L'azienda Casale dei Pozzi ha realizzato dalle acque dei frantoi, l’Antioxy-oleum, un prodotto aromatico ricco di ricco di sostanze polifenoliche naturali e in gradii di esaltare la sapidità
di Carlo Hausmann – Agro Camera, Valentina Terribile
Economia circolare e utilizzo di materie prime trattate normalmente come reflui; sono questi i temi chiave del progetto presentato.
Siamo nel Lazio, regione da sempre vocata all’olivicoltura, con i suoi 80 mila ettari circa impiantati ad olivo e con una produzione media annua di circa 260 mila quintali di olio. Dei quasi 300 frantoi attivi nelle province laziali, la gran parte è coinvolta in un processo di rinnovamento della propria tradizione oleicola, indirizzato a nuove opportunità di sviluppo, anche attraverso la produzione di prodotti complementari all’olio.
Perché non utilizzare quindi, la frazione acquosa selle olive, materia prima che sta inoltre diventando oggetto di interesse in ambito alimentare, cosmetico e mangimistico? In Europa, ma anche in America, è sempre più frequente vedere aziende impegnate in iniziative di ricerca per attualizzare le potenzialità di queste materie prime spesso trattate unicamente come reflui.
In questo scenario si colloca un’azienda di Cerveteri, Casale dei Pozzi – azienda specializzata nella coltivazione e trasformazione di erbe aromatiche e di frutta – la quale grazie ad un esperimento/accordo di filiera con alcuni frantoi della zona, raccoglie le loro acque di vegetazione per poi essiccarle in azienda.
Da qui nasce l’Antioxy-oleum, nome con cui l’azienda ha registrato l’aroma, denominato anche “Aroma naturale di olive” secondo quanto registrato in seguito all’approvazione del prodotto da parte dell’Istituto Superiore di Sanità. Un prodotto ricco di sostanze polifenoliche naturali, che lo rendono un perfetto antiossidante e conservante naturale, valida alternativa a prodotti già sul mercato. Inoltre si tratta di un prodotto in grado di esaltare la sapidità grazie alla sua componente azotata e a basso contenuto di sodio.
Il progetto ha una duplice valenza: reindirizzare prodotti di scarto verso impieghi alternativi, in un’ottica di minore impatto ambientale – meno reflui da trattare – e in un’ottica di miglioramento qualitativo e nutrizionale di prodotti alimentari innovativi. Infatti, pur riconoscendo che queste acque di vegetazione delle olive sono e devono essere considerate prodotti secondari del frantoio, è vero anche che non presentano nessuna criticità rispetto a requisiti igienici; l’unica “barriera”, se così può essere definita, è rappresentata dall’alta concentrazione in principi attivi che chiaramente impone uno stretto controllo nel loro impiego.
L’esperimento del dado vegetale a base di antioxy-oleum prevedeva una prima fase di prelevamento e trattamento delle acque di vegetazione seguita da un processo di disidratazione.
Chiaramente il prelevamento delle acque avviene all’uscita della centrifuga in condizioni di igiene assoluta per il consumo umano; proprio per questo la raccolta va eseguita esattamente in questa fase e non attraverso la raccolta delle condutture di scarico reflui. L’acidificazione è stata effettuata al momento del prelievo direttamente versando acido citrico all’1% nei fusti di raccolta. Il campione raccolto era caratterizzato da un colore verdognolo e da un profumo fruttato. Complessivamente sono stato raccolti 100 kg di campione in fusti da 50 kg. Il campione è stato poi suddiviso in aliquote da 3 kg e congelate a T -21°C. Tra la raccolta e congelamento sono passate dalle 4 alle 6 ore circa e non si sono verificati fenomeni fermentativi né alterazioni delle caratteristiche organolettiche.
A seguire, il processo di disidratazione basato su due procedure: la liofilizzazione – molto più costosa soprattutto in termini di apparecchiature ma con il vantaggio di limitare i danni termici – e l’essiccazione, tecnologia senz’altro più semplice e di più facile utilizzo, con una maggiore disponibilità di apparecchiature di diversa dimensione e costo; sicuramente si tratta della scelta più idonea alle esigenze di aziende di piccole dimensioni che lavorano con quantitativi di lavorazione più ridotti.
Il risultato di entrambe le procedure è stato un prodotto in polvere, raccolto in sacchetti sotto-vuoto e conservato al riparo dalla luce per far sì che non si deteriorasse.
Esperimento senz’altro ben riuscito; ancora una volta un valido esempio di come sia possibile trovare impiego e trasformare sottoprodotti ricchi di principi attivi nel settore alimentare. Sottoprodotti che normalmente – e troppo spesso – vengono destinati allo smaltimento solo per mancanza di conoscenza e in alcuni casi di risorse.
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