltaico copriva il 10% dell’energia necessaria al fabbisogno aziendale; negli anni è aumentata la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili fino a diventare la fonte esclusiva di approvvigionamento nel 2021.

Nel 2022, con la realizzazione di altri due campi fotovoltaici, il 40% dell’energia è autoprodotta.

In Irpinia il clima è abbastanza umido e piove spesso, situazione ideale per ottimizzare il consumo di risorse idriche grazie alle vasche di recupero dell’acqua piovana da cui si ottiene tutta l’acqua necessaria senza bisogno di ricorrere a fonti esterne.

Il packaging è un altro obiettivo-chiave del programma di sostenibilità di Feudi di San Gregorio. Rispetto al 2021 è stato ridotto il peso del vetro del 75% della produzione; nel 2022 i vini sono stati confezionati in carta riciclabile con certificazione FSC, veicolando ai consumatori i contenuti del programma di sostenibilità.

Da dove è iniziato il cammino di Feudi di San Gregorio e quali obiettivi vuole raggiungere? Ne parliamo in questa conversazione con il presidente Antonio Capaldo.

Quando è iniziato il percorso di sostenibilità di Feudi di San Gregorio?

Non esiste una data precisa. Nel nostro settore anche quando si pianta una vite si pensa al periodo lungo, fa parte del DNA di chi fa questo mestiere.

Dal 2016-2017 abbiamo cominciato un percorso un po’ più strutturato misurando una serie di cose e valutando un complesso di interventi.

Questo significa non solo ottimizzare le tecniche di coltivazione per essere più sostenibili in un certo settore oppure adottare l’energia fotovoltaica.

Abbiamo cominciato a pensare a un programma strutturato su varie dimensioni, in particolare cinque: creare valore per l’Irpinia; costruire un’interdipendenza crescente con i fornitori; promuovere l’arte e la cultura come fonte di ispirazione; valorizzare le persone che lavorano in azienda; comunicare valori positivi ai clienti.

Abbiamo capito che quando rendiconti il tuo lavoro ogni anno poi non puoi tornare indietro, quindi devi sempre fare qualcosa in più o rimanere come stai. Ma se rimani come stai vai un po’ indietro rispetto al mondo.

Perciò non puoi sicuramente andare indietro, cioè le iniziative non possono essere una sorta di fulmini a ciel sereno con iniziative effimere o un po’ fuori dal contesto. Questo è stato il nostro percorso da cinque anni a questa parte.

Tra gli obiettivi di sostenibilità per il 2023 c’è il raggiungimento della totale carbon neutrality entro il 2030 e la creazione di un vero e proprio “distretto Feudi” dove la creazione di un paradigma rigenerativo di sviluppo diventi un modello di business sostenibile ma anche un’ispirazione per le future generazioni.

Parliamo di sostenibilità a 360°, quindi ambientale, economica e sociale.

Una sostenibilità olistica. L’elemento economico a volte viene trascurato, ma se non ci sono mezzi per investire e perpetuare l’attività aziendale non ci può essere sostenibilità.

Quella ambientale è la più conosciuta, forse la più ovvia, che oggi è considerata una precondizione.

Quella sociale è a due livelli: quella aziendale, ovvero avere attenzione all’elemento della comunità interna e poi, come cerchi concentrici, la comunità si allarga agli stakeholder.

L’elemento sociale riguarda la comunità dei collaboratori, dei conferenti d’uva e dei fornitori. I conferenti d’uva sono i più vicini, sono relazioni di lungo termine, a volte sono parenti dei nostri dipendenti: è una comunità allargata, concetto sul quale adesso stiamo lavorando tanto.

Dal punto di vista della sostenibilità sociale mi ha colpito il fatto che stabilizzate i vostri lavoratori, che in campagna sono spesso degli stagionali.

Nella lavorazione della vite ci sono sicuramente meno stagionali, perché ci si lavora per dieci mesi, e in un’azienda ci sono anche altri bisogni.

È stata un’evoluzione naturale che ha portato a un potenziale aggravio di costo, ma sicuramente a un miglioramento nella qualità delle persone – che si fidelizzano e sai di poter contare su di loro nel tempo – e alla possibilità di sviluppare altre cose.

Con questi ragazzi, che sono con noi dodici mesi e sono in gamba, il lavoro si inventa. Ad esempio, abbiamo cominciato a sviluppare un sistema di logistica aziendale nelle zone vicine alla cantina con i nostri dipendenti.

La stabilizzazione ci ha permesso di essere più produttivi, più qualitativi oltre a dare ai ragazzi una tranquillità diversa.

Antonio Capaldo, presidente di Feudi di San Gregorio

In cosa consiste il Protocollo per la Biodiversità?

Sono dei principi che riguardano il lavoro in vigna e in cantina e prevedono una serie di regole che quasi diamo per scontate (ad esempio niente diserbanti).

Ma il Protocollo per la Biodiversità, anche per i nostri agricoltori, punta a due grandi cose: la prima è preservare la vita della pianta. Quindi quando si deve scegliere tra uno specifico raccolto e la durata della vita della pianta si deve privilegiare la seconda.

Se un anno certi trattamenti ridurranno la resa ma daranno modo alla pianta di non andare in stress, di non essere sfruttata e quindi mantenere una vita più lunga, noi scegliamo la seconda strada.

Conservare le piante antiche non è solo un fatto economico (sennò le devi ripiantare) ma anche di sostenibilità. Le piante più antiche hanno una “esperienza”, hanno dimostrato di avere maggiore resistenza agli shock termici, alla mancanza di acqua.

