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Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa?

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di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – È cambiato il valore nutrizionale del carrello della spesa degli italiani tra il 2021 e il 2022? Un’interessante ricerca elaborata dall’Osservatorio Immagino GS1 Italy parte dai dati presenti nelle tabelle nutrizionali poste sulle confezioni di 81.004 prodotti alimentari.

A grandi linee la tendenza generale si mantiene sui livelli dell’anno precedente, ovvero cala il consumo degli zuccheri mentre carboidrati e proteine rimangono stabili.

Nel 2022 aumenta il consumo di prodotti che contengono fibre e diminuisce quello dei grassi e dei grassi saturi.

La valutazione complessiva del carrello della spesa registra quindi una diminuzione dell’apporto calorico.

“Drogheria alimentare”

Aumento delle proteine e calo dei grassi sono presenti nella categoria “drogheria alimentare” (che comprende pasta, riso, condimenti, sughi, vegetali in scatola e prodotti da forno).

Il +1,7% delle proteine è dovuto al maggiore consumo di alimenti per sportivi, piadine, panettone, pandoro, riso specialità, merendine e frutta secca senza guscio.

La contrazione dei grassi (-1,2%) dipende dai minori consumi di olio extravergine d’oliva, olio di semi, biscotti tradizionali, olio d’oliva, frutta secca con guscio e latte uht.

La quota dei carboidrati è stabile, ma guardando ai soli zuccheri il trend rimane negativo (in calo le vendite di zucchero, biscotti tradizionali, latte uht e creme spalmabili dolci.

L’apporto delle fibre conferma i valori positivi, anche se leggermente inferiore al 2021 (+0,4% contro 1,4%).

“Fresco”, “freddo” e “bevande”

Carboidrati, zuccheri e fibre sono cresciuti nella categoria “fresco” (latte, yogurt, formaggi, salumi e uova). I macronutrienti più importanti restano le proteine (10,7 gr per 100 gr di prodotto) seguite dai grassi (9,2 gr).

La crescita dei carboidrati (+1,5%) è da imputare al maggior consumo di primi piatti pronti, dessert freschi, latte fermentato/kefir, pasta fresca ripiena, snack salati e piatti pronti vegetali.

In dettaglio, la maggior quota di fibre (+6,3%) dipende dall’aumentato consumo di primi piatti pronti classici e vegetali, pasta fresca ripiena, snack salati e sostituivi dello yogurt, mentre per gli zuccheri (+1,4%) ci sono dessert freschi, latte fermentato/kefir, uova di quaglia, succhi freschi e merendine dolci fresche.

La categoria “freddo” comprende surgelati vegetali, gelati, piatti pronti surgelati e surgelati di carne. Qui aumentano carboidrati (piatti pronti, carne e senza glutine) e grassi (piatti pronti surgelati, senza glutine e dolci/pasticceria surgelati), mentre calano proteine (minor consumo di pesce, frutta e pizza surgelati) e fibre (meno surgelati di frutta, gelati multi pack e pizze).

Infine la categoria “bevande” (acqua, aperitivi, alcolici, birra, vino e succhi di frutta) è quella che incide meno sull’apporto nutrizionale complessivo.

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Italians do it better

I prodotti alimentari italiani sono di gran lunga i preferiti: nel carrello della spesa fatta in supermercati e ipermercati è entrato l’1,3% di prodotti in più targati Italia.

L’analisi di Osservatorio Immagino ha considerato pittogrammi, claim e indicazioni geografiche registrate e tutelate dall’UE. Nell’arco di 12 mesi l’offerta è aumentata del 9,3% mentre la domanda è scesa dell’8,0%.

Il gruppo più rilevante è costituito da 14.413 prodotti che riportano la bandiera italiana sull’etichetta (+1,7%): offerta in crescita del 9,1% (latte uht, affettati e bevande a base di tè) e domanda in calo del 7,5%.

Al secondo posto per rilevanza 7.538 prodotti con la dicitura 100% italiano, che hanno realizzato +3,3% (+12,5% dell’offerta compensata da -9,2% della domanda). I preferiti in questo gruppo sono latte uht, biscotti tradizionali, pasta di semola, merendine, gelati multipack e affettati. In perdita birre alcoliche, mozzarelle e mascarpone.

La dicitura prodotto in Italia, presente su 6.569 prodotti, ha diminuito le vendite dell’1,8%. Il calo della domanda (-8,9%) è stato in parte bilanciato dall’aumento di prodotti con questo claim. Zucchero, pomodori, uva, affettati e verdura di quarta gamma sono cresciuti; in calo i vini Igp, Igt, Doc e Docg.

