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Come cambiano i consumi alimentari in tempi di crisi

La crisi si ripercuote sul carrella della spesa e obbliga a un cambiamento dei consumi alimentari. A causa del rincaro dei beni alimentari più della metà degli italiani ha cambiato le proprie scelte, sia per quanto riguarda la quantità che la qualità: una condizione che colpisce in modo maggiore la popolazione a basso reddito

Foto di -Rita-👩‍🍳 und 📷 mit ❤ da Pixabay

di Isabella Ceccarini

Come stanno cambiando i consumi alimentari? Il primo Rapporto Coldiretti/Censis “Gli italiani e il cibo nelle crisi e oltre” dimostra in che modo la crisi si ripercuote sul carrello della spesa.

A causa del rincaro dei beni alimentari più della metà degli italiani ha cambiato le proprie scelte, sia per quanto riguarda la quantità che la qualità: una condizione che colpisce in modo maggiore la popolazione a basso reddito.

Cresce il numero delle persone in difficoltà

Nell’ultimo anno il Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead) ha visto aumentare il numero delle persone in difficoltà del 12%.

Il 47% degli italiani ha tagliato complessivamente la quantità di cibo acquistato, ma il Rapporto evidenzia le differenze legate alle condizioni sociali: per i redditi alti il taglio degli acquisti riguarda solo il 24% degli intervistati, per quelli bassi la percentuale sale al 60%.

Parlando di qualità, il 37% ha optato per il risparmio. Anche qui la differenza di reddito è determinante: il 22% dei redditi alti contro il 46% dei bassi.

Secondo il Rapporto Coldiretti/Censis, inoltre, giovani e adulti tagliano più degli anziani. Accanto a chi riesce ad andare avanti tirando la cinghia, ci sono tre milioni di persone che per mangiare sono costrette a chiedere aiuto alle mense di carità o a richiedere i pacchi alimentari.

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A cosa si rinuncia

Quali sono i prodotti lasciati indietro? Gli alcolici sono al primo posto, abbandonati dal 44% degli italiani, insieme ai dolci (44%). Al terzo posto i salumi (38,7%) e a breve distanza il pesce (38%) e la carne (37%), alimenti per bambini (31%) e pane (23%).

I meno colpiti sembrano essere gli alimenti alla base della Dieta Mediterranea: frutta (-16%), verdura (-12%) e pasta (-11%).

Perfino le modalità di preparazione del cibo sono state influenzate dalla crisi: il 54% delle famiglie a basso reddito ha ridotto o eliminato l’uso del forno (contro il 32% dei redditi alti), il 51% ha addirittura rinunciato ad accendere i fornelli (a differenza del 25% delle famiglie ad alto reddito).

Fra i vari stratagemmi per la sopravvivenza si sta diffondendo la richiesta della doggy bag nei ristoranti (che è anche un’ottima pratica antispreco che limita i rifiuti) e molti si portano in ufficio il pranzo preparato a casa.

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La crisi delle aziende della filiera agroalimentare

L’81% degli italiani fa la spesa con la lista per comprare solo lo stretto necessario, il 72% si rivolge ai discount alimentari e l’83% tiene le antenne dritte per intercettare le promozioni.

Il taglio degli acquisti si ripercuote ovviamente sulle aziende della filiera agroalimentare. Il 13% delle aziende agricole sono in procinto di cessare l’attività, quelle che cercano di resistere alle difficoltà stanno comunque lavorando in una condizione di reddito negativo a causa dei rincari.

Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, sottolinea che «bisogna intervenire subito per contenere i costi di produzione con misure immediate per salvare le aziende agricole e la spesa degli italiani».

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Dagli orti sul balcone alla spesa etica

Un discorso a parte meritano gli orti improvvisati sul balcone, in città o in campagna.

Un dato che fa riflettere anche su un desiderio di alimentazione sana che permette anche di risparmiare qualcosa sulla spesa.

A questo si ricollega l’idea della spesa etica. L’80% degli italiani acquista prodotti agricoli italiani sia per la migliore qualità sia per sostenere le aziende nazionali in difficoltà.

Scegliere prodotti alimentari a chilometro zero e acquistare nei mercati contadini – come quelli di Campagna Amica, diffusi su tutto il territorio nazionale – aiuta le imprese locali, riduce l’impatto ambientale dei trasporti e permette di avere prodotti più freschi che durano di più.