Il Centro Internazionale Crocevia mette sotto la lente i brevetti già depositati sulle varietà vegetali modificate con le nuove tecniche di editing genetico (TEA). Le grandi multinazionali sono in pole position. E i tratti che aiutano a contrastare la crisi climatica interessano poco. Intanto, il modello dei brevetti industriali e le regole deboli fissate dall’UE mettono a rischio la biodiversità e i diritti dei contadini
Il 5 luglio la Commissione UE ha presentato la proposta che sdogana i nuovi OGM
(Rinnovabili.it) – Un affare lucroso per pochi soggetti. Che porterà solo danni per la biodiversità agricola e i diritti di chi lavora la terra. Sfilata la maschera della misura per ottenere “semi più resilienti” e adattati al climate change, è così che appare il vero volto della deregulation dei nuovi OGM. La proposta di regolamento presentata ieri dalla Commissione che sdogana le tecniche di evoluzione assistita (TEA) non fa altro che aggirare i paletti sugli organismi geneticamente modificati dando briglia sciolta a chi, negli anni, ha sempre fatto pressioni per poter sfruttare le nuove tecniche di editing genetico e impadronirsi di nuovi pezzi del sistema alimentare.
Chi controlla i semi?
Lo sostiene un rapporto del Centro Internazionale Crocevia, il primo a fare il punto su un aspetto che finora è rimasto ai margini del dibattito sulle TEA, che l’Europa chiama new genomic techniques (NGT): i brevetti dei semi ottenuti con la deregulation dei nuovi OGM. La domanda centrale è questa: chi controlla questi semi? E in che modo possono essere controllati?
E la risposta punta verso volti noti. In attesa dell’ok ai nuovi OGM, dietro le quinte c’è stato un bel tramestìo. Poco visibile ma fondamentale per capire come sarà il mercato degli OGM 2.0. Perché a muoversi sono soprattutto le grandi multinazionali del settore. Le quattro più grandi imprese agrochimiche e sementiere del mondo – Corteva, Bayer-Monsanto, BASF e Syngenta – sono già in pole position per sfruttare la deregulation dei nuovi OGM.
Crocevia ha passato al vaglio tutti i brevetti rilasciati negli ultimi 20 anni sulle tecniche di editing genomico. Le Big4 ne hanno già richiesti 139 all’ufficio europeo (Corteva primeggia con oltre la metà delle richieste, 81) sui 970 totali. Possono sembrare relativamente pochi, ma è il metodo conta (e svela i numeri reali).
Le multinazionali “delegano” la ricerca a centri specializzati e si limitano a comprare poi le scoperte più promettenti. Una gran parte dei brevetti oggi sono in mano a Harvard University, Massachusetts Institute of Technology, Broad Institute e Sangamo Biosciences. Centri che hanno già uno o più accordi di licenza esclusiva per l’uso delle TEA con le quattro grandi corporation dell’agribusiness.
“Alle grandi aziende, quindi, basta percorrere l’ultimo miglio, quello che dal laboratorio arriva alla semente fisica, per controllare il mercato delle nuove varietà vegetali derivanti da NGT”, spiega il rapporto. Quello a cui siamo di fronte è un “cartello europeo” pronto a operare “in regime di oligopolio”.
Le conseguenze della deregulation dei nuovi OGM
Se si studiano le carte più nel dettaglio si scopre che anche la pomposa retorica degli OGM 2.0 come panacea per la crisi climatica e la sicurezza alimentare è molto gonfiata. Tra le centinaia di brevetti solo 6 applicazioni tentano di ottenere piante resistenti alla siccità. La crisi idrica e la soluzione dei nuovi OGM, tanto cara anche alle associazioni dell’agribusiness nostrano, non sembra affatto una priorità.
“La stragrande maggioranza della ricerca continua a essere svolta su caratteri che niente hanno a che fare con la sostenibilità: si cerca infatti di stimolare la resistenza agli insetti e ad altri patogeni, modificare la composizione interna di piante e frutti, aumentare i rendimenti e ottenere resistenza agli erbicidi”, specifica il dossier.
Incrociamo l’interesse delle multinazionali con il tipo di brevetti esistenti e otterremo uno scenario ben distante da quello propagandato dai fautori delle TEA, dove vincono sostenibilità e piccoli coltivatori. Le NGT e i prodotti che ne derivano saranno coperti da brevetto industriale e in mano ai big del settore, un “dettaglio” che potrebbe accelerare la concentrazione del mercato sementiero.
In più la proposta UE sui nuovi OGM non contiene alcuna misura di coesistenza con la coltivazione biologica: nulla può impedire che gli OGM 2.0 si incrocino con qualsiasi altro tipo di coltura, trasmettendo così i loro geni modificati artificialmente. Il rischio, più che concreto, è di contaminare campi non coltivati con varietà biotech “realizzando una vera e propria appropriazione indebita della biodiversità contadina e minando alla base la sopravvivenza dell’agricoltura biologica”.
Non è tutto. Le TEA, sostiene Crocevia, ci farà andare verso un modello americano, più restrittivo di quello europeo perché richiede il consenso dell’inventore. C’è poi un ultimo aspetto da considerare: la proposta UE non prevede alcun obbligo di tracciabilità per le TEA e chi richiede il brevetto può pretendere di non pubblicare alcune informazioni sui processi usati per ottenere le nuove varietà. Ma in questo modo si potrebbe anche estendere l’applicazione de brevetti a tutte le piante autoctone o derivanti da selezione contadina o tradizionale se contengono tratti ed esprimono funzioni interessanti per i biotecnologi. Come? Basta che l’azienda finga di averli creati in laboratorio, per poi brevettarli. Nessuno potrà andare a verificare, perché le nuove regole UE lo impediscono.