A livello regionale, Sardegna (+8,3%), Molise (+10,7%) e Liguria (+6,3%) hanno segnato le migliori performance. In calo Lazio (-10,0%), Friuli-Venezia Giulia (-10,6%), Basilicata (-8,8%), Campania (-5,2%), Abruzzo (-4,0%), Vale d’Aosta (-3,0%).

Meglio senza

Un discorso a parte merita il complesso universo del free from, ovvero i prodotti accomunati da scarsa presenza o assenza di alcuni componenti: pochi zuccheri, poche calorie, senza zucchero, senza olio di palma, senza grassi idrogenati, senza sale, senza aspartame, senza conservanti, senza OGM.

Il fenomeno dei prodotti “senza” ha modificato profondamente i consumi alimentari negli ultimi anni, e ha confermato il trend crescente anche nel periodo 2021-22.

Il paniere comprende più di 13mila referenze, ossia il 17,2% dei prodotti esaminati da Osservatorio Immagino. Il giro d’affari è ovviamente notevole: 7,4 miliardi di euro, quasi il 25% delle vendite di supermercati e ipermercati, con una crescita dell’1,4%.

Il claim storico è “senza conservanti” seguito da “senza olio di palma”. Vanno molto bene anche i claim “pochi grassi”, “pochi zuccheri” e “senza coloranti”. In aumento il giro d’affari dei prodotti “senza additivi”, “senza zuccheri aggiunti”, “senza glutammato”, “senza antibiotici”, “poche calorie” e “senza aspartame” (anche se riguarda pochi prodotti).

Stabili i prodotti “senza OGM”, quelli senza o a ridotto contenuto di “grassi saturi”, mentre calano quelli “senza grassi idrogenati”, “senza polifosfati” e “senza sale”.

Meglio con

Sul versante opposto si trovano i prodotti rich-in, ovvero quelli che hanno qualcosa i più: “con vitamine”, “ricco di fibre”, “con Omega 3”, “integrale”, “ricco di ferro”, “fonte di calcio”.

Anche il giro d’affari di questo carrello della spesa è importante: 4,1 miliardi di euro per i 9.832 prodotti esaminati dall’Osservatorio Immagino che indicano in etichetta l’apporto di alcuni nutrienti, dalle fibre ai fermenti lattici.

Rispetto all’anno precedente, le vendite sono aumentate del 2,8%. Si consolida una tendenza che interessa il 12,1% dei prodotti presenti sugli scaffali di supermercati e ipermercati e porta a 13,7% il complesso dei prodotti di questo paniere.

Il componente più gettonato è il claim “proteine”, che registra +8,4% (+18,4% dell’offerta compensata da -10,0% della domanda). “Fibre” cresce +2,7% su base annua; positivo anche il gruppo “vitamine” (+0,8%), “integrali” (+1,4%), “calcio” (+6,4%), “fermenti lattici” (+5,0%).

In calo sono invece i prodotti con i claim “Omega 3” (-1,5%), “ferro” (-3,9%) e “iodio” (-6,2%): in questi tre casi la flessione della domanda non è stata compensata dall’aumento dell’offerta, diversamente da “magnesio”, “potassio” e “zinco”.

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Intolleranze, veg, biologico & Co.

I prodotti che in etichetta fanno riferimento alle intolleranze alimentari sono sempre più gettonati, nonostante siano consumati molto spesso da persone che non sono intolleranti né allergiche. In questa fascia rientrano gli alimenti “senza glutine”, “senza lattosio”, “senza latte”, “senza lievito”, “senza uova”.

A questo gruppo appartiene il 13,1% dei prodotti esaminati: 4,4 miliardi di euro per il 14,9% del paniere.

Il claim più performante rimane il “senza glutine” sia per numero di prodotti (rappresenta il 10,5% del paniere intolleranze) che per valore delle vendite (3,1 miliardi di euro).

Nel panorama del gluten free ci sono anche i prodotti con il logo “senza glutine” rilasciato dall’Associazione Italiana Celiachia (AIC).

Ottime performance anche per i claim “senza lattosio” e “senza latte”.

L’emergere dei claim più recenti “senza lievito” e “senza uova” testimonia il crescente successo dei prodotti contro le intolleranze.

Per il secondo anno consecutivo hanno una leggera contrazione le vendite di prodotti che fanno riferimento a precisi stili di vita che vanno dal “veg” (vegetariano e/o vegano, che resta la più importante, con un’incidenza del 6% sulle vendite) al “biologico”, passando per “halal” e “kosher”.

In tutti questi casi l’espansione dell’offerta non è riuscita a contrastare la contrazione della domanda, fatta eccezione per il paniere “kosher” (+0,2%) e per quello “halal” (+2,7%).

