(Rinnovabili.it) – Non finisce l’allarme per le etichette. Cosa succederebbe se sulle bottiglie di vino fossero apposte etichette con scritte allarmistiche come quelle che si leggono sui pacchetti di sigarette? Il 23% degli interpellati ha dichiarato che smetterebbe di bere vino, come risulta da un sondaggio online effettuato da Coldiretti in coincidenza con l’incontro sul nuovo Piano UE per la salute. Le nuove politiche europee andrebbero a colpire un importante tassello dell’agroalimentare italiano che, nonostante la pandemia è cresciuto grazie all’export.
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Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini ritiene «improprio assimilare l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità e a più bassa gradazione come la birra e il vino che in Italia è diventato l’emblema di uno stile di vita “lento” da contrapporre all’assunzione sregolata di alcool».
Bisogna informare correttamente il consumatore
Se il “Piano d’azione per migliorare la salute dei cittadini europei” voluto dalla Commissione Europea a scopo di prevenzione equiparasse nelle etichette le bevande alcoliche alle sigarette, vino e birra sarebbero eliminate dai programmi di promozione dei prodotti agroalimentari e il medesimo segnale di pericolo contrassegnerebbe anche le carni rosse e quelle trasformate, associandole a rischi di tumore, ipertensione, obesità. L’obiettivo comunitario è promuovere una dieta più ricca di prodotti vegetali.
L’equilibrio come sempre sta nel mezzo: sono gli eccessi a essere dannosi per la salute, non il prodotto in sé consumato saltuariamente. Quindi l’impegno europeo a tutela della salute dei cittadini è giusto e doveroso, ma anziché criminalizzare alcuni prodotti si dovrebbe informare il consumatore con maggiore chiarezza sui danni di una dieta sbilanciata: l’equilibrio nutrizionale si ottiene dalla giusta combinazione dei cibi assunti nell’arco della giornata.
Proprio su questo concetto insiste il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti: «Dare pagelle ai cibi, senza fornire le necessarie informazioni sulle quantità consigliate in una dieta equilibrata, finirà necessariamente per avvantaggiare i grandi gruppi industriali, e anche i cibi sintetici, a scapito delle produzioni naturali, tipiche del nostro Paese, come olio, formaggi, salumi, miele». Giansanti, inoltre, non nasconde la sua preoccupazione per le etichette: «Quella contro il Nutriscore non è solo una battaglia su sistemi di etichettatura e modelli di certificazione degli alimenti, ma una battaglia per il futuro dell’agricoltura».
L’Italia ha proposto il sistema Nutrinform Battery sviluppato da CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) e ISS (Istituto Superiore di Sanità): l’etichetta si basa sulla quantità di ogni singolo nutriente rispetto al fabbisogno giornaliero, una sorta di educazione alimentare per il consumatore, che viene messo in condizione di fare scelte consapevoli.
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La Commissione Europea vuole arrivare a un sistema unico entro la fine del 2022: Nutrinform Battery ha il sostegno di sette Paesi UE, mentre Nutriscore è preferito da Francia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo. Quello che è auspicabile è l’approvazione di un sistema trasparente e corretto che tuteli in primis la salute dei consumatori. Etichette allarmistiche, ma soprattutto improprie, non colpiscono solo l’intera filiera produttiva, ma il territorio nel suo insieme dal momento che togliere mercato ai piccoli produttori comporta spopolamento e degrado delle aree rurali con ripercussioni sul sistema ambientale.