Il secondo aspetto è che ci piace mantenere la caratteristica dell’Irpinia fatta di vigneti piccoli, un po’ frammentati e alternati ad altre coltivazioni. Questa varietà all’interno o nelle immediate vicinanze del vigneto consente una diversificazione dell’impatto sui suoli.

Noi chiediamo a tutti di mantenerla, ovvero non aumentare la superficie viticola rispetto a quella attuale. Poi c’è tutta una serie di dettagli relativi alle lavorazioni per essere più rispettosi possibile dell’ambiente che vale per i nostri ragazzi e per i nostri oltre 200 conferenti di uva.

Negli ultimi anni li abbiamo fidelizzati in maniera forte, però chiediamo loro di seguire queste indicazioni, a fronte di un impegno dell’azienda nei loro confronti (ad esempio la garanzia di acquisto delle uve o altri tipi di supporto).

All’interno dell’azienda avete applicato una serie di pratiche rigenerative.

Sulla vite le abbiamo applicate tante volte, l’orto aziendale invece è arrivato a fine 2019, quando abbiamo riaperto il ristorante dopo aver fatto dei lavori. È interessante perché è una parte di ricerca sugli antichi biotipi vegetali, di cui l’Italia era ricca e poi sono scomparsi.

Questo elemento della diversità che abbiamo anche nelle viti – ne abbiamo tante centenarie, di cui analizziamo geneticamente i biotipi – lo abbiamo portato anche sulle verdure, di cui abbiamo tanti biotipi.

Abbiamo fatto anche un test di studio e consumo dei suoli in base alla rotazione delle coltivazioni, che stiamo portando avanti con metodi tecnologicamente avanzati.

È molto interessante la vostra contaminazione tra arte e vino.

Dietro al vino c’è un grosso lavoro. Chi fa il vino in azienda, cioè chi lavora con le proprie mani è un po’ un artista. Realizza oggi qualcosa su piante che a volte hanno un secolo di storia, quindi con una tradizione, per il consumatore da qui ai prossimi anni e perciò per il futuro.

Se ci pensiamo l’artista fa la stessa cosa, viaggia nel tempo, ha una tradizione dentro di sé: i luoghi dove ha vissuto, quelli che ha visitato, le persone che ha conosciuto… Oggi fa un’opera che pensa debba vivere nel tempo.

Nel vino facciamo lo stesso. L’idea del vino come opera d’arte aiuta a valorizzare il lavoro delle persone in azienda. Arte e vino sono accomunati dalla bellezza e dalla bontà dell’esperienza. Molte aziende vinicole hanno all’interno della cantina delle opere d’arte. Lo facciamo anche noi, ma inserendolo in un discorso più ampio, e le opere d’arte nella nostra sono state fatte apposta; nascono dall’idea di far capire all’artista il DNA di Feudi di San Gregorio che poi realizza nella sua opera.

Il binomio di arte e vino per me è a vari livelli: lavoro quotidiano, comunicazione, esperienza di chi ci viene a visitare e trova opere d’arte all’interno dell’azienda.

Come scegliete i fornitori?

Abbiamo due impegni formalizzati nella nostra carta. Il primo è privilegiare il fornitore locale, a parità di qualità; il secondo è l’esigenza di lavorare con fornitori che abbiano un elevato standard di sostenibilità.

Ogni sei mesi ricevono il nostro questionario di sostenibilità e a seconda del tipo fornitori ci sono aspetti dirimenti: ad esempio, se sei una vetreria e non un programma di riciclo del vetro non lavori con noi.

Feudi di San Gregorio stila contratti pluriennali con i propri conferenti d’uva impegnandosi ad acquisire la totalità della loro produzione a un prezzo predeterminato. Inoltre, dopo la crisi causata dalla pandemia, l’azienda ha offerto un nuovo contratto quinquennale ai suoi conferenti a partire dalla vendemmia 2021.

Per rafforzare il programma di filiera per i conferenti d’uva, l’accordo con Feudi di San Gregorio prevede nuove soluzioni assicurative e finanziarie e l’allungamento progressivo della durata dei contratti fino a 10 anni.

L’impegno dell’azienda con la Fondazione San Gennaro mi sembra bellissimo.

È bello quello che fanno loro. Noi li sosteniamo come soci fondatori. La Fondazione San Gennaro è un’esperienza di rigenerazione sociale attraverso la cultura iniziato da padre Antonio Loffredo all’interno del Rione Sanità.

Prima si è mosso a livello personale coinvolgendo grandi artisti a lavorare nel Rione Sanità rigenerando le catacombe di San Gennaro che sono diventate un’attrazione visitatissima a Napoli. Poi ha dato ai ragazzi la possibilità di studiare e diventare a livello europeo dei riferimenti a livello del recupero dei beni culturali.

Una decina di anni fa padre Loffredo ha deciso di creare una fondazione affinché la sua opera potesse continuare anche con un patrimonio dedicato che potesse portare avanti tutte le iniziative che aveva lanciato.

Come soci fondatori non solo diamo un contributo, ma ogni due anni facciamo venire un artista da noi e facciamo una bottiglia il cui ricavato va interamente a sostenere la Fondazione. Oltre ai soldi c’è l’elemento di comunicazione, ovvero usiamo tutto gli strumenti che abbiamo per raccontare questa esperienza.

Grazie all’opera del 2022, Il canto della Terra dell’artista romano Pietro Ruffo (un’anfora decorata che racconta la vita del vino) e alla vendita di tutti gli esemplari delle bottiglie, Feudi di San Gregorio ha devoluto 50mila euro alla fondazione San Gennaro.

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