Il carrello sostenibile

Se durante la pandemia il focus era concentrato su salute e sicurezza, il post pandemia ha riacceso l’interesse per la sostenibilità: un tema sul quale le imprese continuano a investire per venire incontro alle esigenze dei consumatori e per essere in linea con una legislazione sempre più stringente. Parliamo di un paniere che interessa più di un terzo dei prodotti di supermercati e ipermercati.

Osservatorio Immagino fa notare che si tratta di sostenibilità a tutto tondo: dal prodotto al packaging, dalle condizioni dei lavoratori all’impatto della filiera.

Piacciono i prodotti riciclabili o con materiale riciclato, con meno plastica, biodegradabili, compostabili, senza fosfati, con almeno un ingrediente vegetale; le aziende dichiarano in etichetta il loro impegno per la riduzione dell’impatto ambientale e delle emissioni di CO2, come pure degli sprechi.

A questo proposito piacciono le certificazioni Ok-Compost, Ecolabel, Sustainable Cleaning e le confezioni in Mater-Bi.

La sostenibilità, quindi, è entrata a pieno titolo nel carrello della spesa, che si riempie di prodotti che recano in etichetta le certificazioni relative alla Corporate Social Responsibility e alla provenienza e sicurezza dei prodotti.

In sostanza, i consumatori vogliono sapere se le aziende rispettano i principi della sostenibilità ambientale e del lavoro.

Osservatorio Immagino ha evidenziato quattro aree. La bandiera del paese di origine è l’elemento distintivo più usato (14,3%), forse perché immediatamente riconoscibile, con una crescita annua dell’1,5%.

Il logo “EU Organic” compare nel 6,4% dei prodotti esaminati, con un calo di vendite del 3,4%. Il marchio europeo di conformità CE, che ha aumentato il giro di affari del 5,5% (va tuttavia rilevato che in questo marchio rientrano anche prodotti non alimentari, come termometri e test diagnostici).

In crescita il giro d’affari dei prodotti con il marchio FSC (Forest Stewardship Council), dovuto anche all’ampliamento dei prodotti offerti che vanno dal caffè macinato ai gelati in vaschetta, dal pesce surgelato alla pasta di semola fino ai fazzoletti di carta.

Friend of the Sea ha mantenuto un sostanziale equilibrio perché il calo di vendite del tonno e di altre conserve ittiche è stato compensato dall’aumento di cibo per gatti e piatti pronti.

Mi fa bene

Nel perimetro food cresce il numero di prodotti e ingredienti ritenuti benefici: +3,6%, dove la crescita dell’offerta (+11,6%) ha compensato il calo della domanda (-8,1%).

Best performer del gruppo è la mandorla, seguita da un mirtillo po’ in calo.

Crescono le vendite di cocco (ma cala l’acqua di cocco) e avocado, e tra i superfruit fanno il loro ingresso trionfale mango e anacardi

Trend negativo per le vendite di farine: si piazzano bene avena, farina di mais e farina di riso, ma si contraggono le vendite di farro, quinoa, kamut, germe di grano e olio di mais.

Tra i dolcificanti cala lo zucchero di canna (-6,8%) mentre conquista il carrello della spesa la stevia (+5,8%).

Non particolarmente brillante il mercato dei semi di zucca, sesamo, chia e canapa ad eccezione de semi di lino (best performer con + 16,8%). Altrettanto si può dire delle spezie: zenzero, curcuma e cannella sono i più menzionati in etichetta, ma le vendite sono in calo.

Tutti negativi i numeri dei superfood come goji, matcha, spirulina e açai.

Fra le nuove tendenze che vivacizzano il carrello della spesa si prevedono interessanti performance per burro d’arachidi, soia edamame, tahina e pappa reale.

Foto di Julia Zolotova su Unsplash

A qualcuno piace ruvido

Tutti i gusti son gusti, dice il vecchio adagio, e mai si rivela calzante come nel caso della consistenza dei prodotti: croccante, sottile, vellutato, cremoso, morbido, ruvido, ripieno, farcito.

Questo segna l’affermazione della tendenza esperienziale del cibo: le etiche non si limitano a informare ma cercano di stimolare emozioni e attirare l’attenzione dei consumatori.

Se “croccante” e “cremoso” hanno perso smalto, “tenero” mantiene il suo pubblico di affezionati, mentre “morbido” e “ripieno” si dimostrano più appealing.

Se “sottile” (specie per pizza surgelata e pasta fresca non ripiena) perde estimatori, “soffice” ne conquista (dolci natalizi e pasquali, merendine, pane per tramezzini).

Conquista spazio il claim “ruvido” a cui fa da contraltare “vellutato”, mentre vanno in crisi “farcito” e “fragrante”.

Il metodo di lavorazione dei prodotti alimentari sembra suscitare un interesse crescente da parte dei consumatori, specie se richiama la tradizione, l’artigianalità e la cura della produzione.  Un interesse a cui le imprese cercano di dare risposte più o meno soddisfacenti.

