A causa delle misure di contenimento di COVID-19 le piantagioni in India, Sri Lanka, Cina e Vietnam sono rimaste senza forza lavoro. La produzione di tè in India, tra i maggiori produttori del mondo, è scesa del 9% nel primo quadrimestre del 2020, mentre in Vietnam le esportazioni sono calate del 2,5%
Il blocco da COVID-19 colpisce la produzione di tè in tutto il mondo: in India il primo prezioso raccolto dell’anno è già andato perso e il mercato potrebbe diminuire del 9%
(Rinnovabili.it) – Nel nord-est dell’India si coltiva il cosiddetto champagne dei tè, apprezzato in tutta Europa e nel mondo fin dalla fine dell’Ottocento, il Darjeeling. Oggi, però, a causa del blocco dovuto alla pandemia da COVID-19 il paese, tra i maggiori produttori di questa bevanda al mondo, ha dovuto interrompere il raccolto in diverse regioni, tra cui l’Assam, il Terai e il Nilgiri.
Nonostante le previsioni parlassero di un aumento nella domanda del 9% a causa dei “bevitori di tè in quarantena”, le stime non avevano tenuto conto delle misure di contenimento nei paesi produttori. Ad essere bloccati in casa infatti non sono stati solo i consumatori, ma anche la forza lavoro. Così, anziché un aumento nella domanda, i produttori di tè indiani hanno visto, in questi primi mesi del 2020, un calo del 9% nella produzione. L’epidemia di COVID-19 ha colpito le coltivazioni di tè proprio nel momento peggiore, mentre il raccolto più importante dell’anno era pronto. In India – va ricordato – la produzione di tè segue periodi molto precisi, chiamati “flushes”, ondate: la prima preziosa ondata di Darjeeling è andata quasi completamente persa e sembra aver compromesso la produzione totale. Generalmente questa ondata, raccolta tra marzo e aprile, rappresenta fino al 40% delle entrate annuali per un produttore, ma con il lavoro sospeso da oltre un mese di certo non sarà possibile recuperarla.
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Anche nello Sri Lanka la produzione di tè nel primo trimestre dell’anno è scesa a livelli estremamente bassi, non registrati da decenni. Le misure di contenimento di COVID-19 hanno colpito le tradizionali aste settimanali di tè del paese, attive da oltre 125 anni, che mai si erano svolte online. E le esportazioni ne hanno sofferto, passando da 14,1 milioni di chilogrammi dello stesso periodo del 2019, ai 59,5 milioni di chilogrammi attuali. Roshan Rajadurai dell’Associazione Planters ha sottolineato che per “la prima volta la produzione di tè è stata colpita a livello nazionale”. I problemi riguardano anche il packaging, non funzionante a pieno regime, e i cambiamenti climatici, che hanno portato a una siccità senza precedenti nel paese.
Questa situazione sembra ripetersi globalmente, infatti anche altri paesi esportatori, tra cui Cina e Vietnam, hanno subito disagi, con un calo nel volume delle esportazioni vietnamite pari a circa il 2,5% nel primo quadrimestre del 2020. L’unica economia che pare tenere è quella kenyota, il paese infatti, “a causa delle sue condizioni climatiche, può produrre tè tutto l’anno”, come ha spiegato Ibi Idoniboye, analista di mercato della Mintec. Secondo le previsioni dell’International Tea Committee il Kenya potrebbe riscontrare, nel corso dell’anno, un aumento nella produzione del 15%. In ogni caso è molto probabile i prezzi continueranno a salire, come sottolinea Idoniboye, anche a causa delle speculazioni sulla carenza di questa preziosa bevanda.
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