Nel paniere pasta il termine più presente sulle etichette è “trafilato”, generalmente al bronzo, che ha aumentato le vendite dell’11.4%. Per quanto riguarda l’olio il claim di tendenza è “estratto a freddo” (-3,2%), mentre la birra è meglio “non filtrata”, anche se ha segnato un calo del 10,2%.

La vendita dei prodotti “a lievitazione naturale” ha subito una leggera flessione mentre è migliorata quella dei prodotti definiti “lavorati a mano”.

Buone le performance dei claim “essiccazione”, riferito alla pasta di semola, “artigianale”, “non fritto” e “affumicatura”.

L’agricoltura e l’attrazione per la filiera

Dove la ricerca della sostenibilità è decisamente alta è nell’agricoltura.

Al claim “biologico” e al logo EU Organic sembrano preferiti i claim relativi alla “filiera”, che ha conquistato +8,3% delle vendite.

Il claim “senza OGM” continua a crescere (+0,1%), mentre “ingredienti 100% naturali” è il leggera flessione (-0,3%).

I prodotti “senza antibiotici” hanno guadagnato il 7,9% in un anno e riguardano specialità ittiche, pollo, volatili da cortile e conigli, e crescono le vendite dei prodotti certificati ICEA.

Per quanto riguarda la responsabilità sociale, i prodotti che hanno spinto il settore sono caffè macinato, gelati in vaschetta, pasta di semola e merendine. Le certificazioni più accreditate (non solo per prodotti alimentari) sono FSC (Forest Stewardship Council), Rainforest Alliance, PEFC, Fairtrade, mentre è in calo UTZ (-20,2%).

Non manca infine l’attenzione al benessere animale: cresce il mercato dei prodotti “cruelty free” e di quelli certificati ASC (Aquaculture Stewardship Council), MSC (Marine Stewardship Council), Friend of the Sea.

Riciclo quindi sono

Raramente le confezioni non riportano la riciclabilità delle confezioni, un’avvertenza apprezzata dai consumatori più attenti all’ambiente ma ormai – anche per merito delle raccolte differenziate – ritenuta complessivamente indispensabile.

Osservatorio Immagino rileva giustamente che la mancanza di queste informazioni non vuol dire che la confezione non sia riciclabile: ad esempio, il vetro è riciclabile al 100%.

Per avere un quadro generale del riciclo, nell’85% dei prodotti analizzati la confezione è totalmente (4,9%) o largamente (82,3%) riciclabile. In calo costante i packaging non riciclabili (3,5% del totale).

Il comparto più virtuoso è quello dei surgelati (il 64,8% fornisce informazioni sul riciclo), seguito da ortofrutta (53,2%), fresco (47,5%), drogheria (47,4%), carni (37,2%) e ittico (33,6%).

Nettamente più bassa la percentuale di informazioni sul riciclo per i prodotti non food.

Ma quanto mi costi?

Non torniamo qui sulle tante cause che hanno determinato la permacrisis, il neologismo che sintetizza l’attuale situazione di incertezza e difficoltà diffuse.

In estrema sintesi, si evidenzia una crescente attenzione a quello che si mette nel carrello della spesa: si guarda di più ai prezzi, alla convenienza e alle offerte. In alcuni casi si cercano prodotti in fasce di prezzo più basse a si rinuncia all’acquisto.

Il mercato tiene ancora abbastanza bene, ma si stanno manifestando gli effetti della crisi a partire dalle fasce più basse; reggono le vendite dei prodotti della fascia alta, sostenuti da una variazione minima dei prezzi e dall’aumento dei volumi. Nelle fasce media e bassa invece i consumatori hanno comprato meno per fronteggiare l’aumento più consistente dei prezzi.

Pur con le opportune differenze, i panieri più “particolari” (free from, rich-in) sono quelli con i prezzi più alti mentre i prodotti base sono rimasti più “accessibili”. Resta il fatto che spesso, anziché rinunciare a un determinato prodotto, si preferisce cercarlo nella fascia di prezzo più bassa.

Un ultimo accenno va fatto ai claim della convenienza (conveniente, risparmio, 3×2, maxi formato, formato scorta, maxi pack) per prodotti rivolti soprattutto a famiglie con figli e con reddito medio-basso.

Se da un lato i produttori hanno inserito più prodotti che trasmettono l’idea della convenienza, dall’altro la risposta dei consumatori è stata debole.

A conclusione della puntuale analisi di Osservatorio Immagino emerge che l’inflazione crescente colpisce tutte le fasce di reddito, ma incide maggiormente su quelle più deboli e la situazione è in evoluzione. Speriamo che nel prossimo rapporto si evidenzi una situazione migliore.

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